La classifica di ristoranti più influente e contestata al mondo

Della lista 50 Best Restaurants si parla ogni anno, ma per qualcuno è «lo zio ricco e fuori dal mondo dei media gastronomici»

Lo chef del ristorante peruviano Central, Virgilio Martinez, dopo aver ricevuto il premio World Best Restaurant, 2023 (EPA/Manuel Bruque)
Lo chef del ristorante peruviano Central, Virgilio Martinez, dopo aver ricevuto il premio World Best Restaurant, 2023 (EPA/Manuel Bruque)
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Il ristorante Maido di Lima, in Perù, è al primo posto della nuova classifica dei 50 migliori ristoranti al mondo, annunciata giovedì a Torino a partire dalla selezione fatta dagli oltre mille membri della World’s 50 Best Restaurants Academy, composta da critici gastronomici, chef e professionisti dell’industria alimentare di tutto il mondo. Il secondo è Asador Etxebarri di Axpe, in Spagna, e il terzo Quintonil di Città del Messico. Il ristorante italiano che si è posizionato meglio è il Lido 84 di Gardone Riviera, arrivato sedicesimo. Poi ci sono il Reale di Castel di Sangro dell’Aquila (18esimo), l’Atelier Moessmer – Norbert Niederkofler di Brunico (20esimo), le Calandre di Rubano di Padova (31esimo), il Piazza Duomo di Alba (32esimo) e l’Uliassi di Senigallia (43esimo).

La classifica è stata creata nel 2002 dalla rivista inglese Restaurant, e in pochi anni è diventata una delle più note e autorevoli, facendo concorrenza alle rinomate guide Michelin. Ma il modo in cui è compilata, le regole alla base del suo funzionamento e le idee sull’alta ristorazione che trasmette sono da anni criticate dai media gastronomici e da alcuni chef.

L’aspetto più contestato riguarda le norme di comportamento dei suoi 1.100 elettori, che sono piuttosto lasche. A differenza di quanto accade nelle classifiche pubblicate da testate internazionali come il New York Times e Le Monde, o basate su un sistema di ispezione indipendente e anonimo come la Guida Michelin, 50 Best Restaurants consente ai suoi elettori di accettare soggiorni, pasti gratuiti e altri benefici.

In teoria i votanti dovrebbero rimanere anonimi, ma nella pratica è impossibile, dato che si tratta di chef e critici gastronomici molto conosciuti nel mondo della ristorazione. Il rischio è insomma che le persone che hanno diritto di voto finiscano per usare il loro coinvolgimento nella classifica per fare pubbliche relazioni, facendo prevalere legami d’amicizia e favorendo i ristoratori a cui sono più legati.

Un’altra caratteristica che è stata criticata è la regola introdotta nel 2019 per cui i ristoranti che si posizionano primi poi non partecipano più alla classifica. Fu pensata per rendere il ranking più imprevedibile, dopo che per anni il primo premio era finito quasi sempre agli stessi due ristoranti, El Bulli (di Roses, nella regione spagnola della Catalogna, oggi chiuso) e Noma (Copenaghen), vincitori di cinque edizioni ciascuno. Da quel momento, i ristoranti già premiati vengono inseriti in una sezione speciale del sito chiamata “Best of the Best”, e non possono più essere votati.

È il motivo per cui non partecipa più nemmeno l’Osteria Francescana di Modena di Massimo Bottura, che vinse nel 2016 e nel 2018 (le uniche volte per un ristorante italiano). Secondo i critici, però, questa scelta rischia di penalizzare la qualità reale, escludendo a priori ristoranti che potrebbero continuare a meritare di vincere. I migliori ristoranti del mondo secondo la classifica, insomma, non sono davvero i migliori-migliori, ma i migliori che non hanno ancora vinto.

Altri punti spesso criticati sono la scarsa rappresentanza di ristoranti guidati da donne e l’eccessiva concentrazione dei vincitori in Europa e Nord America. Anche l’istituzione di un premio separato per la “migliore chef donna” è stato visto da molti come una forma di discriminazione implicita, dato che invece di valorizzare equamente le donne nella classifica principale le isola in una categoria a parte, come se non potessero competere alla pari con i colleghi uomini. Nel 2015, proprio per contestare questi meccanismi, alcuni critici gastronomici fondarono un gruppo di protesta chiamato Occupy 50 Best.

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Alcune riviste gastronomiche hanno spesso discusso dell’opportunità di non dare rilevanza alla classifica 50 Best, reputandola troppo autoreferenziale, sbilanciata verso l’Europa e incline a celebrare una ristretta élite di ristoranti già noti, più che a fotografare la reale diversità della ristorazione mondiale. Altre, come per esempio Bon Appétit, hanno deciso di parlarne in modo tutto loro, cioè trattandola come «lo zio ricco e fuori dal mondo dei media gastronomici», nel senso che ogni anno si presenta con grande clamore e pretese di autorevolezza ostentando menù da migliaia di euro, ignorando ampie aree del pianeta e proponendo una visione del fine dining (la ristorazione di alta qualità) elitaria, sessista e poco inclusiva.

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