Due organizzazioni ambientaliste e 12 persone italiane hanno fatto causa a Eni e al ministero dell’Economia per i danni del cambiamento climatico

La sede dell'Eni a Roma, 21 settembre 2022 (ANSA / Fabio Cimaglia)
La sede dell'Eni a Roma, 21 settembre 2022 (ANSA / Fabio Cimaglia)

Le organizzazioni ambientaliste Greenpeace Italia e ReCommon e dodici persone italiane hanno fatto causa all’azienda petrolifera Eni e, in quanto suoi azionisti, al ministero dell’Economia italiano e a Cassa Depositi e Prestiti, per i danni subiti e futuri «derivanti dai cambiamenti climatici». Eni infatti è un produttore di combustibili fossili, petrolio e gas naturale, e di energia elettrica ottenuta dagli stessi: sono le sostanze la cui combustione emette i gas serra a cui si deve la crisi climatica in corso. Secondo chi ha intentato la causa, Eni ha «significativamente contribuito» al cambiamento climatico «con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole» dato che le conseguenze delle emissioni sono note da anni.

Peraltro Greenpeace Italia e ReCommon hanno trovato un rapporto del 1978 in cui Tecneco, una società appartenente a Eni, stimava in modo abbastanza accurato quanto sarebbe aumentata la concentrazione di anidride carbonica, il principale gas serra, nell’atmosfera entro la fine del Novecento e diceva che secondo alcuni scienziati questo fatto sarebbe stato un problema sul lungo termine perché avrebbe potuto causare un cambiamento climatico con gravi conseguenze.

Greenpeace Italia, ReCommon e le persone che si sono associate a loro, che vivono in aree d’Italia dove già si vedono gli effetti del cambiamento climatico, hanno chiesto al Tribunale di Roma di accertare il danno da loro subito e il fatto che Eni violerebbe i loro diritti «alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata». Chiedono anche che Eni sia obbligata a ridurre le emissioni dovute alle sue attività di almeno il 45 per cento rispetto al 2020 entro il 2030, per contribuire al contrasto al riscaldamento globale.

Tra le persone che hanno intentato la causa c’è un residente del Polesine, la parte della pianura veneta vicina al delta del Po: la zona rischia di subire sempre di più l’innalzamento del livello del mare e la risalita del cuneo salino, cioè dell’acqua marina nelle fonti di acqua dolce. Un’altra partecipante alla causa è residente in Piemonte, la regione del Nord Italia più interessata dalla siccità in corso da più di un anno.

Questa causa è la prima di questo tipo intentata contro una società privata in Italia, ma nel mondo ce ne sono già state tante. Una di queste è quella contro la grande società petrolifera Royal Dutch Shell, più nota come Shell, portata avanti dalle organizzazioni ambientaliste Milieudefensie e Greenpeace Netherlands insieme a più di 17mila persone per cui nel 2021 un tribunale olandese aveva stabilito che entro il 2030 Shell dovrà ridurre le proprie emissioni di gas serra del 45 per cento rispetto ai livelli del 2019; Shell ha poi fatto appello contro la sentenza. Sempre nel 2021 in Italia era stata avviata una causa contro lo stato per il cambiamento climatico, portata avanti da 24 associazioni e 179 persone.