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  • Mercoledì 23 luglio 2025

Anche in Italia si può fare causa a un’azienda per il cambiamento climatico

Lo ha stabilito la Cassazione, esprimendosi su un'importante causa civile contro Eni e lo Stato italiano

Un manifesto dell'organizzazione ambientalista Greenpeace appeso per protesta contro Eni sulla sede romana dell'azienda, il 5 dicembre 2023 (AP Photo/Andrew Medichini)
Un manifesto dell'organizzazione ambientalista Greenpeace appeso per protesta contro Eni sulla sede romana dell'azienda, il 5 dicembre 2023 (AP Photo/Andrew Medichini)
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La Corte di Cassazione ha stabilito che si può fare causa a Eni e allo Stato – in quanto suo azionista – per i danni causati dal cambiamento climatico. La Cassazione, che è il tribunale di ultimo grado della giustizia italiana, ha pubblicato un’ordinanza martedì riguardo a una causa intentata al tribunale civile di Roma dalle organizzazioni ambientaliste Greenpeace Italia e ReCommon, e da dodici persone che ritenevano di essere state danneggiate dagli effetti del riscaldamento globale.

La decisione potrebbe avere conseguenze rilevanti anche al di là di questo caso, e per questo è stata definita «storica» dalle associazioni ricorrenti. Finora infatti la magistratura italiana non ha esaminato cause che riguardano il clima globale, e non si sapeva con certezza se potessero ricadere sotto la sua giurisdizione.

La causa di Greenpeace Italia e ReCommon contro Eni e i suoi azionisti pubblici, cioè il ministero dell’Economia italiano e la sua società Cassa Depositi e Prestiti, è un esempio di climate change litigation, i contenziosi riguardo al cambiamento climatico. Sono una forma di attivismo ambientalista che coinvolge i tribunali e che si è diffuso in molti paesi del mondo.

Negli ultimi anni molti gruppi ambientalisti e singole persone hanno cominciato a fare causa a Stati o aziende per aver contribuito al riscaldamento globale con le proprie emissioni, o per non aver fatto abbastanza per contrastarlo. Questi processi si basano sull’assunto che, sebbene il cambiamento climatico sia causato dalle emissioni di gas serra prodotte sull’intero pianeta, anche i singoli paesi e le singole aziende (in particolare quelle che producono petrolio e altri combustibili fossili, come Eni) possano essere considerati responsabili per la parte che li riguarda, e limitatamente al territorio su cui i tribunali interpellati hanno giurisdizione.

In questo ambito è molto nota la causa contro la grossa società petrolifera britannica Shell, nei Paesi Bassi. Nel 2021 un tribunale nederlandese ordinò all’azienda di impegnarsi maggiormente per ridurre le proprie emissioni di gas serra, e anche quella sentenza venne ritenuta storica, perché per la prima volta un’azienda veniva obbligata a cambiare i suoi impegni per l’ambiente sulla base dell’Accordo sul clima di Parigi del 2015. Nel 2024 un tribunale d’appello ribaltò la sentenza e ora si attende il giudizio sul ricorso alla Corte Suprema nederlandese.

Nel caso su cui si è espressa la Cassazione, i ricorrenti hanno accusato Eni e lo Stato di aver violato gli impegni riguardo agli obiettivi di riduzione delle emissioni presi con l’Accordo sul clima di Parigi. Inoltre hanno chiesto alla giustizia italiana di obbligare Eni a ridurre le proprie emissioni in linea con gli impegni internazionali, e a pagare una multa nel caso non dovesse farlo.

Durante le prime fasi del processo, sia Eni che il ministero dell’Economia italiano e Cassa Depositi e Prestiti avevano messo in dubbio che il sistema giudiziario italiano potesse esprimersi in una causa del genere, per varie ragioni. Tra le altre cose Eni aveva argomentato che l’accusa di Greenpeace Italia e ReCommon riguardava questioni politiche e decisioni del governo italiano, e che quindi non potessero essere valutate dai giudici ordinari. Aveva anche sostenuto che la stessa accusa fosse incompatibile con il diritto di un’azienda a fare liberamente le proprie scelte, e che la propria condotta non potesse essere considerata illecita, dato che si tratta di una «legittima attività d’impresa, avente rilevanza strategica nel settore energetico».

In risposta a queste e altre contestazioni i ricorrenti avevano chiesto alla Corte di Cassazione di verificare che la causa potesse essere presa in considerazione dalla giustizia italiana e da quale tribunale, come prevede il codice di procedura civile. La Corte ha concluso che il tribunale di Roma può occuparsene, quindi ora il processo continuerà.

Eni ha commentato la decisione della Cassazione con un comunicato diffuso dalla Rai: «Finalmente si potrà riprendere il dibattimento innanzi al tribunale di Roma dove saranno smontati i teoremi infondati di Greenpeace e ReCommon sulle fantasiose responsabilità per danni attribuibili ad Eni relativi ai temi del cambiamento climatico, in un contesto rigoroso e rispettoso della legge».

Tra il 2021 e il 2024 c’era stata un’altra causa riguardo al cambiamento climatico in Italia, sempre presentata davanti al tribunale di Roma: in quel caso 24 associazioni e 179 persone avevano fatto causa allo Stato, rappresentato dalla presidenza del Consiglio dei ministri, affinché gli fosse ordinato di ridurre le emissioni di gas serra nazionali del 92 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. Il tribunale di Roma tuttavia aveva ritenuto di non avere la giurisdizione per esprimersi perché le azioni dei governi in merito al contrasto del cambiamento climatico dipendono da decisioni politiche che riguardano «valutazioni discrezionali di ordine socioeconomico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana».

Il caso più recente tuttavia è costruito a partire da una richiesta di risarcimento danni e non contesta le politiche dello Stato ma riguarda le sue responsabilità in quanto azionista di un’azienda che producendo e distribuendo combustibili fossili provoca necessariamente emissioni di gas serra.

Il vero obiettivo della causa – così come di tutti i processi sul clima – non è ottenere denaro da parte dei ricorrenti, bensì fare sì che un tribunale riconosca una violazione dei diritti garantiti dalla Costituzione e dai trattati internazionali e chieda una limitazione alle emissioni. In altre parole, le associazioni e le persone che hanno fatto causa a Eni e allo stato vogliono che siano ridotte le emissioni che causano il cambiamento climatico e al tempo stesso affermare la responsabilità dell’azienda petrolifera e dello Stato in questo grande fenomeno globale. È un obiettivo politico.