Lo sgombero del Leoncavallo, storico centro sociale di Milano
È iniziato a sorpresa, dopo diversi rinvii: il sindaco Sala ha detto di non essere stato avvertito

altre
foto
Dopo centotrentatré tentativi andati a vuoto, una lunga trattativa con il comune e decine di tentativi di resistenza, questa mattina al Leoncavallo, storico centro sociale occupato di Milano, è arrivata la polizia per lo sgombero. L’ordine era stato rinviato numerose volte e la polizia stamattina è arrivata a sorpresa: l’ufficiale giudiziario era infatti atteso per il 9 settembre.
Le operazioni di polizia e carabinieri sono iniziate intorno alle 7:30, quando all’interno dell’edificio non c’era nessuno. Nel frattempo davanti al Leoncavallo sono arrivate almeno 150 persone. Alle 18, nonostante la pioggia, fuori dalla sede dello spazio in via Watteau sono iniziati un presidio e un’assemblea pubblica, convocati per discutere di quanto accaduto: durante l’assemblea è stata decisa l’organizzazione di una manifestazione in sostegno del Leoncavallo e degli spazi sociali il 6 settembre. Il sindaco di Milano Beppe Sala ha diffuso un comunicato in cui dice di non aver ricevuto nessuna comunicazione, né dal ministero dell’Interno né da altri esponenti di governo, sull’imminente intervento della polizia: «Per un’operazione di tale delicatezza […] c’erano molte modalità per avvertire l’amministrazione milanese. Tali modalità non sono state perseguite», ha detto Sala.
Non è chiaro che cosa accadrà ora: molto probabilmente proseguiranno le discussioni con il comune di Milano per il trasferimento dello spazio sociale in un capannone di via San Dionigi, di proprietà del comune, in una zona più periferica, a sud del quartiere meridionale di Corvetto. Nel comunicato Sala ha detto che secondo lui le attività del centro sociale devono continuare «in un contesto di legalità», e che vuole continuare a parlare con i responsabili. Il Leoncavallo ha già presentato una manifestazione di interesse per via San Dionigi, nonostante il bando pubblico non sia ancora uscito, ma il problema sono i lavori di bonifica dell’amianto che bisognerebbe fare in quel capannone, che costerebbero 300mila euro.
Alleanza Verdi e Sinistra aveva detto che avrebbe tenuto proprio al Leoncavallo la sua festa nazionale a settembre. Tra luglio e agosto una delegazione lombarda di Fratelli d’Italia aveva incontrato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per discutere del centro sociale. Durante l’incontro Piantedosi aveva promesso che avrebbe fatto sgomberare il Leoncavallo al più presto e il centro sociale aveva ipotizzato che lo sgombero potesse avvenire prima del 9 settembre.
Il Leoncavallo era nato nel 1975, quando un’area abbandonata in via Ruggero Leoncavallo venne occupata da alcuni militanti di movimenti rivoluzionari extraparlamentari. Dal 1994, poi, si era trasferito in un’ex cartiera della famiglia Cabassi in via Watteau (a nord, in zona Greco). Nel 2005 la famiglia Cabassi aveva avviato una causa contro il ministero dell’Interno perché, pur essendoci una sentenza del 2003 che stabiliva che la cartiera dovesse essere sgomberata, non era stato mai fatto nulla per liberare l’edificio. A dover essere sfrattata, secondo la sentenza, era una specifica associazione: le Mamme antifasciste del Leoncavallo, l’unica con sede nel centro sociale ufficialmente registrata.
Formalizzata nel 1992, era nata dopo le morti di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, conosciuti come Fausto e Iaio. Erano due diciannovenni militanti del Leoncavallo uccisi nel 1978 in via Mancinelli, al Casoretto, un quartiere a est di Milano. Non sono mai stati individuati i colpevoli degli omicidi, ma le indagini si sono orientate verso gruppi di estrema destra. Fausto e Iaio furono uccisi vicino alla vecchia sede del centro sociale Leoncavallo, e le loro madri insieme a molte altre donne decisero di stabilirsi al centro sociale assieme ai più giovani, per opporsi alle violenze politiche di strada di quegli anni.
Nel 2024 la Corte d’appello di Milano aveva condannato il ministero dell’Interno a risarcire la società L’Orologio della famiglia Cabassi di 3 milioni di euro per non aver sgomberato lo spazio, soldi che il ministero aveva a sua volta chiesto a Marina Boer, presidente dell’associazione Mamme antifasciste. Il Leoncavallo aveva organizzato una raccolta fondi chiedendo «alle realtà antifasciste, alla società civile, alla sinistra milanese di schierarsi in difesa dell’autogestione» donando «ognuno secondo le sue capacità». La richiesta del ministero a Boer scade lunedì e la presidente, parlando con i giornalisti dopo lo sgombero, ha detto che «ovviamente» loro i soldi non li hanno.

Marina Boer, presidente dell’associazione Mamme antifasciste del Leoncavallo, mentre parla con i giornalisti, Milano, 21 agosto 2025 (Il Post)
Commentando lo sgombero, Marina Boer ha detto di non essere sorpresa dall’anticipo dello sgombero, che ha attribuito a «pressioni politiche» citando la delegazione di Fratelli d’Italia che ha incontrato Piantedosi. Ha poi aggiunto che «Milano sta diventando una città di merda, in cui non c’è nessuna possibilità nemmeno di proporre delle alternative, una visione diversa, la possibilità di creare una socialità […]. È una città che è stata piena di cultura, di attività, un modello per tutt’Italia per le proposte culturali: gli sta bene questo deserto, questo happy hour a tutte le ore? A noi no».
Sulle trattative in corso con il comune, Boer ha detto solamente: «Vedremo come andranno le cose». In mattinata la polizia ha aperto il portone del Leoncavallo, entrando con l’ufficiale giudiziario e l’avvocato della famiglia Cabassi. In seguito fabbri e operai, incaricati dalla proprietà, hanno iniziato a sigillare gli ingressi.











