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  • Venerdì 25 luglio 2025

Nicolás Maduro contro gli economisti

Il presidente venezuelano li considera pericolosi perché coi loro dati confutano la propaganda che minimizza una situazione disastrosa

Un murale raffigurante Maduro sbuca da dietro un autobus, a Caracas, il 5 giugno
Un murale raffigurante Maduro sbuca da dietro un autobus, a Caracas, il 5 giugno (AP Photo/Ariana Cubillos)
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In Venezuela la repressione ha colpito una categoria di persone che finora era stata risparmiata dagli arresti arbitrari e dalle sparizioni, che sono all’ordine del giorno per gli oppositori politici e gli attivisti per i diritti umani. Nell’ultimo mese il regime del presidente Nicolás Maduro se l’è presa con gli economisti e con gli analisti del cosiddetto “mercato parallelo”, cioè clandestino, del cambio tra dollaro e bolívar, la moneta locale che si è assai svalutata. Intimidendoli, il regime punta a nascondere l’aggravarsi della situazione economica già disastrosa, anche per via delle sanzioni degli Stati Uniti.

C’è una ragione se in Venezuela gli economisti e le piattaforme che tracciano il valore del bolívar rispetto a quello fissato dallo stato hanno un ruolo prominente. Il governo e le istituzioni venezuelane (controllate tutte dal governo) sono omertosi sul reale andamento dell’economia. Non vengono diffuse statistiche ufficiali sui principali parametri, come il PIL, e le rare volte in cui ciò avviene sono manipolate. Per questo la popolazione dipende dalle stime degli economisti indipendenti, e per questo il regime ha iniziato a considerarli un pericolo.

In Venezuela la Banca centrale aveva interrotto del tutto le pubblicazioni a ottobre dell’anno scorso: era un segno che le cose stavano andando sempre peggio. Anche l’ultima campagna di repressione è iniziata dopo la diffusione di dati particolarmente critici per il regime. A maggio l’Observatorio Venezolano de Finanzas (OVF), uno dei principali think tank indipendenti, ha stimato che l’inflazione mensile fosse aumentata fino al 26 per cento e quella annuale addirittura fino al 229 per cento.

Un mercato di Caracas, in una foto dello scorso aprile

Un mercato di Caracas, in una foto dello scorso aprile (AP Photo/Ariana Cubillos)

Da giugno sono stati arrestati almeno una ventina tra economisti e analisti, di cui una parte è stata poi liberata (non ci sono numeri precisi perché spesso le famiglie delle persone coinvolte chiedono di restare anonime per il timore di ritorsioni). Il caso più noto ha riguardato Rodrigo Cabezas, che fu ministro delle Finanze ai tempi di Hugo Chávez, il predecessore mitizzato di Maduro (al potere dalla morte di Chávez, nel 2013). Cabezas era un collaboratore dell’OVF e, nonostante il suo passato politico, era da tempo critico delle politiche di Maduro. È stato incarcerato il 12 giugno e liberato in questi giorni, insieme ad altri due economisti dell’OVF, dopo che per oltre un mese i familiari non avevano più avuto sue notizie.

Parte degli economisti arrestati era attiva su Monitor Dólar Vzla, uno dei più popolari portali sul mercato parallelo, che ora è stato costretto a bloccare le pubblicazioni: Monitor Dólar ha 1,3 milioni di follower su Instagram (il Venezuela ha 28 milioni di abitanti). Ha chiuso anche la piattaforma di criptovalute El Dorado che gli forniva i dati. In Venezuela la maggioranza delle transazioni avviene in dollari statunitensi, una valuta più affidabile di quella locale: come in altri paesi dell’America Latina, i cittadini se li procurano in larga parte sul mercato clandestino, a un cambio superiore a quello ufficiale.

– Leggi anche: Maduro è sempre più impopolare, l’opposizione sempre più impotente

A lungo il regime ha tollerato il mercato parallelo, ma ora dice di volerlo smantellare. Con la svalutazione del bolívarle attività di siti come Monitor Dólar sono diventate un problema perché confutavano la propaganda che racconta il bolívar come una valuta forte e stabile, e l’economia del Venezuela come florida, mentre invece è il paese con l’inflazione più alta e gli stipendi più bassi della regione. Nell’ultima pubblicazione di Monitor Dólar, risalente al 27 maggio, un dollaro era dato a 139 bolívar contro il tasso ufficiale che all’epoca era di 104.

Il bolívar ha perso due terzi del suo valore da quando, lo scorso autunno, Maduro aveva sospeso il tasso di cambio fisso col dollaro. Questa svalutazione, e in generale le difficoltà dell’economia venezuelana, sono anche diretta conseguenza delle sanzioni vecchie e nuove degli Stati Uniti, che hanno intaccato le riserve di dollari dello stato, usate storicamente per tenere sotto controllo il valore del bolívar e l’inflazione.

Un uomo conta una mazzetta di bolívar, la valuta venezuelana

Un uomo conta una mazzetta di bolívar, la valuta venezuelana (AP Photo/Ariana Cubillos)

Durante il mandato di Joe Biden gli Stati Uniti avevano sospeso le sanzioni sulle esportazioni energetiche venezuelane, particolarmente punitive perché l’economia del Venezuela dipende dal petrolio. Nel 2024 le sanzioni erano state ripristinate quando era fallito l’accordo tra Maduro e l’opposizione per fare elezioni democratiche. Donald Trump le ha poi inasprite, nonostante abbia riallacciato i rapporti con Maduro soprattutto sul rimpatrio di persone migranti.

Gli Stati Uniti infatti hanno minacciato di imporre un dazio del 25 per cento ai paesi che importano petrolio venezuelano, compromettendo i tentativi del regime di diversificare i clienti. Oggi il Venezuela dipende dalla Cina, a cui va la maggioranza delle sue esportazioni.

A febbraio inoltre l’amministrazione Trump aveva deciso di non rinnovare l’autorizzazione con cui l’azienda petrolifera statunitense Chevron opera in Venezuela, privando lo stato di una fonte essenziale di entrate in dollari (circa 200 milioni ogni mese, quasi metà del gettito versato dalle aziende straniere). In teoria Chevron doveva concludere il disimpegno entro fine luglio, ma in questi giorni i giornali statunitensi hanno scritto che il governo le darà una nuova autorizzazione, che però (a differenza della prima) non prevederebbe il pagamento di tasse al Venezuela. Non è chiaro sulla base di quale meccanismo, però, visto che per ora si sa del possibile rinnovo solo da fonti dei giornali.

Nicolás Maduro durante una parata militare a Caracas, il 6 luglio

Nicolás Maduro durante una parata militare a Caracas, il 6 luglio (Jesus Vargas/Getty Images)

Maduro ha riconosciuto il momentaccio. Ad aprile ha dichiarato un’«emergenza economica», conferendosi alcuni poteri straordinari, per quanto ce ne possano essere in una dittatura dove il presidente li accentra già tutti: è stata una mossa propagandistica, per dire che avrebbe fatto qualcosa e attribuire a fattori esterni la situazione (nella sua narrazione, ai dazi di Trump).

Non è una cosa del tutto inedita per Maduro: già nel 2013, all’inizio della sua presidenza, fece arrestare un centinaio di imprenditori con l’accusa di essere «parassiti capitalisti» che avevano drogato i prezzi. Diosdado Cabello, l’influente ministro dell’Interno che è responsabile della macchina repressiva del regime, in queste settimane ha usato toni simili: ha accusato le persone arrestate di voler fare un «sabotaggio economico», prospettando ulteriori arresti.

– Ascolta “Globo”: L’alleanza dei dittatori, con Anne Applebaum (italiano)