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  • Venerdì 13 giugno 2025

Quanto è davvero avanzato il programma nucleare iraniano

Negli ultimi anni l'Iran aveva ripreso ad arricchire grandi quantità di uranio nei suoi siti più nascosti e difficili da attaccare

Tecnici al lavoro nel sito di Isfahan, in Iran, nel 2005 (Getty Images)
Tecnici al lavoro nel sito di Isfahan, in Iran, nel 2005 (Getty Images)
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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha motivato il massiccio bombardamento di giovedì notte contro l’Iran sostenendo che i siti legati al programma nucleare iraniano siano una «minaccia esistenziale» per Israele. Il governo israeliano ritiene che l’Iran fosse ormai prossimo ad avere una bomba nucleare, soprattutto in seguito a un’accelerazione delle proprie attività legate all’arricchimento dell’uranio, e che fosse quindi necessario un attacco preventivo. Avere notizie certe sullo stato di avanzamento del programma nucleare dell’Iran non è mai stato semplice, ma giovedì anche l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) delle Nazioni Unite aveva accusato l’Iran di violare gli obblighi sul nucleare.

Il programma nucleare dell’Iran è del resto da decenni al centro di polemiche, accuse e trattative nella comunità internazionale. L’Iran sostiene da sempre di voler sviluppare tecnologie nucleari per scopi civili – come la produzione di energia elettrica e l’impiego in medicina – ma negli anni sono stati raccolti numerosi indizi circa obiettivi ben diversi e orientati alla produzione di armi nucleari. Nel paese ci sono decine di siti e centri di ricerca dedicati allo sviluppo di tecnologie legate al nucleare, alcuni noti e oggetto dei bombardamenti israeliani, e altri segreti o comunque estremamente difficili da raggiungere.

Uno dei siti più conosciuti e tenuti sotto controllo è quello di Natanz, nel nord del paese. Israele ha annunciato di averlo colpito e il governo iraniano ha segnalato la presenza di alcuni danni, ma senza fornire particolari dettagli. I principali sistemi del sito dove viene trattato l’uranio sono a oltre 50 metri di profondità e protetti da uno spesso strato di cemento armato, difficile quindi da raggiungere con i sistemi che Israele utilizza solitamente per i bombardamenti.

Il sito di Natanz ospita migliaia di centrifughe, cioè i dispositivi che servono per arricchire l’uranio e renderlo utilizzabile per la fissione. Questo elemento chimico è naturalmente presente in alcuni minerali e ne esistono di diversi tipi (isotopi) a seconda di come sono fatti i loro atomi. Gli isotopi sono infatti atomi dello stesso elemento (hanno lo stesso numero di protoni), ma hanno quantità diverse di neutroni e quindi masse diverse.

L’uranio (U) naturale è principalmente un misto di U-235, che ha 143 neutroni, e di U-238, che ne ha 146 e che è di gran lunga più abbondante del primo. Il problema è che l’U-238 non si rompe facilmente nel processo di fissione (quello attraverso cui un atomo si spacca in due parti più piccole liberando energia) e non può sostenere la reazione a catena necessaria per produrre energia nei reattori nucleari o per le armi nucleari. È quindi necessario trattare l’uranio per aumentare la quota di U-235 in un processo che si chiama arricchimento.

Per farlo l’uranio viene convertito in un gas e viene poi inserito all’interno di recipienti che ruotano ad altissima velocità, un po’ come il cestello di una lavatrice, ma estremamente più veloce. Il processo fa sì che le parti più pesanti (U-238) vadano verso l’esterno, mentre quelle più leggere (U-235) rimangano vicine al centro. Il processo viene ripetuto più volte utilizzando migliaia di centrifughe collegate in serie (o a cascata) in modo da avere uranio arricchito, cioè con una maggiore quantità di U-235.

Rappresentazione schematica di una centrifuga per la separazione di U-238 (in blu) e U-235 (in azzurro)

Il processo di arricchimento è essenziale per avere il materiale da utilizzare nella fissione e per questo l’Iran ha costruito negli anni più siti per realizzarlo. Oltre a quello di Natanz, c’è quello di Fordow nel centro-nord occidentale del paese, costruito sempre nel sottosuolo, ma a una maggiore profondità rispetto a Natanz. La sua esistenza è stata confermata dall’Iran nel 2009, ma solo dopo che i servizi segreti di diversi paesi occidentali l’avevano scoperto. Anche a Fordow ci sono migliaia di centrifughe protette da una montagna, quindi molto più difficili da attaccare con le armi di cui dispone Israele.

L’Iran ha raggiunto importanti progressi nello sviluppo di queste tecnologie perché lavora ormai da decenni sul nucleare. Il programma fu avviato all’inizio degli anni Cinquanta con l’aiuto degli Stati Uniti nell’ambito di iniziative per il suo sviluppo per scopi civili. Ufficialmente l’Iran voleva un’alternativa allo sfruttamento delle risorse petrolifere per la produzione di energia, in vista del loro eventuale esaurimento, e si ipotizzava la costruzione di decine di reattori, anche se era discussa la possibilità di effettuare l’arricchimento dell’uranio direttamente nel paese o appoggiandosi ad altri paesi fornitori.

Le cose cambiarono con la Rivoluzione islamica nel 1979, quando con il nuovo regime ci fu una rottura di buona parte dei rapporti con i paesi occidentali. Quasi tutti i contratti furono cancellati e gli impianti in costruzione rimasero incompleti, con un ulteriore peggioramento in seguito all’avvio della guerra tra Iran e Iraq negli anni Ottanta. Nel decennio successivo il governo iraniano riavviò le attività legate al nucleare, anche grazie all’aiuto tecnologico di Cina, Pakistan e Russia, sostenendo di avere scopi unicamente pacifici, ma dimostrando scarsa trasparenza nei confronti dell’AIEA e della comunità internazionale.

Nei primi anni dopo il 2000 la scoperta da parte delle intelligence occidentali di siti nucleari iraniani fino ad allora tenuti segreti portò basi più solide a sostegno delle ipotesi su un programma per sviluppare armi nucleari. Furono avviate ispezioni da parte dell’AIEA e trattative diplomatiche che si rivelarono molto difficili, con sanzioni economiche decise dall’ONU.

La principale preoccupazione, soprattutto degli Stati Uniti e di Israele, erano i centri di arricchimento con le loro migliaia di centrifughe. Il governo di George W. Bush architettò insieme a Israele un’articolata operazione di spionaggio, che prevedeva l’impiego di Stuxnet, un software malevolo (“worm”) per sabotare a distanza le centrifughe iraniane. L’esecuzione dell’attacco avvenne quando era presidente degli Stati Uniti Barack Obama, congiuntamente ad alcuni attacchi mirati da parte di Israele per uccidere gli scienziati nucleari più in vista dell’Iran. L’iniziativa portò a un rallentamento delle attività di arricchimento, ma non le arrestò e l’Iran mostrò di avere la capacità di recuperare velocemente il tempo perduto.

Centrifughe per l’arricchimento dell’uranio a Natanz, in Iran, nel 2021 (IRIB via AP)

Furono intanto avviate nuove trattative diplomatiche guidate dagli Stati Uniti e con la partecipazione di Regno Unito, Francia, Germania, Russia e Cina che sfociarono nell’Accordo sul nucleare del 2015 (JCPOA), una sorta di compromesso in cui l’Iran accettava di ridurre drasticamente le attività di arricchimento, ricevendo in cambio la sospensione di una parte importante delle sanzioni economiche nei suoi confronti. L’accordo fu accolto con qualche scetticismo sull’effettivo impegno dell’Iran a ridurre il numero delle centrifughe, ma furono previsti diversi meccanismi di controllo e verifica da parte dell’AIEA.

Nel 2018 il presidente statunitense Donald Trump, all’epoca al suo primo mandato, decise di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo, sostenendo che non avesse funzionato e determinandone di fatto la fine. In poco tempo l’Iran riavviò le centrifughe e ne installò di nuove e più efficienti, tornando ad arricchire quantità crescenti di uranio a livelli evidentemente non orientati solamente alla produzione di energia elettrica o per scopi medici, riducendo le possibilità di controllo e ispezione da parte dell’AIEA.

Il JCPOA prevedeva un arricchimento massimo del 3,67 per cento, sufficiente per produrre energia elettrica ma distante da quello necessario per produrre armi nucleari. Dal 2018 l’Iran ha raggiunto livelli di arricchimento fino al 60 per cento e da alcune analisi l’AIEA ha trovato indizi di materiale arricchito fino quasi all’84 per cento. La quantità di uranio arricchito ha superato i 5.700 chilogrammi, contro i 300 chilogrammi previsti dal JCPOA, con almeno 165 chilogrammi di uranio arricchito ad almeno il 60 per cento. Questo livello rappresenta la quasi totalità del lavoro necessario per arrivare a un arricchimento del 90 per cento, cioè per avere materiale nucleare di grado militare.

Alla fine dello scorso anno l’AIEA aveva stimato che la quantità di uranio arricchito in possesso dell’Iran fosse sufficiente per portarlo in pochi giorni al 90 per cento e impiegarlo in quattro armi nucleari. La stima escludeva i tempi per la costruzione di uno o più ordigni nel loro complesso, per i quali sarebbero stati necessari 1-2 anni. Non ci sono comunque indicazioni di intelligence sul fatto che l’Iran utilizzerebbe in breve tempo un’arma di questo tipo sui propri obiettivi, compreso Israele.

Attaccare i siti dove avviene l’arricchimento in Iran non è semplice, soprattutto nel caso di Fordow. Gli Stati Uniti non ritengono che Israele abbia armi potenti a sufficienza per penetrare in profondità e raggiungere le camere dove sono installate le centrifughe più moderne ed efficienti. Anche per questo motivo l’attacco di giovedì notte ha interessato non solo i siti nucleari, ma anche una parte importante della catena di comando iraniana e vari scienziati.

In mancanza di informazioni chiare sui danni causati dagli attacchi israeliani, al momento è difficile fare previsioni sull’impatto dell’iniziativa sul programma nucleare iraniano nel suo complesso. Alcune attività potrebbero essere rallentate per qualche tempo, ma in mancanza di danni seri soprattutto a Fordow, l’arricchimento dell’uranio potrebbe proseguire come prima.