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  • Lunedì 28 luglio 2025

Tadej Pogacar è ineluttabile?

Da due anni sembra di sì, visto quanto vince e come ha vinto di nuovo il Tour de France: ma qualcosa a cui appigliarsi c'è

Tadej Pogacar il 18 luglio del 2025 al Tour de France (AP Photo/Thibault Camus)
Tadej Pogacar il 18 luglio del 2025 al Tour de France (AP Photo/Thibault Camus)
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Jonas Vingegaard è un corridore eccezionale, fortissimo sia nelle tappe a cronometro che in quelle con una o più salite: fino a un paio di anni fa soprattutto quelle lunghe, dei passi pirenaici e alpini, di recente anche quelle più brevi. Vingegaard, danese di 28 anni, corre per il Team Visma-Lease a Bike, una delle squadre più ricche e forti al mondo, e finalizza ogni sua stagione sportiva alla vittoria di una sola gara, la più importante: il Tour de France, che ha vinto nel 2022 e nel 2023. Al Tour di quest’anno c’erano tappe che, secondo la rivista di settore Rouleur, «erano fatte su misura per lui».

Eppure al Tour de France sono due anni che Vingegaard arriva secondo, perché sono due anni che vince Tadej Pogačar. L’anno scorso con oltre 6 minuti di vantaggio, quest’anno con 4. Sono due anni che Pogačar, sloveno di 26 anni, non perde una corsa a tappe: nel 2024 vinse addirittura il Giro d’Italia e poi il Tour nello stesso anno (il primo a riuscirci dopo Marco Pantani nel 1998).

Pogacar e Vingegaard il 26 luglio sul Mont Ventoux, in Francia (Tim de Waele/Getty Images)

Pogačar ha vinto senza mai farsi staccare da Vingegaard, senza mai arrivare dietro di lui su una salita o in una tappa a cronometro. Eppure Vingegaard e la sua squadra ci hanno provato più volte, perfino cercando di attaccarlo a decine di chilometri dall’arrivo durante la tappa più dura. In un certo senso, perfino il Tour stesso ci ha provato a farlo perdere, o anche solo farlo vincere di poco: quest’anno il percorso (che cambia in ogni edizione) aveva tre arrivi in salita ad Hautacam, sul Mont Ventoux e sul Col de la Loze. Sono tre storiche salite del Tour, ma soprattutto tre luoghi in cui, tra il 2021 e il 2023, Vingegaard staccò Pogačar in salita, una cosa che hanno saputo fare in pochissimi.

Quest’anno Pogačar ha staccato Vingegaard in tutte e tre le occasioni: ad Hautacam, nella prima importante tappa di montagna di questa edizione, lo ha preceduto all’arrivo di oltre due minuti; sulle altre due salite, affrontate quando già aveva alcuni minuti di vantaggio, si è limitato a controllare gli attacchi di Vingegaard e batterlo nella volata finale (facendo tra le altre cose il record di ascesa sul Mont Ventoux).

Per Pogačar – che è sulla buona strada per ripetere quest’anno un’annata già definita irripetibile – valgono la maggior parte delle cose che si dicono da oltre un anno, e che Alexandre Roos dell’Équipe ha riassunto così: «È ancora più potente e decisivo rispetto a quando già comunque vinceva, non ha più rivali». In molti si stanno chiedendo se, al netto di infortuni o cadute, sia realistico pensare che qualcuno nel prossimo futuro possa fare meglio di Pogačar: uno che viene sempre più spesso paragonato a Eddy Merckx, uno che secondo la newsletter The Outer Line «si avvicina a essere irraggiungibile».

Quando l’anno scorso il velocista britannico Mark Cavendish riuscì infine a battere il record di tappe vinte al Tour che apparteneva a Merckx da decenni, incrociò Pogačar dopo l’arrivo e gli disse sorridendo «don’t beat it», “non batterlo”. Alla fine di una carriera molto lunga, vincendo per anni le frequenti tappe in volata, Cavendish è arrivato a 35 vittorie. Già ora, a 26 anni e senza che le semplici vittorie di tappa siano il suo obiettivo principale, Pogačar è a 21 tappe vinte. Chris Froome, vincitore di quattro Tour de France, ha vinto solo sette tappe in tutte le sue dieci partecipazioni alla corsa.

È Pogačar stesso a dire di sentirsi «nel miglior momento in carriera»: più forte che mai e sempre più abile nell’interpretare le situazioni di corsa, anche quando Vingegaard lo attacca insieme con tutta la sua squadra. Ha lavorato sui suoi pochi punti deboli (che erano davvero pochi e non propriamente deboli) ed è apparso ancora più difficile da battere rispetto al passato, quando già Roos scriveva di «un dominio assoluto e totalitario» che era già arrivato oltre «il confine tra l’ordinario e la storia». Pogačar è addirittura stato descritto come annoiato dal Tour de France, in un qualche modo stanco del contorno quasi quanto della corsa in sé.

Nelle corse a tappe degli ultimi due anni è stato così più forte degli altri che parlando di lui capita spesso di imbattersi in aggettivi assoluti – imbattibile, intoccabile, invincibile – e parallelismi con personaggi delle storie di supereroi. Sulla sua bici ha un adesivo che raffigura l’incredibile Hulk, in questo Tour si è trovato a dover dire «no, non sono Superman, sono nato a Lubiana mica a Krypton», e già nel 2024 il Giro d’Italia lo paragonò a Thanos (l’antagonista della Marvel, che punta a ottenere le Gemme dell’Infinito, paragonate dal Giro alle più importanti corse del ciclismo mondiale). Thanos è noto per la frase spaccona con cui dichiara di ritenersi «ineluttabile».

Il Team Visma-Lease a Bike lo ha attaccato e isolato, lasciandolo così senza compagni di squadra ad aiutarlo nei momenti determinanti. La squadra ha anche cercato, in modo molto più deciso ed evidente rispetto al passato, di mettere pressione a Pogačar a livello mediatico e addirittura sul piano mentale ancor prima che su quello atletico, e Vingegaard è andato avanti dicendo tappa dopo tappa che il Tour non era finito, che tutto era ancora in gioco. Già dopo la tappa più dura, a Tour ancora in corso, il direttore sportivo Grischa Niermann aveva detto: «Non ci siamo mai fermati, ma a essere sincero non ho mai pensato davvero che potesse cedere». Vingegaard ha detto, come già l’anno scorso, di aver fatto alcune tra le migliori prestazioni della sua intera carriera.

In tutto ciò Vingegaard è comunque l’unico che ci ha provato e il solo che – a parità di forma – può ragionevolmente pensare di battere Pogačar al Tour. È da cinque anni che i due arrivano uno primo e l’altro secondo, e quest’anno il distacco tra Vingegaard e il terzo in classifica (il tedesco Florian Lipowitz) è maggiore di quello tra Pogačar e Vingegaard.

Non è ovviamente impossibile pensare di poter battere Pogačar al Tour, e nello sport si sembra “imbattibili” fino al momento in cui si smette di esserlo. È però evidente che persino Vingegaard e il Team Visma-Lease a Bike le abbiano provate tutte, senza riuscirci. La sensazione è che più che migliorare Vingegaard o arrivare qualcuno di ancora più forte (cosa che sembra ancora lontana dal poter succedere), debba peggiorare Pogačar: allenarsi peggio, perdere motivazione, cambiare obiettivi o arrivare troppo stanco al prossimo Tour de France, o anche solo “annoiarsi” di vincere.

Perché in effetti se il Tour è il grande e principale obiettivo di ogni stagione di Vingegaard (che ancora non ha mai corso il Giro d’Italia), per Pogačar – che è anche campione mondiale in carica – è l’obiettivo principale in una stagione ricca di altre gare. Tra marzo e aprile Vingegaard ha corso la Parigi-Nizza, una corsa a tappe di poco più di una settimana. Pogačar invece ha vinto: la Strade Bianche, il Giro delle Fiandre, la Freccia Vallone e la Liegi-Bastogne-Liegi (alcune tra le più importanti corse di un giorno), ed è arrivato secondo alla Parigi-Roubaix e terzo alla Milano-Sanremo, due corse in cui sarebbe strano anche solo immaginare Vingegaard al via.

Pogacar all’arrivo della Strade Bianche, l’8 marzo a Siena (Dario Belingheri/Getty Images)

Milano-Sanremo e Parigi-Roubaix sono peraltro le uniche due classiche monumento (le più importanti corse di un giorno) che ancora deve vincere, oltre alle Olimpiadi (ha detto di avere come obiettivo quelle del 2028 a Los Angeles). Le altre le ha vinte tutte e tre più di una volta. Sono le corse meno adatte alle sue caratteristiche, e soprattutto quelle in cui deve vedersela con Mathieu van der Poel, un altro corridore fortissimo, che però si concentra appunto sulle corse di un giorno e per il quale è impossibile pensare di poter essere competitivo per la vittoria del Tour de France.

Pogačar perde, a volte e di poco. Solo non è successo negli ultimi due anni al Tour de France: la corsa più importante, che richiede di essere ciclisti completi e capaci di performare al meglio per tre settimane. E uno dei modi per immaginare che non lo vinca l’anno prossimo è che scelga di allenarsi sempre più in funzione della vittoria di Milano-Sanremo e Parigi-Roubaix.

Per quanto e come il ciclismo è legato al doping – in una misura in cui ancora oggi in squadre, associazioni e cabine di commento non mancano ciclisti associati al doping o addirittura squalificati per doping – è naturale che, ancor più che in altri sport, un dominio come quello di Pogačar faccia saltare fuori dubbi e domande.

Sono gli stessi dubbi e le stesse domande di un anno fa e degli anni precedenti, per ora con le stesse risposte. Al Tour de France di quest’anno sono state fatte centinaia di test, e chi vince tappe o è primo in classifica è sottoposto a test su base quotidiana, con campioni che sono conservati per anni, così da poterli testare anche in futuro, così da adattare l’antidoping a eventuali nuove e più avanzate forme di doping. Finora Pogačar non è mai risultato positivo a nessun test.

Come ha scritto AFP, tra i corridori professionisti «c’è chi – seppur in forma anonima – esprime dubbi sull’origine della superiorità di Pogačar», ma anche molti altri che lo ritengono solo un atleta fuori dal comune. Com’è successo che nel salto con l’asta è arrivato Mondo Duplantis, è capitato che nel ciclismo ci sia Tadej Pogačar: uno nettamente più forte di tutti gli altri, almeno finché non ne arriverà uno ancora più forte, o forte in modo diverso. O finché si stancherà di vincere così e così tanto.