La giustizia italiana si sta adoperando molto contro Ultima Generazione
Negli ultimi tre anni sono stati avviati oltre 180 processi, di cui pochi conclusi con sentenze di condanna
di Isaia Invernizzi

Entro la fine della settimana un giudice del tribunale di Roma deciderà se condannare o assolvere due attivisti di Ultima Generazione accusati di aver violato il foglio di via, un provvedimento che gli impediva di tornare nel comune dove avevano partecipato a una protesta organizzata per sensibilizzare le persone sugli effetti del cambiamento climatico. A Carrara tre attivisti e un’attivista affronteranno un’udienza preliminare in un altro processo; all’inizio della prossima settimana altri undici attivisti saranno in aula a Milano.
A settembre sono già in programma altre 13 udienze di altrettanti processi, a cui se ne aggiungeranno altre decine entro la fine dell’anno: sono solo una parte degli oltre 180 procedimenti giudiziari avviati negli ultimi tre anni, il segnale evidente di quanto la giustizia italiana sia impegnata a reprimere le azioni organizzate da gruppi e movimenti ambientalisti. Finora sono state fissate udienze di 72 processi, mentre altri 52 inizieranno nei prossimi mesi. Altri 58 sono già conclusi.
I processi coinvolgono singoli attivisti, ma anche gruppi da oltre dieci persone. Le accuse sono tutte molto simili: vanno dalla violazione del foglio di via, al blocco stradale, all’interruzione di pubblico servizio, all’imbrattamento di monumenti e opere d’arte. Nelle indagini e nelle udienze sono coinvolte centinaia di persone tra investigatori, funzionari delle procure e dei tribunali, pubblici ministeri, giudici e avvocati.
Ultima Generazione esiste in Italia dall’aprile del 2022 e si definisce una “campagna di disobbedienza civile nonviolenta”. Rispetto a movimenti ambientalisti come Extinction Rebellion (XR) e Fridays For Future (FFF), soprattutto nei primi anni ha scelto di seguire forme di protesta più radicali sia nel linguaggio che nelle azioni. Dall’estate del 2022, per esempio, gli attivisti hanno bloccato più volte il traffico sul Grande Raccordo Anulare di Roma e su molte altre strade in diverse regioni italiane. Hanno gettato vernice idrosolubile su opere d’arte all’interno dei musei, altre volte si sono incollati ai vetri di protezione delle opere esposte.
Queste azioni, molto contestate da chi si trova a doverne subire le conseguenze (soprattutto gli automobilisti durante i blocchi stradali), sono organizzate per sensibilizzare la popolazione sulla necessità di intervenire il prima possibile per limitare le conseguenze dei cambiamenti climatici.

Un’attivista di Ultima Generazione durante un’azione organizzata a Milano nel 2023, circondata da poliziotti (Antonio Masiello/Getty Images)
Negli anni Ultima Generazione ha presentato richieste puntuali al governo, come la chiusura delle centrali elettriche alimentate a carbone o maggiori investimenti sugli impianti che producono energia da fonti rinnovabili. Tuttavia il fine ultimo della mobilitazione non è tanto legato a questa o a quella misura, quanto a spingere l’opinione pubblica a considerare il cambiamento climatico un problema urgente, più centrale nel dibattito pubblico.
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Diversi esponenti del governo, in particolare il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, hanno detto più volte di voler reprimere queste proteste in modo più deciso. Nel gennaio del 2024 è stata approvata una legge che inasprisce le pene per chi danneggia opere d’arte e beni paesaggistici proposta dall’allora ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Nel decreto Sicurezza entrato in vigore lo scorso aprile invece sono state aumentate molto le sanzioni per chi partecipa a un blocco stradale: finora era prevista una multa che andava da mille a 4mila euro, ora è stata introdotta la reclusione fino a un mese, oltre a una multa fino a 300 euro.
L’orientamento repressivo seguito dal governo contro gli attivisti del clima ha legittimato agenti di polizia e carabinieri a intervenire con più forza contro le proteste, in alcuni casi fino a usare la violenza. Agli arresti sono seguite centinaia di indagini aperte dalle procure: non è possibile sapere quante siano con precisione perché molte si sono chiuse senza nemmeno arrivare in tribunale. Dei 58 processi conclusi, 35 sono finiti con un’assoluzione, 11 con sentenze di non luogo a procedere, 12 con una sentenza di condanna in primo grado, a cui seguirà un processo di appello.
L’impegno e lo stress di dover affrontare così tanti processi, oltre alle spese per pagare gli avvocati, hanno portato gli attivisti di Ultima Generazione a interrogarsi sulle modalità di protesta. Il problema è emerso in modo chiaro negli ultimi mesi, in cui il numero delle udienze ha superato quello delle azioni.
La maggior parte dei fondi che l’organizzazione riceve dalle donazioni viene investita in spese legali, anche se molti avvocati hanno offerto assistenza legale gratuitamente. «Affrontiamo i processi con molta consapevolezza, e per noi le udienze non sono importanti solo perché cerchiamo di non finire in galera, ma anche per portare all’attenzione della giustizia dati che dimostrano la validità della nostra mobilitazione», dice Simone Ficicchia, un attivista a cui è stata contestata la violazione di una decina di fogli di via. «Molti giudici riconoscono l’importanza di quello che facciamo».
Finora nessuno degli attivisti di Ultima Generazione è stato accusato di aver violato le norme inserite nel decreto Sicurezza. L’intervento del governo infatti è arrivato in ritardo rispetto al cambio di metodo già discusso e deciso all’interno del movimento, che da oltre un anno organizza più manifestazioni autorizzate, legali, e meno azioni radicali che rischiano di violare la legge, come i blocchi stradali.



