Davvero l’Argentina potrebbe passare al dollaro?

È la proposta del candidato ultraliberista alla presidenza Javier Milei, ma sarebbe probabilmente impossibile e controproducente

Il candidato alle presidenziali Javer Milei durante un comizio (Tomas Cuesta/Getty Images)
Il candidato alle presidenziali Javer Milei durante un comizio (Tomas Cuesta/Getty Images)
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Domenica si terranno le elezioni presidenziali in Argentina, un paese che da anni attraversa una crisi economica gravissima: l’inflazione è al 138 per cento, il peso argentino vale sempre meno e quasi il 40 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Dopo il fallimento del 2001, che portò il paese al collasso, l’Argentina non si è più ripresa, nonostante qualche momento di sollievo dovuto però soprattutto ai prestiti internazionali più che a reali miglioramenti.

In questo contesto di generale disillusione verso le soluzioni che la politica può offrire ai problemi economici del paese ha acquisito sempre più popolarità Javier Milei, un economista populista di estrema destra e attualmente membro del Congresso. Si è candidato con un inaspettato successo alle prossime elezioni e si è imposto come terza alternativa all’interno del tradizionale sistema bipartitico del paese. Ha idee molto radicali e bizzarre su qualsiasi tema e in economia propone cose che vanno addirittura oltre la definizione di ultraliberismo, scuola a cui sostiene di essere vicino: tra le altre cose, propone di abolire la banca centrale e la moneta argentina, il peso, e di adottare come moneta il dollaro statunitense.

L’idea di Milei si chiama “dollarizzazione”: vorrebbe che gli argentini smettessero ufficialmente di usare il peso, ritenuta una moneta inaffidabile, affinché tutta l’economia argentina girasse ufficialmente attorno al dollaro. Tutte le transazioni, da quelle più comuni di vita quotidiana agli investimenti, dovrebbero avvenire in dollari. In questo modo non ci sarebbe sostanzialmente più bisogno della banca centrale argentina, che vede come all’origine di tutti i guai economici del paese. Milei ha più volte sostenuto – i suoi comizi sono caratterizzati da una certa tendenza all’esagerazione – di voler «bruciare la banca centrale argentina».

Milei durante un comizio elettorale, a settembre: la motosega richiama i tagli drastici che promette di fare alla spesa pubblica (Tomas Cuesta/Getty Images)

La pessima gestione della politica monetaria argentina da parte della banca centrale è comunque ampiamente riconosciuta come una delle cause della costante inflazione nel paese. Dagli anni Sessanta in poi l’Argentina ha vissuto in una costante instabilità politica, in cui si susseguì una serie di governi (o in certi casi dittature) che ciclicamente ribaltarono del tutto la politica economica argentina. Ci sono stati periodi di generosissime ed economicamente insostenibili politiche sociali, a cui poi seguirono fasi di rigida austerità e di forte riduzione della spesa pubblica.

Nei decenni i governi che dovevano finanziare gli ingenti piani sociali hanno accumulato un enorme debito pubblico, finanziato soprattutto grazie alla collaborazione della banca centrale, che stampava moneta proprio con questo fine. Questa pratica si chiama “monetizzazione del debito” ed è stata progressivamente abbandonata dalle economie avanzate per tutte le distorsioni che comporta, tra cui un’altissima probabilità di creare inflazione. Semplificando molto, stampare moneta è come “dopare” l’economia, che cresce perché il governo ha finanziato la spesa pubblica grazie a soldi stampati appositamente, e non grazie a un sistema che cresce e che paga in proporzione sempre più tasse.

L’inflazione elevata causa enormi danni all’economia e alla società: genera incertezza ed è come una tassa che colpisce tutti i cittadini, soprattutto le fasce più povere. Ed è proprio quello che è successo in Argentina, dove 46 milioni di abitanti hanno imparato a convivere con l’inflazione da sempre.

Rispetto allo scorso anno i prezzi sono più che raddoppiati e il peso vale sempre meno, tanto che le banche sono alla ricerca di magazzini per stipare le banconote di taglio più piccolo, che ormai non valgono nulla. Con un’inflazione così dilagante, il denaro ha perso la sua funzione di riserva di valore e serve solo come mezzo di pagamento. Non c’è nessuna tranquillità nel mettere i soldi da parte perché di fatto nel tempo varranno sempre meno.

La popolarità delle proposte di Milei va vista in questo contesto: molti argentini hanno perso fiducia nel fatto che le misure economiche tradizionali possano risolvere questi problemi di lungo corso e vedono dunque come allettante l’idea di dollarizzazione dell’economia.

(Tomas Cuesta/Getty Images)

Oltretutto il dollaro ha già un ruolo significativo in Argentina. Gran parte del debito pubblico è in dollari, e proprio per le difficoltà della valuta locale consumatori e aziende usano i dollari anche per i piccoli acquisti quotidiani, detengono parte della loro ricchezza in dollari, consapevoli del fatto che è una moneta che realisticamente non perderà valore, e proteggono così il loro potere di acquisto.

Nel paese esiste un cambio ufficiale con il dollaro e uno clandestino, definito dólar blue, quasi doppio rispetto a quello ufficiale e perfettamente accettato a livello pubblico, con tanto di quotazioni sui giornali. Le autorità tollerano l’esistenza delle cosiddette cuevas (letteralmente, grotte), locali dove si va per cambiare dollari o euro in pesos e viceversa. Per strada si viene spesso avvicinati da persone chiamate arbolitos (piccoli alberi in spagnolo), che indicano la strada per raggiungere una delle tante cuevas. Apparentemente si tratta di banchi di pegno o “compro oro”, ma in realtà lì avviene lo scambio di valute. Gli argentini oggi usano le cuevas per comprare dollari nella speranza di ottenere più pesos cambiandoli dopo solo qualche settimana.

La dollarizzazione prospettata da Milei consentirebbe di ottenere tre cose che dal suo punto di vista sono auspicabili. La prima è che si fermerebbe istantaneamente la crescita dei prezzi, perché il dollaro americano non subisce la stessa inflazione del peso argentino, che è una moneta molto debole e storicamente instabile. La seconda è che semplificherebbe notevolmente la vita degli argentini, perché renderebbe ufficiale la valuta che spesso oggi è ottenuta in modo clandestino. Con la dollarizzazione gli stipendi verrebbero pagati in dollari e gli argentini li riceverebbero dunque dai canali ufficiali.

La terza è che con la dollarizzazione viene tolto qualsiasi potere alla banca centrale argentina, che in questo modo non potrebbe più stampare moneta perché il dollaro americano viene stampato solo dagli Stati Uniti. Secondo Milei la dollarizzazione dell’economia è l’unico modo per fermare il processo perverso di monetizzazione del debito e per bloccare sul nascere la tentazione dei governi di stampare moneta per finanziare costose politiche di spesa pubblica.

Messa in questi termini potrebbe sembrare che la dollarizzazione sia addirittura auspicabile per risolvere i problemi dell’Argentina. È riconosciuto però dalla maggior parte degli esperti che non solo questa politica non è concretamente attuabile nel breve termine, ma che infine non risolverebbe affatto i problemi del paese.

Milei durante il dibattito dei candidati presidenziali (Tomas Cuesta/Getty Images)

Innanzitutto la dollarizzazione di un’intera economia richiede una quantità materiale di dollari che l’Argentina non può avere nell’immediato. Con un sistema del genere, le banche e le famiglie argentine avrebbero bisogno di partire con una riserva di dollari iniziale, cosa che Milei non ha modo di fornire. Attualmente, l’Argentina non riesce neanche a ripagare i propri debiti in dollari nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, il suo principale creditore.

Infine i problemi dell’economia argentina resterebbero sempre lì. È vero che si toglierebbe ai governi la possibilità di stampare moneta per finanziare il debito, ma non è escluso che non sarebbero in grado di trovare altri modi per aumentare il debito pubblico. La disciplina nei conti pubblici richiede infatti una forte volontà politica, ed è improbabile che anche una riforma radicale come la dollarizzazione possa costringere i governi al rigore di bilancio. In più lo stato si priverebbe dei lati positivi per cui è utile avere una banca centrale propria: per esempio si toglierebbe anche la possibilità di usare la politica monetaria per stabilizzare l’economia quando ce n’è bisogno (come quando si aumentano i tassi di interesse per combattere l’inflazione).

L’Argentina sarebbe dipendente dalla politica monetaria degli Stati Uniti e si alimenterebbe il tossico legame del paese con il dollaro, che è da sempre un grosso problema per la maggior parte dei paesi emergenti e un grosso ostacolo allo sviluppo. Semplificando molto, le valute sono lo specchio delle economie che rappresentano: economie forti hanno monete forti e stabili, come il dollaro per gli Stati Uniti o l’euro per l’Eurozona; economie deboli e instabili hanno monete deboli e altrettanto instabili, che possono perdere rapidamente valore.

L’imposizione di una valuta forte, come il dollaro statunitense, a un’economia debole e sull’orlo del default, come quella Argentina, creerebbe una serie di distorsioni che finirebbero solo per danneggiare ulteriormente il sistema economico. La dollarizzazione non è comunque un’idea originale di Milei e ci sono già paesi che hanno adottato il dollaro statunitense come valuta ufficiale: Ecuador, Panama ed El Salvador, tre paesi ben più piccoli e molto meno problematici.

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