• Konrad
  • Mercoledì 4 giugno 2025

Cos’ha in mente Geert Wilders

Il leader dell’estrema destra ha fatto cadere il governo dei Paesi Bassi per recuperare consensi, ma potrebbe avere fatto male i calcoli

Geert Wilders durante il dibattito in parlamento dopo la caduta del governo, il 4 giugno all'Aia
Geert Wilders durante il dibattito in parlamento dopo la caduta del governo, il 4 giugno all'Aia (EPA/REMKO DE WAAL/Ansa)
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Il governo dei Paesi Bassi è caduto perché il leader dell’estrema destra Geert Wilders ha deciso che non gli conveniva più farne parte. Il ritiro del suo Partito per la Libertà (PVV) dalla coalizione ha preso alla sprovvista persino i ministri che esprimeva, oltreché ovviamente gli ex alleati. Wilders ha agito in modo repentino, rifiutando le loro concessioni, perché far precipitare la situazione era l’obiettivo: non solo far cadere il governo, ma farlo cadere per discordie sull’immigrazione. È il tema identitario del PVV, che ha perso consensi rispetto alle elezioni del 2023, quand’era stato il partito più votato: Wilders ritiene che ridargli centralità possa aiutare il partito a recuperarne.

Fin dall’inizio Wilders ha dettato i tempi della crisi di governo. Gli altri partiti della maggioranza li hanno subìti: sono il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD) dell’ex primo ministro Mark Rutte, i centristi di Nuovo Contratto Sociale (NSC) e il Movimento dei contadini e dei cittadini (BBB). Tutto era iniziato, la settimana scorsa, quando Wilders aveva presentato un piano di 10 punti con misure estreme contro l’immigrazione, tra le quali la chiusura dei centri d’accoglienza e il respingimento al confine dei richiedenti asilo.

Il governo del primo ministro Dick Schoof, che ha dato le dimissioni e resta in carica ad interim, era fragile fin dall’inizio, per le distanze tra le forze politiche che l’avevano formato. «Nessuno ha mai dubitato che sarebbe caduto, la questione era quando», ha riassunto la tv pubblica nederlandese NOS. In più occasioni era stato lì lì per finire, ma stavolta sono state diverse le modalità (oltre ovviamente all’esito della crisi). Domenica Wilders aveva presentato un ultimatum sul suo decalogo, imponendo agli alleati di sottoscriverlo nonostante fosse problematico sia in termini di fattibilità sia di diritti umani.

Il primo ministro nederlandese Dick Schoof, di spalle, va a presentare le dimissioni al re Willem-Alexander nel palazzo reale all'Aia, Paesi Bassi, 3 giugno 2025

Il primo ministro nederlandese Dick Schoof, di spalle, va a presentare le dimissioni al re Willem-Alexander nel palazzo reale all’Aia, Paesi Bassi, 3 giugno 2025 (EPA/REMKO DE WAAL)

Questa tattica serviva a costringere gli altri partiti a sostenere il piano in parlamento. Esulava però dagli accordi: i leader infatti avevano rinunciato a incarichi nel governo – per questo il primo ministro era un esterno – e Wilders, soprattutto per l’opposizione di NSC, aveva acconsentito a smussare alcune delle parti più xenofobe del programma. Tra lunedì e martedì il resto della coalizione aveva in parte ceduto, dicendosi disposto a lavorare a un documento condiviso o su proposte della ministra per l’Asilo espressa proprio dal PVV, Marjolein Faber.

A quel punto però era ormai evidente quanto impuntarsi, per Wilders, fosse soprattutto un pretesto.

Da giorni Wilders aveva smesso di rispondere alle telefonate di Schoof e martedì il governo ha appreso dell’uscita del PVV dalla maggioranza dal suo post su X. È stato un momento confuso perché era in corso l’incontro settimanale tra il primo ministro e i suoi quattro vice, inclusa quella del PVV, Fleur Agema, che non ne sapeva niente. Finalmente Wilders ha chiamato Schoof, che gli ha chiesto cosa sarebbe successo ai suoi nove ministri e sottosegretari. Wilders non aveva ancora deciso: ha detto che lo avrebbe richiamato e, quando lo ha fatto, gli ha comunicato che li avrebbe fatti dimettere.

Giornalisti in attesa fuori dalla residenza del primo ministro all'Aia, il 3 giugno

Giornalisti in attesa fuori dalla residenza del primo ministro all’Aia, il 3 giugno (AP Photo/Peter Dejong)

Il senso dell’operazione è addossare agli altri i fallimenti del governo e, al tempo stesso, sostenere di non aver potuto mantenere le promesse di politiche ancora più ostili sull’immigrazione per colpa loro. In estrema sintesi, il PVV vuole poter dire in campagna elettorale: ce lo hanno impedito, la prossima volta vedrete. In questi 11 mesi il governo di Schoof è stato piuttosto inconcludente e per Wilders rimpallare le responsabilità è strumentale pure a distogliere l’attenzione dalla reputazione di scarsa preparazione dei ministri del PVV.

Più di tutto, la mossa punta a ridare all’immigrazione la visibilità nel dibattito pubblico che aveva perso a discapito di altre priorità, anzitutto economiche. Secondo gli analisti politici, Wilders ambisce a rendere le prossime elezioni una sorta di referendum sulle sue proposte anti-migranti: il voto anticipato è lo scenario più plausibile della crisi, con ogni probabilità sarà in autunno (anche se nei Paesi Bassi non è raro che un governo dimissionario resti in carica a lungo in attesa che se ne formi uno nuovo: quello di Schoof si insediò 223 giorni dopo le elezioni).

Geert Wilders esce dal suo ufficio in parlamento, il 4 giugno

Geert Wilders esce dal suo ufficio in parlamento, il 4 giugno (EPA/Lina Selg)

Quella di Wilders, comunque, è una scommessa politica aleatoria, per varie ragioni.

L’immigrazione, su cui ha costruito i suoi successi, è un tema meno sentito da elettori ed elettrici rispetto al passato recente. In materia, tra l’altro, Wilders è probabilmente il politico europeo con il programma più radicale, fatta eccezione per i gruppi apertamente neofascisti o neonazisti. Già parte da una posizione di relativo isolamento politico: facendo cadere il governo, poi, si è alienato le uniche forze politiche che erano state disposte, seppur con riluttanza, a governare insieme a lui.

Con toni diversi, gli altri tre partiti del governo dimissionario hanno escluso di ripetere l’alleanza, accusando Wilders di «tradimento». Due di questi, BBB e NSC, sono calati così tanto nei sondaggi che rischiano di sparire dal prossimo parlamento. Il collante della coalizione era impedire alla Sinistra verde (PvdA/GL) di andare al potere ma, con questi livelli di consenso, i suoi partiti non avrebbero più la maggioranza.

NSC ha perso il suo leader più carismatico, Pieter Omtzigt, e ha risentito della partecipazione al governo. Solo la leader del VVD (i Popolari) Dilan Yesilgöz ha detto che non si pente dell’esperienza, pur criticando Wilders. Come detto, però, anche il PVV è arretrato nelle intenzioni di voto: è a stento primo, tallonato dalla Sinistra verde, e i sondaggi gli attribuiscono una trentina di seggi a fronte degli attuali 37. Non sono percentuali che consentirebbero a Wilders di coronare il suo sogno di diventare primo ministro, né di governare da solo.

Il meme si riferisce all’ultima volta che Wilders fece cadere un governo: era il 2012

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