Una telefonata dalla Siria
Ricevuta da Daniele Raineri una volta rientrato in Italia, come racconta nell'ultima puntata – per ora – della newsletter Outpost

Daniele Raineri è tornato in Italia dalla Siria, dove si trovava insieme al fotografo Gabriele Micalizzi. Da là ha scritto articoli per il Post come questi (altri ne usciranno nei prossimi giorni) e la newsletter Outpost, dove racconta il lavoro di giornalista in una zona di crisi, con storie e aneddoti che di solito non finiscono sui media.
Outpost è una newsletter che esce senza periodicità fissa, arriva ogni volta che Daniele è in viaggio e si interrompe al suo ritorno in Italia: questo, quindi, è l’ultimo numero da questa trasferta siriana. Non sappiamo ancora quando Outpost ripartirà e da dove: se vuoi riceverla puoi già iscriverti qui. Outpost è gratuita, come tutti gli articoli pubblicati sul Post, ma esiste grazie al sostegno di chi si abbona, con tutto il lavoro che la rende possibile. Se vuoi, puoi fare la tua parte e abbonarti anche tu.
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Puntata numero otto e finale di Outpost, per questo giro. E grazie per i messaggi che state mandando, li leggo tutti.
Ventiquattro ore dopo essere uscito dalla Siria, ricevo una telefonata dal ministero dell’Informazione siriana. Mi dicono che c’è un permesso pronto per me, posso andare nella regione di Suweyda. E se c’è un permesso per me, vuol dire che anche gli altri giornalisti stranieri in zona stanno ricevendo permessi per andare a Suweyda.
Sono stupito. A Suweyda per una settimana beduini e drusi si sono ammazzati, ci sono tra i cinquecento e i mille morti a seconda delle fonti, poi sono intervenute anche le forze di sicurezza del governo e tra loro elementi jihadisti – che il nuovo governo della Siria si porta dietro da anni. Infine anche gli israeliani sono entrati nel conflitto con bombardamenti multipli che hanno colpito pure Damasco.
Si parla di atrocità commesse da entrambe le parti. Il repertorio delle guerre civili. Cadaveri appesi ai semafori, cittadini trucidati, soldati catturati e fucilati a sangue freddo. È l’ultimo posto dove vuoi un po’ di giornalisti stranieri a gironzolare e fare domande alla gente. Per questo sono stupito.
Se dà il permesso così presto, e telefona persino, vuol dire che il governo si sente abbastanza sicuro di quello che può dire. Quando a marzo le milizie governative avevano massacrato gli alawiti sulla costa, la zona era rimasta chiusa più a lungo (il Post ha pubblicato un pezzo da lì pochi giorni fa). Il problema è che adesso sono in Italia. Succede. Ci rifaremo.

Un graffito copre la faccia di Hafez al Assad all’entrata di Damasco, 14 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
La Siria era stata un po’ trascurata dopo la rivoluzione di dicembre, poi durante questa trasferta sono successe molte cose ed è tornata di nuovo nei notiziari. Che era il senso di una conversazione fatta in redazione al Post prima di partire: andiamo, facciamo, troveremo cose da raccontare. Vale per la Siria e per altri posti. E vale anche per X. X è un luogo dove succedono molte cose. A dirla tutta, non vedo l’ora di avere un permesso per andare a X. Magari con qualcuno che sa fare le foto bene.
A proposito di Micalizzi. Ci siamo separati in un fast food all’aeroporto di Beirut, andava a fare uno shooting fotografico a Berlino.
Tra qualche giorno arriverà uno speciale Outpost trasferta siriana, con i link a tutti gli articoli e a tutte le puntate arretrate e una dose extra di foto.

Il mercato davanti al santuario sciita Sayyida Zeinab a Damasco, 9 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Manca la cosa più importante. Il ringraziamento ufficiale agli abbonati del Post. Outpost è una newsletter aperta a tutti, ma sono gli abbonati che la rendono possibile e che hanno reso possibile anche gli articoli dalla Siria. Grazie. Vi ho pensato ogni volta che facevamo benzina.
Ciao e al prossimo giro di Outpost – quando verrà,
Daniele



