Elly Schlein, e tutto un mondo intorno
I tormenti della segretaria del PD raccontati, con molte altre cose, in Montecit., la nuova newsletter del Post sulla politica

Oggi è iniziata Montecit., la nuova newsletter del Post sulla politica scritta da Valerio Valentini, che per il Post segue le vicende politiche da Roma e dai palazzi delle istituzioni. Montecit. uscirà ogni venerdì e racconterà i fatti politici della settimana in modo chiaro, semplice e possibilmente divertente, senza cercare di convincervi di qualcosa – come assicura l’autore – ma provando a distinguere ciò che vale la pena sapere dal chiacchiericcio di fondo, e spiegando anche perché, a volte, il chiacchiericcio di fondo fa parte della storia.
Questa prima puntata parla dei trambusti innescati nel PD dalla sconfitta del referendum, e di come Elly Schlein pensa di aggirarli; fa un ritratto di Francesco Boccia, un personaggio decisamente interessante; spiega perché Berlusconi è ancora presente in parlamento, e nota come si è votato al referendum nel quartiere di Roma dov’è cresciuta Giorgia Meloni. E poi racconta di litigi nel governo per gli ambasciatori, di stramberie aerospaziali, e del perché non a tutti piace la nomina di un sindacalista come sottosegretario. E se avete sentito parlare di “fiscal drag” ma non avete capito cosa sia, con Montecit. lo capirete.
Di seguito pubblichiamo l’inizio di Montecit., se vi piace potete continuare a leggerla iscrivendovi qui.
Schlein troppo di sinistra, ma anche troppo poco
Come ogni storia che riguardi il centrosinistra, anche la sconfitta ai referendum ha dato nuova urgenza alla solita ricorrente domanda: e ora che succede, nel Partito Democratico? La risposta in breve è: poco o nulla. Nel senso che la segretaria Elly Schlein non rischia di essere sfiduciata (non nel breve termine, almeno, che è l’unico che conta in politica) e nel senso che difficilmente ci saranno stravolgimenti. Al che uno potrebbe chiedersi: bene, e allora perché imbarcarsi nelle dinamiche interne del PD, e peraltro farlo nel primo numero della nuova newsletter? Ma qui serve allora la risposta più lunga. E cioè che quel poco o nulla che succede non è affatto ininfluente.
Di tanto in tanto, nel PD accadono cose impensabili: tipo i 101 “franchi tiratori” contro Romano Prodi che è già convinto di essere eletto presidente della Repubblica; tipo che Nicola Zingaretti si dimette da segretario all’improvviso e tutti, perfino i suoi collaboratori più stretti, allargano le braccia e dicono “Boh”; tipo che Schlein vince il congresso contro ogni pronostico. Quindi seguire quel che succede nel PD, anche quando non sembra che succeda poi molto, serve a comprendere le evoluzioni di un partito complesso come nessun altro, e le cui vicende interne condizionano poi tutta la politica nazionale.
E quindi, di nuovo. Che succede nel PD? Una cosa si sa bene: c’è un’area del partito, la corrente più moderata (“riformista”, nel gergo della politica italiana), che ha criticato la gestione della campagna referendaria e che vive da tempo con disagio l’accordo che la segretaria ha stretto con Stefano Bonaccini. Il quale in teoria sarebbe il suo antagonista: o, almeno, così i riformisti speravano dopo le primarie del 2023, quando appunto Schlein sconfisse a sorpresa Bonaccini, il candidato dei moderati. Dovevano farsi la guerra, insomma, e invece fin dall’inizio hanno deciso di fare la pace, come accade spesso dentro il PD: un accordo che tutela entrambi – segretaria lei, presidente del partito lui – e che ha evitato, finora, che la conflittualità interna deflagrasse.
Si spiega così anche una stranezza che forse qualcuno tra i più attenti lettori di giornali ha notato: e cioè che mercoledì l’attesa intervista che Bonaccini ha dato al Corriere della Sera, e che a detta di alcuni avrebbe dovuto essere un momento di rottura, è stata invece estremamente accomodante. Qualche obiezione qua e là, qualche accenno di critica: ma nessuna vera presa di distanza dalla segretaria. Non era un caso: l’intervista era concordata, nel senso che Bonaccini l’ha fatta non in opposizione a Schlein, ma d’intesa con lei, e l’obiettivo era proprio stemperare la polemica.
Di questo atteggiamento i riformisti sono stanchi: vorrebbero un Bonaccini più aggressivo. Alcuni di loro pensano di affrancarsi da lui e rompere con Schlein; altri, più banalmente, pensano di farsi da parte del tutto (il senatore Alessandro Alfieri, per esempio, ha fatto sapere che sta «valutando seriamente» delle proposte che gli sono arrivate da istituzioni internazionali, e di lasciare dunque il suo attuale ruolo).
Ma la cosa notevole, e ancora poco raccontata, è che questa strana pace forzata sta indispettendo, e parecchio, soprattutto l’ala sinistra del partito, quella che fa per lo più riferimento all’ex ministro Andrea Orlando. In questi giorni lui e i politici che gli sono più vicini sono stati insolitamente silenti, e anche ad intercettarli nei corridoi della Camera, i membri della segreteria vicini a quell’area politica come Marco Sarracino e Peppe Provenzano preferivano liquidare la disfatta dei referendum con commenti a metà tra l’ironico e l’indispettito. La ragione della loro insofferenza è speculare a quella dei moderati: anche loro ne hanno abbastanza di questa strana stagione di concordia apparente, senza una maggioranza e un’opposizione interna ben definite. Ed è per questo che alla prima occasione utile chiederanno formalmente a Schlein di escludere dalla segreteria e dagli altri organismi direttivi i politici riformisti che non aderiscono alla linea più radicale del partito. D’improvviso la stessa Schlein, accusata da alcuni di essere troppo radicale, finirà per essere tacciata di eccessiva moderazione. Nel PD, spesso va così.
Quanto a lei, Schlein, l’essere strattonata sia da destra sia da sinistra non deve causarle chissà quali tormenti, in realtà, e anzi la confermerà nella sua decisione di stare lì, in equilibrio, a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Del resto nessuno pensa davvero di poterla sfiduciare, nei prossimi mesi: perché nessuno ne ha la forza e nessuno ha un candidato alternativo davvero valido da opporle in un eventuale congresso.
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