Le università europee provano ad approfittare del caos di Trump
Molte hanno introdotto incentivi economici per attrarre gli accademici, ma per ora non si vede una forte ondata di trasferimenti

A fine marzo l’amministrazione statunitense di Donald Trump ha iniziato a cancellare miliardi di dollari in finanziamenti pubblici per le università, minacciandole e cercando di influenzare le decisioni anche di atenei prestigiosi come Harvard e la Columbia University. I paesi europei stanno cercando di approfittarne, e hanno attivato varie iniziative per incentivare il trasferimento di professori e ricercatori che ora lavorano negli Stati Uniti.
Non ci sono ancora dati complessivi ed è presto per farsi un’idea delle conseguenze delle decisioni di Trump. In generale però sembra che non ci sia stata una forte ondata di trasferimenti: sono noti alcuni casi isolati di accademici che hanno lasciato gli Stati Uniti come forma di protesta, ma sono una piccola minoranza su circa 1,5 milioni di persone che lavorano nel settore. Le università americane rimangono infatti molto attrattive grazie soprattutto a ingenti investimenti nella ricerca, che arrivano da fondi sia pubblici sia privati: per l’Europa è difficile competere in termini di finanziamenti, opportunità e condizioni economiche.
Un professore europeo che lavora in ambito biomedico negli Stati Uniti da quasi trent’anni (che preferisce rimanere anonimo) dice al Post che gli attacchi di Trump stanno cambiando la percezione del mondo accademico nel paese, rendendolo per molti un settore sempre meno gratificante: non solo per via dei tagli, ma per un nuovo clima culturale che tende a svalutare o a mettere in dubbio il significato e l’importanza della ricerca.
«Conosco colleghi più anziani, che potevano andare in pensione ma non lo facevano perché amavano il proprio lavoro. Oggi dicono: “Chi me lo fa fare?”», racconta il docente. «Si stanno perdendo intere generazioni di ricercatori: da un lato i più anziani, che avrebbero dovuto diventare i mentori; dall’altro i più giovani, che avrebbero dovuto crescere, formarsi, portare avanti il futuro della ricerca. Ti portano via tutto, ed è molto triste».

Un gruppo di persone protesta per sostenere ricercatori e dipendenti del National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH) di Morgantown, West Virginia, 23 aprile 2025. (AP Photo/Gene J. Puskar)
Ci sono alcuni indicatori che segnalano un aumento nell’interesse di accademici statunitensi a trasferirsi in università europee. Secondo i dati del portale di Nature Careers – una grande piattaforma di offerte di lavoro in ambito scientifico – le candidature presentate da persone statunitensi per impieghi all’estero sono aumentate del 32 per cento nei primi tre mesi del 2025, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’Università di Barcellona ha registrato un aumento nelle candidature di ricercatori e ricercatrici europee che lavorano negli Stati Uniti ma stanno pensando di tornare in Europa.
All’Università di Losanna (in Svizzera) le candidature spontanee di scienziati statunitensi al laboratorio dell’Associazione europea per la ricerca sul cancro sono aumentate di cinque volte da gennaio di quest’anno. I giornali hanno anche raccontato le storie personali di alcuni accademici che hanno deciso di lasciare gli Stati Uniti per motivi ideologici: si è parlato per esempio di Jason Stanley, docente di Filosofia alla prestigiosa università di Yale che si è trasferito all’università di Toronto, in Canada, in aperta polemica con l’amministrazione Trump.
Sono comunque casi circoscritti, che non necessariamente indicano una tendenza più ampia, anzi. Contattate dal Post, tre università italiane (la Ca’ Foscari di Venezia, l’Università di Bologna e l’Università di Padova) hanno detto di non aver riscontrato un aumento significativo di domande o manifestazioni di interesse da parte di ricercatrici e ricercatori che lavorano in atenei statunitensi.
Nonostante l’obiettivo di molti atenei sia rendere sempre più internazionale la propria offerta accademica, uno dei motivi potrebbe essere la barriera linguistica, visto che in Italia non ci sono ancora molti programmi e attività completamente in lingua inglese.

Il presidente francese Emmanuel Macron tiene il suo discorso all’evento “Choose Europe for science”, all’Università Sorbona di Parigi, 5 maggio 2025. (Gonzalo Fuentes/Pool via AP)
Ci vorrà tempo per raccogliere e analizzare i dati e farsi un’idea complessiva della situazione. Intanto l’Unione Europea e i vari stati membri stanno provando ad approfittare del caos creato da Trump, proponendo fondi e investimenti aggiuntivi nella ricerca per le persone straniere. Lo scorso maggio per esempio la Commissione Europea ha annunciato “Choose Europe”, un piano di investimenti da 500 milioni di euro (entro il 2027) per finanziare nuovi programmi delle università con l’obiettivo di attirare ricercatori dall’estero.
Ad aprile la Norvegia ha annunciato che a partire dal 2026 attiverà un programma da 100 milioni di corone (circa 8,5 milioni di euro) per attrarre ricercatori internazionali, e anche i governi di Spagna e Paesi Bassi hanno detto di voler mettere a disposizioni fondi aggiuntivi per i ricercatori in materie scientifiche interessati a trasferirsi, soprattutto dagli Stati Uniti.
Si sono mossi anche alcuni atenei. L’università di Aix Marsiglia, nel sud della Francia, investirà a partire dal prossimo anno accademico tra i 10 e i 15 milioni di euro per ospitare e finanziare il lavoro di circa 15 ricercatori stranieri per un programma triennale. Dodici università catalane hanno aderito a un programma statale da 30 milioni di euro per sostenere i ricercatori che lavorano negli Stati Uniti e che vogliono trasferirsi in Spagna, mentre la Vrije Universiteit di Bruxelles assegnerà finanziamenti dedicati e aprirà un nuovo ufficio per dare informazioni su visti e altre pratiche burocratiche. La facoltà di medicina dell’università portoghese NOVA ha attivato un programma da 2 milioni di euro per favorire i trasferimenti.
Molti di questi progetti criticano le politiche di Trump anche esplicitamente, citando per esempio i rischi che pongono alla libertà accademica e scientifica degli atenei americani.

Eric Berton, presidente dell’Università di Aix-Marsiglia, lancia il programma Safe Place for Science dando il benvenuto ai primi scienziati statunitensi selezionati per lavorare nell’università, Marsiglia, Francia, 26 giugno 2025. (Theo Giacometti/Guardian/eyevine/contrasto)
Come detto però per le università europee è molto difficile competere con quelle statunitensi, i cui investimenti nella ricerca restano di gran lunga superiori. Questi arrivano da fondi pubblici messi a disposizione dal governo federale, ma anche e soprattutto da privati: dalle rette universitarie molto alte, dalle donazioni di cittadini facoltosi, da fondazioni e aziende.
Il grande afflusso di fondi privati rende le università statunitensi meno dipendenti dalle decisioni (e dalle minacce) del governo. Harvard, la Brown University e vari altri atenei che sanno che la maggior parte delle donazioni che ricevono arriva da filantropi e fondazioni vicini al Partito Democratico, hanno recentemente invitato i propri donatori a contribuire ancora di più per colmare le scelte causate dalle politiche di Trump.



