Fondare un partito politico negli Stati Uniti non è così facile
Servono molte firme e molti soldi, e avere risultati concreti sarebbe difficile anche per Elon Musk

Lo scorso sabato Elon Musk ha annunciato che avrebbe fondato un nuovo partito politico chiamato “America Party”. Musk l’ha presentata come un’iniziativa per dare ai cittadini un’altra possibilità di voto oltre al Partito Democratico e a quello Repubblicano, che da secoli dominano la politica statunitense in un sistema sostanzialmente bipolare.
Da sabato Musk non ha più dato dettagli, e qualcuno si domanda quanto siano seri i suoi propositi. Fondare un partito negli Stati Uniti infatti non è semplice: ci vuole molta burocrazia, e soprattutto molti soldi.
L’ostacolo più grande è assicurarsi che questo venga inserito nelle schede elettorali degli stati in cui intende presentare dei candidati. Come per molti altri aspetti burocratici, ognuno dei 50 stati statunitensi ha procedure diverse sulle candidature alle cariche elettive. Generalmente è necessario raccogliere molte firme: per esempio in Georgia, dove le regole sono severe, per accedere alla candidatura per il Congresso i candidati esterni ai due partiti principali devono raccogliere 27mila firme nel proprio distretto.

Elon Musk sul palco del comizio di Donald Trump a Butler, in Pennsylvania, 5 ottobre 2024. (AP Photo/Evan Vucci)
Anche l’aspetto finanziario è importante, soprattutto nel contesto statunitense, dove le campagne elettorali possono costare milioni di dollari. I partiti sono finanziati da una combinazione di donazioni di privati e contributi da parte di aziende e gruppi di interesse.
Per portare un nuovo partito a livello nazionale — cioè candidare almeno un o una rappresentante in ciascuno dei 435 collegi della Camera dei Rappresentanti — è necessario affrontare un processo molto più complesso rispetto a quello per presentare un singolo candidato alla presidenza. Le firme richieste per candidare 435 deputati sono molte di più rispetto a quelle necessarie per comparire sulle schede elettorali in tutti gli stati con una candidatura presidenziale. Solo per questa fase preliminare, i costi stimati per la raccolta delle firme supererebbero i 50 milioni di dollari: una cifra enorme per qualunque partito che voglia presentarsi come un’alternativa credibile a Democratici e Repubblicani.
Musk ha annunciato da solo e in modo piuttosto plateale l’intenzione di fondare un nuovo partito, seguendo un impulso più personale che strategico. È però un progetto molto ambizioso: pur avendo a disposizione grandissimi risorse economiche, non è affatto scontato che gli alleati e i consiglieri di Musk siano disposti a esporsi come lui, soprattutto se significa mettersi contro i due grandi partiti tradizionali e in particolare contro Donald Trump, che controlla quasi del tutto il Partito Repubblicano.

Un momento di festa durante la Convention Nazionale Democratica, 23 agosto 2024, allo United Center di Chicago. (Mike Segar/Pool via AP)
Trump ha rapidamente criticato l’iniziativa, definendola «ridicola» e dicendo che «i terzi partiti non hanno mai funzionato» (“third parties” è un’espressione della politica statunitense usata per riferirsi ad altre forze politiche oltre a Democratici e Repubblicani). Per mesi Trump e Musk sono stati molto vicini, sia a livello personale che politico, fino alla loro plateale litigata di inizio giugno. È quindi chiaro che il suo commento sia dovuto in parte all’astio.
È vero però che negli Stati Uniti i terzi partiti non funzionano, sia per ragioni storiche, sia per come funziona il sistema elettorale.
Per prima cosa i partiti non hanno una rappresentanza proporzionale al Congresso: alle elezioni vince chi prende più voti, anche se non ha ottenuto la maggioranza assoluta. Questo sistema, chiamato “Winner-take-all” o “First-past-the-post”, incide negativamente sui partiti minori, perché non superano mai il numero di voti dei partiti tradizionali: per esempio, se un candidato di un partito minore prende il 30 per cento dei voti nei collegi in cui si presenta, ma arriva ogni volta secondo o terzo, non elegge nessun candidato.
All’enorme svantaggio creato da questo sistema si aggiunge che gli elettori e le elettrici sono scoraggiati dal votare per i partiti minori perché sono consapevoli che probabilmente il loro voto andrebbe “sprecato” (tornando all’esempio, quel 30 per cento di elettori che hanno votato per il partito minore non avrà alcuna rappresentanza). Il risultato è che molte persone indecise su chi votare scelgono il “meno peggio” tra i candidati Repubblicani e Democratici.

Da destra, il presidente Bush, il candidato democratico alla presidenza Bill Clinton e il candidato indipendente Ross Perot durante il primo dibattito televisivo presidenziale, 11 ottobre 1992. (AP Photo/Greg Gibson)
In passato ci sono stati alcuni tentativi piuttosto rilevanti di rompere il bipartitismo. Theodore Roosevelt, dopo due mandati da presidente, nel 1912 fondò il Partito Progressista, o Bull Moose Party. Alle elezioni presidenziali di quell’anno non vinse, ma ottenne più voti rispetto al candidato del Partito Repubblicano, arrivando quindi secondo: fu l’unica elezione in cui uno dei due partiti tradizionali fu superato da una formazione politica minore.
È ricordato anche il Reform Party di Ross Perot, un imprenditore texano che alle elezioni presidenziali del 1992 ottenne il 19 per cento dei voti a livello nazionale, arrivando anche secondo in Maine e in Utah. Il suo partito era così rilevante che gli fu concesso di partecipare ai dibattiti politici con gli altri due candidati, il Repubblicano George H.W. Bush e il Democratico Bill Clinton (che vinse). Per partecipare ai dibattiti bisogna raggiungere una soglia minima di consenso nei sondaggi nazionali, solitamente fissata al 15 per cento.
Il Green Party di Ralph Nader, un avvocato e politico di sinistra, fu rilevante nell’elezione del 2000, e in particolare nei risultati in Florida, che furono estremamente contestati e causarono un grosso caso nazionale ricordato ancora oggi. In Florida Nader prese più di 97mila voti, una quantità complessivamente molto piccola, ma che di fatto influenzò il risultato finale: gli analisti fecero notare che se non ci fosse stato Nader il Democratico Al Gore avrebbe probabilmente vinto contro il Repubblicano George W. Bush, e sarebbe diventato presidente al suo posto.
– Leggi anche: Le incredibili elezioni presidenziali statunitensi del 2000
Dato che un risultato politico concreto — cioè ottenere seggi o influenzare in modo diretto la legislatura — è difficilmente realizzabile per un piccolo partito negli Stati Uniti, questi puntano spesso a “togliere voti” al partito tradizionale che considerano avversario e ad avvantaggiare l’altro: ne è un esempio il Green Party, che non ha mai superato la soglia del 2 per cento ma si ricandida a ogni elezione per cercare di intaccare il risultato del Partito Democratico. In altri casi l’obiettivo dei partiti terzi è più simbolico e consiste nell’ottenere risonanza mediatica, più che un vero accesso al potere politico.



