Cos’è il Donbas e perché Putin lo vuole
Il territorio ucraino che la Russia pretende è stato centrale fin dall'inizio della guerra per ragioni politiche e militari

La cessione alla Russia del Donbas, incluse le parti che non ha conquistato, è una delle principali condizioni poste da Vladimir Putin al presidente degli Stati Uniti Donald Trump per un accordo di pace con l’Ucraina. Durante il loro incontro in Alaska, Putin è riuscito ad avvicinare alle sue posizioni Trump, che già prima aveva parlato di far finire la guerra con uno «scambio di territori». Questa richiesta è sempre stata respinta dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che lunedì incontrerà Trump alla Casa Bianca, accompagnato da diversi leader europei.
Il Donbas è stato uno dei fronti più importanti della guerra dopo l’invasione dell’Ucraina del febbraio del 2022, ma ci si combatteva già da prima. È da oltre dieci anni che questo territorio dell’Ucraina orientale, composto dalle regioni di Luhansk e Donetsk, è oggetto di rivendicazioni russe: per ragioni anzitutto simboliche e propagandistiche, nel senso che fu antefatto e pretesto della guerra di larga scala, ma anche militari e politiche.
Le ragioni simboliche e propagandistiche sono quelle per cui, ottenendo il controllo del Donbas, Putin potrebbe sostenere di aver raggiunto uno degli obiettivi principali della guerra, e quindi di averla vinta.
È stato così fin dall’inizio. Il 21 febbraio del 2022, tre giorni prima di ordinare l’invasione, Putin riconobbe ufficialmente le autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, poi annesse alla Russia con i referendum farsa di alcuni mesi dopo. L’invasione fu motivata col pretesto di proteggere le minoranze russe di queste regioni, formalmente ucraine ma che nel 2014 erano già state parzialmente occupate da separatisti filorussi, appoggiati e armati dal regime di Putin.

Un pompiere ucraino interviene dopo che un drone russo ha colpito un mercato, a Druzhkivka, nel Donetsk, il 2 agosto (Oleg Petrasiuk/Ukraine’s 24th Mechanized Brigade via AP)
Secondo gli accordi di Minsk del 2015, mai rispettati, le regioni sarebbero dovute tornare all’Ucraina in cambio di maggiore autonomia. Da lì in poi il Donbas era rimasto una zona di guerra, seppur con combattimenti meno estesi e frequenti, con una linea del fronte lunga 400 chilometri. Dopo l’invasione del 2022 l’esercito russo è arrivato a occuparne l’87 per cento: la totalità della regione di Luhansk e due terzi di quella di Donetsk, dove nelle ultime settimane ci sono state significative avanzate militari.
Oggi in Donbas vivono sotto l’occupazione russa più di tre milioni di persone, e altre 200mila si trovano nei territori ancora controllati dall’Ucraina. Nel Donetsk la Russia ha conquistato 847 centri urbani su 1.298, metà dei quali era già stata occupata dai separatisti prima del 2022. Dopo il 2014 più di un milione e mezzo di cittadini ucraini hanno lasciato l’area, come conseguenza dei combattimenti vecchi e nuovi.

Il fumo di un’esplosione dopo un attacco russo nella regione di Donetsk. il 13 agosto (Pierre Crom/Getty Images)
Già nel 2014 Putin si era proclamato protettore delle minoranze russe in Ucraina per scopi di propaganda interna: puntava su un nazionalismo bellicoso ed espansionista per ritrovare consensi in una fase di stagnazione economica. Sulla Crimea l’operazione funzionò, nel senso che effettivamente il tasso d’approvazione del presidente crebbe. Il Donbas invece non è stato considerato così importante dall’opinione pubblica russa: in un sondaggio indipendente, pubblicato a ridosso dell’invasione, solo un quarto degli intervistati era favorevole a incorporare le regioni di Donetsk e Luhansk nella Federazione russa.
Nelle sue rivendicazioni sul Donbas, Putin si è sempre appigliato a criteri storico-linguistici, distorcendoli. In particolare la propaganda russa ha cercato di stabilire un’equivalenza tra la lingua e l’etnia, per sostenere che siano territori a «maggioranza russa», e quindi in ultima istanza russi, dato che la maggior parte della popolazione parla russo.
È vero che il russo è la prima lingua per la maggioranza degli abitanti del Donetsk (74,9 per cento) e del Luhansk (68,8 per cento) secondo i dati del censimento del 2001, il primo e finora ultimo della storia ucraina. E, sempre secondo il censimento, l’etnia russa era la principale dopo quella ucraina, rispettivamente pari al 39 per cento e al 38,2 per cento della popolazione. Le campagne militari russe degli ultimi anni, e la fuga degli abitanti ucraini, hanno con ogni probabilità alterato queste proporzioni.

Un murale propagandistico a Mariupol, il 18 maggio (Dmitry Yagodkin/TASS via ZUMA Press)
Sia la presenza della popolazione russa sia l’uso del russo sono state tra l’altro un risultato delle campagne di industrializzazione forzata della Russia imperiale e poi sovietica. Il Donbas ha giacimenti di carbone: prima che la guerra lo devastasse era considerato un’importante regione industriale (oggi lo è meno). Sotto l’URSS, e specie in epoca staliniana, l’identità ucraina fu soppressa: per esempio furono vietati l’uso e l’insegnamento della lingua ucraina.
Parlare russo, naturalmente, non significa automaticamente ammirare Putin o appoggiare il suo operato. Un terzo degli ucraini sono bilingui (anche se con la guerra molti hanno preferito abbandonare il russo). Il russo è anche la lingua madre di Zelensky e di molti dei soldati che combatterono contro i separatisti nel 2014-2015.

Fermoimmagine di un video diffuso dal ministero della Difesa russo che mostra un soldato nei pressi della città di Chasiv Yar, nel Donetsk, a fine luglio (Russian Defense Ministry Press Service via AP)
Ci sono poi ragioni militari per cui il Donbas è importante per Putin. Sono state combattute qui alcune delle battaglie cruciali e più letali della guerra, tra cui quelle di Bakhmut nel 2023 e Avdiivka nel 2024, centri (ridotti a cumuli di macerie) che sono stati le due principali conquiste russe all’infuori del primo anno di guerra. In questi giorni le forze russe sono vicine alla conquista di Pokrovsk, l’ultima città ucraina di una certa dimensione lungo l’autostrada che porta ai confini amministrativi del Donetsk.
Lì, e tra Kramatorsk e Sloviansk, passa la principale linea difensiva ucraina, assai fortificata, che finora aveva retto impedendo all’esercito russo di dilagare nell’est del paese. Cedere tutto il Donetsk, dunque, esporrebbe l’Ucraina al rischio di futuri attacchi russi con minori possibilità di contenerli. Secondo Matthew Savill, direttore del think tank britannico sulla difesa RUSI, «anche se [i russi] stanno avanzando, agli attuali ritmi gli ci vorrebbero anni per conquistare tutto quel territorio» e pertanto per Putin sarebbe vantaggioso farselo consegnare per via diplomatica.
Per Zelensky sarebbe infine molto problematico fare concessioni sul Donbas. Anche in questi giorni ha detto: «Non possiamo lasciare il Donbas». Da un lato glielo vieta la Costituzione ucraina, dall’altro la maggioranza della popolazione ucraina resta contraria a cedere territori alla Russia, anche se negli ultimi tre anni le persone favorevoli a farlo a “certe condizioni” sono aumentate nei sondaggi. Tra queste condizioni rientrano le cosiddette garanzie di sicurezza di cui Zelensky, Trump e i leader europei discuteranno lunedì alla Casa Bianca.
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