Usare la fame come arma di guerra
Affamare una popolazione è una tattica usata ancora oggi e un crimine punito di rado: Israele è accusato di farlo nella Striscia di Gaza

Fame e penuria di cibo sono legate alle guerre nella grande maggioranza dei casi: secondo l’Onu, il 70 per cento delle persone in situazione di grave insicurezza alimentare vive in paesi fragili o in guerra. Le guerre sconvolgono l’economia dei paesi in cui vengono combattute, provocano spostamenti di massa della popolazione e impediscono ad agricoltori e contadini di lavorare. Siamo quindi abituati a pensare che la fame sia soprattutto una conseguenza, un prodotto della violenza.
Proprio durante le guerre però la fame viene spesso usata anche come un’arma dagli stessi governi, che la utilizzano per colpire tutta o una parte di popolazione del paese considerato nemico. È una tattica che per lo più noi associamo alle guerre dell’antichità, per esempio agli assedi delle città medievali: è però rimasta molto comune, durante il Novecento e anche in molte guerre contemporanee.
Negli ultimi dieci anni la fame è stata usata come un’arma contro la popolazione civile in diversi conflitti. Per esempio, durante la guerra in Ucraina e l’assedio russo della città di Mariupol, nel 2022, la Russia era stata accusata di avere deliberatamente affamato la popolazione civile ucraina. Durante la guerra civile siriana, il regime di Bashar al Assad ricorse all’affamamento per conquistare città e aree che erano sotto il controllo dei suoi rivali: secondo le Nazioni Unite, lo fece in modo «sistematico».
Altri esempi recenti in cui la fame è stata usata come un’arma includono, tra gli altri, la guerra in Yemen e quella nel Tigrè, in Etiopia. Nella guerra in Sud Sudan, sia il governo che i ribelli hanno usato l’affamamento deliberato dei civili per punire le comunità che resistevano alla loro autorità. Nel 2023, quando il governo dell’Azerbaijan decise di rioccupare la regione separatista del Nagorno Karabakh, tra le altre cose bloccò per settimane l’ingresso di cibo, per convincere gli abitanti ad arrendersi.

Alcuni civili in un rifugio a Mariupol, in Ucraina, nel marzo del 2022 (AP/Evgeniy Maloletka)
L’utilizzo della fame come arma contro una popolazione specifica è meno difficile di altre operazioni perché spesso non richiede azioni militari dirette contro i civili, ma si realizza semplicemente impedendo o dirottando il transito del cibo e di altri beni essenziali alla sopravvivenza (anche se può avvenire pure in modi più diretti, per esempio con l’occupazione o la distruzione dei terreni agricoli da cui una popolazione dipende).
Il diritto al cibo è stato riconosciuto come diritto umano fondamentale dalla Dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948, ma l’uso della fame come metodo di guerra è stato proibito solo alla fine degli anni Settanta, in un protocollo delle Convenzioni di Ginevra (trattati che stabiliscono i diritti delle persone che si trovano in un conflitto armato). Affamare i civili è considerato un crimine di guerra dallo Statuto di Roma, il trattato che nel 1998 creò la Corte Penale Internazionale, ed è stato condannato da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 2018.
Nel diritto internazionale, l’espressione per indicare questo crimine è starvation as a method of warfare. In italiano è traducibile come “utilizzo della fame come metodo di guerra” ma ha un significato più ampio, riferendosi all’atto di privare la popolazione degli oggetti necessari al proprio sostentamento (non solo del cibo, quindi, ma per esempio anche dei medicinali e dell’elettricità). Tecnicamente, secondo la maggioranza degli esperti non sarebbe nemmeno necessario valutare le conseguenze dell’atto: la semplice privazione sarebbe di per sé già un crimine.
Finora però punire qualcuno per questo crimine specifico è stato molto complicato, spiega Rebecca Blumenthal, giurista della fondazione legale Global Rights Compliance ed esperta della questione. Più che essere considerato un crimine, spesso viene visto come una questione umanitaria. Inoltre alcuni importanti tribunali internazionali molto attivi in passato, come la Corte penale internazionale per l’ex Jugoslavia e il Tribunale Internazionale per il Ruanda, non lo contemplavano come crimine specifico all’interno dei loro statuti.
L’uso della fame come arma è stato punito dai tribunali internazionali come un singolo atto sottostante ad altri crimini, per esempio a quello di genocidio, ma non come crimine separato. Alla fine del 2024 la Corte Penale Internazionale emise un mandato di arresto per due importanti politici israeliani, il primo ministro Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, che è stato ministro della Difesa fino al 5 novembre 2024, con l’accusa di aver privato la popolazione civile della Striscia di Gaza di oggetti indispensabili per la propria sopravvivenza, inclusi cibo e acqua.

Un gruppo di palestinesi schiacciati in attesa della distribuzione del cibo a Beit Lahia, nella Striscia di Gaza, il 16 marzo 2025 (AP/Abdel Kareem Hana)
Nella Striscia di Gaza è in corso una grave crisi umanitaria. Il governo israeliano, che controllava il transito di persone e di merci già da molto tempo, da ottobre del 2023 ha bloccato le forniture di molti beni essenziali come cibo, acqua, medicine, carburante ed elettricità. Oggi permette l’ingresso solo di pochissimi aiuti umanitari, e il cibo resta molto scarso rispetto ai bisogni della popolazione e difficile e pericoloso da recuperare. Molte persone erano morte per malnutrizione già nei mesi successivi all’invasione israeliana, e la situazione adesso si è aggravata.
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Secondo diversi esperti, il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e Gallant ha un’importanza storica, perché per la prima volta due persone sono state incriminate specificamente per avere usato la fame come un’arma. Israele, finora, ha sempre negato tutte le accuse. Netanyahu ha accusato la Corte di essere «antisemita». Il governo israeliano ha anche sostenuto che la dimensione della crisi umanitaria attuale sia esagerata di proposito da Hamas, e ha detto che l’assenza di aiuti internazionali a Gaza sarebbe dovuta alla mancanza di cooperazione della comunità internazionale.



