L’Argentina non sa più come sbarazzarsi delle banconote da 100 pesos

A causa dell'inflazione non valgono quasi più niente e nessuno le vuole: le banche le accumulano nei magazzini

(Tomas Cuesta/Getty Images)
(Tomas Cuesta/Getty Images)
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Una banconota da 100 pesos argentini vale 29 centesimi di dollaro, secondo il cambio ufficiale, e 14 centesimi secondo il cambio clandestino, il cosiddetto dòlar blue: solo un anno fa valeva più del doppio. Sono banconote che con l’attuale ritmo dell’inflazione in Argentina presto potrebbero non valere praticamente più niente, e che già oggi non sono più usate nelle transazioni quotidiane dei cittadini.

Nessuno le vuole e neanche le banche sanno più dove metterle: le stanno stipando in magazzini e in depositi affittati apposta in attesa che la banca centrale gradualmente le ritiri, sostenendo costi anche molto più alti rispetto al valore delle banconote custodite. Proprio perché è evidente che non saranno più usate, in Argentina si è preso a parlare di questi depositi come sarcofagos, ossia “tombe” da cui le banconote usciranno solo per andare al macero. Questa è solo una delle conseguenze della crisi economica gravissima in cui si trova l’Argentina da anni, con un’inflazione che quest’anno ha superato il 100 per cento su base annua per la prima volta dalla fine della iperinflazione degli anni Novanta.

Attualmente ci sono in circolazione 1,8 miliardi di banconote da 100 pesos. Le banche hanno l’obbligo di accettarle per i depositi e i pagamenti ma poi difficilmente riescono a rimetterle in circolo: se per esempio decidessero di riempire i bancomat di banconote di questo taglio, i distributori resterebbero subito senza soldi perché a causa dell’inflazione altissima anche per le piccole spese è necessario ritirare migliaia e migliaia di pesos. I distributori finirebbero le banconote con pochi prelievi.

Dal 2019 la banca centrale argentina ha praticamente smesso di accettare banconote di questo taglio a causa dei costi logistici che implicavano, per esempio in termini di trasporto e sicurezza. Inoltre, non è sufficientemente attrezzata per distruggere banconote in grandi quantità, e non lo è neanche per stampare tempestivamente banconote di taglio più elevato per sostituirle.

Al momento in Argentina circolano circa 8 miliardi di banconote di ogni taglio: sono tantissime e, per dare un termine di paragone, sono quasi il doppio di quelle che ci sono in Italia, che oltretutto ha un’economia ben più grande e sviluppata di quella argentina. Secondo l’attuale ritmo di stampa, entro la fine del 2023 ci saranno 11 miliardi di banconote in Argentina. La banca centrale riesce a ritirare e distruggere ogni anno circa 700 milioni di banconote, il cui valore è calato così tanto che ormai sono semplici fogli di carta. Per aumentare la capacità di smaltimento ha iniziato a mettere in piedi un nuovo stabilimento, ma ci vorrà del tempo affinché diventi operativo.

Una macchina della “Casa de moneda” a Buenos Aires, la fabbrica di banconote autorizzata dalla banca centrale argentina (Ricardo Ceppi/Getty Images)

Per ora quindi il problema resta delle banche commerciali sul territorio, che devono sobbarcarsi i costi di tenere immagazzinate tutte quelle banconote: devono pagare gli affitti dei depositi, il costo di trasportare le banconote e poi anche per la sicurezza dei locali. Le banche se ne lamentano molto e le associazioni bancarie stanno sollecitando da tempo la banca centrale affinché trovi una soluzione.

I problemi sulla circolazione delle banconote ricadono infine sui cittadini. Gli argentini convivono con un’altissima inflazione da tutta la vita e questo condiziona enormemente anche le faccende più pratiche. Con un’inflazione così dilagante, il denaro ha perso la sua funzione di riserva di valore e serve solo come mezzo di pagamento. Non c’è nessuna tranquillità nel mettere i soldi da parte perché di fatto nel tempo varranno sempre meno.

Oltretutto quando una moneta è molto svalutata ne serve tanta anche per comprare beni di poco valore. Il che vuol dire dover andare a fare piccoli acquisti con tantissime banconote, che poi i venditori devono verificare e contare. Proprio per tentare di arginare questo problema a febbraio è stata introdotta una banconota di taglio maggiore, da 2.000 pesos, che è ora quella di taglio più alto: vale 5,3 euro. Dal 2016 non vengono più coniate monete e dal 2020 nemmeno banconote di piccolo taglio, per cui si sono creati anche problemi pratici nella gestione dei resti: i prezzi si devono adeguare alle cifre tonde o qualcuno ci rimette sempre, che siano gli esercenti o i consumatori.

(AP Photo/Natacha Pisarenko)

Proprio perché le banconote di taglio più piccolo non valgono quasi niente, nell’ultimo anno si è diffusa la pratica di bruciare banconote tra le tifoserie delle squadre di calcio brasiliane, cilene e uruguaiane in trasferta in Argentina per le coppe sudamericane: i tifosi stranieri hanno distrutto in più occasioni banconote da 1.000 pesos per prendersi gioco della prolungata crisi economica del paese e dello scarso valore del peso.

Proprio per le difficoltà della valuta locale, la vita economica dei cittadini è ancora legatissima al dollaro statunitense. Nel paese esiste un cambio ufficiale con il dollaro e uno clandestino, definito dólar blue, quasi doppio rispetto a quello ufficiale e perfettamente accettato a livello pubblico, con tanto di quotazioni sui giornali.

Le autorità tollerano l’esistenza delle cosiddette cuevas (letteralmente, grotte), locali dove si va per cambiare dollari o euro in pesos e viceversa. Per strada si viene spesso avvicinati da persone chiamate arbolitos (piccoli alberi in spagnolo), che indicano la strada per andare da una delle tante cuevas. Apparentemente si tratta di banchi di pegno o “compro oro”, ma in realtà lì avviene lo scambio di valute. Gli argentini oggi usano le cuevas per comprare dollari nella speranza di ottenere più pesos cambiandoli dopo solo qualche settimana.

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