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  • Giovedì 29 maggio 2025

Ragioni e pregiudizi dietro la cattiva reputazione delle arti marziali miste

Li hanno raccontati in un nuovo libro Alessio Di Chirico e Daniele Manusia, che amano questo sport

Momento di un incontro di arti marziali miste
Un incontro di arti marziali miste a San Diego, in California, il 22 maggio 2025 (Louis Grasse/TuffNUff)
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Le arti marziali miste, o “Mma” dall’acronimo in inglese, sono uno sport con problemi di reputazione e non senza buone ragioni. Sono malviste perché prevedono l’uso della violenza in modo più evidente anche rispetto agli altri sport da combattimento, ma anche per alcuni pregiudizi (per esempio quello secondo cui non ci sarebbero regole) e per l’ambiente che si è sviluppato attorno allo sport, cioè la lega Ultimate Fighting Championship (Ufc), seguita e apprezzata dal presidente statunitense Donald Trump e da dittatori e autocrati di paesi non democratici.

C’è anche però chi apprezza le arti marziali miste senza riconoscersi nell’ambiente dell’Ufc, ma per l’essenza di questa pratica sportiva: tra queste persone ci sono l’ex lottatore Alessio Di Chirico, terzo atleta italiano a combattere nella lega, e Daniele Manusia, fondatore e direttore del sito di informazione sportiva Ultimo Uomo. Insieme hanno scritto il libro Sempre, ovunque, contro chiunque. Vita di un fighter di Mma, uscito con la casa editrice 66thand2nd, che racconta la storia di Di Chirico e la sua visione sulle arti marziali miste. Ne pubblichiamo un estratto.

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In Italia non si è mai parlato di Mma come in quegli ultimi mesi del 2020. Per le ragioni sbagliate, anzi per la ragione più sbagliata in assoluto. Per la morte di un ragazzo di ventun anni, Willy Monteiro Duarte, ucciso in una rissa a Colleferro, paese dei Castelli Romani, la notte tra il 5 e il 6 settembre. Monteiro Duarte era un ragazzo di origine capoverdiana, solare e sorridente nelle foto pubblicate in quei giorni sulle prime pagine di tutti i giornali, un ragazzo che lavorava già come cuoco e che i suoi amici descrivevano come serio, responsabile, uno su cui si poteva contare. Quella sera ha raggiunto gli amici in piazza e quando è scoppiata quella rissa si è messo in mezzo facendo da scudo a un amico in terra, ricevendo un colpo al torace, un calcio, così forte da causargli un arresto cardiaco.

Tra i responsabili ci sono due fratelli, Marco e Gabriele Bianchi, legati alla criminalità locale, impiegati per riscuotere crediti, e praticanti di Mma, uno dei due aveva anche fatto un paio di incontri da professionista. Il dibattito scivola velocemente dal contesto sociale alla questione delle Mma. Cosa sono? Come fanno a essere legali? Non si parla della cultura machista che porta alla violenza tra ragazzi – anche senza preparazione in nessuna arte marziale – o della mancanza di opzioni per studiare o lavorare in quella zona (nel paese da cui provengono i due fratelli Bianchi, Artena, non c’è neanche una scuola superiore). È come se l’Italia scoprisse le arti marziali solo in quel momento.

I principali quotidiani e siti di informazione si affrettano a raccontare la brutalità di uno sport «dove si può tutto» e che si pratica «chiusi in gabbia»; parlano di «mosse di finalizzazione» traducendole ai lettori come «colpi per uccidere l’avversario» (è un calco dall’originale inglese, con cui si intendono i colpi da ko o le tecniche di sottomissione, ma l’atleta «finalised» non è certo un atleta morto); mentre i due fratelli, definiti entrambi «lottatori professionisti», anche se in realtà solo uno lo era, «sanno dove colpire e sanno come fare male». Questo, mischiato insieme a qualsiasi altra informazione personale su cui i giornalisti riescono a mettere le mani, rubata dai profili social o filtrata dalle indagini – tipo la presenza nei loro telefoni di video in cui si divertono a uccidere degli animali, tra cui una povera pecora.

Tra lo sport praticato dai fratelli Bianchi e l’omicidio di Willy Monteiro Duarte viene creato un nesso diretto di causa ed effetto, qualcuno arriva addirittura a proporre di bandire le Mma e «chiudere le relative palestre». Il mondo delle arti marziali miste si mette sulla difensiva e ipocritamente rifiuta in blocco qualsiasi associazione con i fratelli Bianchi. Si tratta pur sempre di persone che hanno speso anni della propria vita a far crescere uno sport talmente di nicchia che persino altri appassionati di arti marziali faticano ad accettarlo, e che hanno visto all’improvviso, davvero dal giorno alla notte, i propri sforzi vanificati da una coppia di bulli grotteschi, autori di un atto vile in cui a rimetterci la vita è stato un ragazzo pacifico e indifeso.

Anche sul piano globale la problematicità delle Mma è ormai venuta a galla. Se prima si trattava di uno sport estremo che attirava una nicchia tutto sommato trascurabile, un’umanità marginale più o meno irrilevante composta da pseudocriminali o veri e propri psicopatici, adesso è diventata la disciplina di riferimento per neonazisti europei e suprematisti statunitensi, che la vedono come «un’arma» da usare negli scontri in piazza, e che creano eventi apposta per stringere alleanze internazionali e reclutare nuove leve. È lo sport preferito di autocrati populisti e dittatori di mezzo mondo, la vetrina in cui si mostra ai suoi elettori Donald Trump, la passione del criminale di guerra ceceno Ramzán Kadýrov, fotografato e ripreso spesso in compagnia di fighter Ufc – il peso medio Khamzat Čimaev si è addirittura prestato a sessioni di sparring in cui in modo piuttosto evidente lascia vincere il leader sanguinario – e piacciono anche a Vladimir Putin, che ha telefonato al fighter daghestano Khabib Nurmagomedov subito dopo la sua vittoria contro Conor McGregor.

Negli anni a cavallo tra secondo e terzo decennio del secolo l’Ufc non deve più preoccuparsi di come regolamentare la brutalità (su quello ormai si è raggiunto un compromesso accettabile) ma deve gestire problemi se possibile più complessi: è stata criticata per la gestione della pandemia irresponsabile ed egoistica, ma anche per l’estensione dei suoi legami con gli Stati del Golfo Persico, per la questione delle commozioni cerebrali e per le paghe dei fighter, irrisorie in confronto ai guadagni, tanto che alcuni combattenti proprio in quegli anni si stanno impegnando nella formazione di un sindacato.

Anche le sue stelle non la stanno aiutando a fare bella figura. Conor McGregor, dopo aver raggiunto la massima popolarità possibile affrontando Floyd Mayweather in un incontro di pugilato che non verrà certo ricordato per ragioni sportive, ha sporcato la propria immagine con scandali sempre più frequenti e gravi, tra cui molteplici accuse di stupro, una delle quali porterà a una condanna nel novembre del 2024. Molti degli sponsor di McGregor si sono allontanati da lui, con l’eccezione dell’Ufc, che d’altra parte, se dovesse prendere misure contro tutti i fighter che hanno problemi legali o che hanno rilasciato dichiarazioni controverse, probabilmente rimarrebbe senza un numero sufficiente di combattenti con cui organizzare un evento a settimana.

Complottismo, negazionismo dell’Olocausto, razzismo, omofobia, c’è tutto nel fantastico mondo delle arti marziali miste. Dana White [presidente della Ufc e grande sostenitore di Trump, ndr] in persona finirà nell’occhio del ciclone dopo essere stato filmato mentre schiaffeggiava sua moglie la notte di Capodanno (del 2023), superando lui stesso la linea rossa che aveva tracciato dieci anni prima quando aveva detto che «non si può tornare indietro dopo aver messo le mani addosso a una donna».

Se a un certo punto l’Ufc ha provato sinceramente a rendersi accettabile per gli standard di una società moderna e progressista, negli ultimi anni sembra averci rinunciato.

La buona notizia – si fa per dire – è che non ce n’è più bisogno: negli Usa e nel resto del mondo il #MeToo è un vecchio ricordo, così come il «politicamente corretto» e qualsiasi discorso di inclusività, mentre il confine tra legalità e illegalità è sempre più sfumato a tutti i livelli. Ancora una volta è stata la società civile ad andare incontro alla società dei fighter. Per questo fa quasi tenerezza ripensare a quando, nel 2018, Dana White è corso davanti ai microfoni dopo che il match più seguito e remunerativo nella storia della Ufc, il già citato incontro tra Conor McGregor e Khabib Nurmagomedov, è finito con una maxi-rissa dentro l’ottagono che poi si è estesa agli spalti, tra gruppi di tifosi russi e irlandesi.

«Non siamo questo, non è quello che facciamo» aveva detto in quell’occasione Dana White; ma la verità è che, almeno in parte, l’Ufc è proprio questo, ed è questo che attira molto del suo pubblico.

La copertina del libro "Sempre, ovunque, contro chiunque. Vita di un fighter di Mma"

In Italia il discorso è rimasto molto più contenuto e il caso dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte non ha fatto che confermare i pregiudizi che l’opinione pubblica già aveva riguardo alle Mma. Nel 2020 la maggior parte del pubblico, semplicemente, non ne vuole sentir parlare, e immaginare che una persona comune scelga di allenarsi in una palestra di Mma, o che dei bambini vengano iscritti a un corso di Mma come succede con il judo o il karate, sembra impossibile.

Provate, quindi, a mettervi nei panni di Alessio Di Chirico, o Marvin Vettori, che faticano a raggiungere le prime pagine dei giornali sportivi anche dopo le vittorie più importanti e adesso vedono il loro sport, quello che rappresentano al più alto livello, nominato su tutti i quotidiani in relazione a un crimine tremendo.

Non che le Mma italiane non abbiano problemi strutturali. La precarietà economica in cui vive la quasi totalità dei fighter, i confini poco netti tra dilettantismo e professionalità, come l’esibizionismo d’accatto con cui vengono promosse: sono tutti fattori che contribuiscono ad attrarre persone a cui non rimangono (o che non sanno vedere) altre strade se non quelle dell’illegalità e del combattimento, proprio come nel caso dei fratelli Bianchi.

Una parte di appassionati e operatori del settore in quell’occasione fa una sincera autocritica, evidenziando le divisioni interne al movimento italiano e la necessità di rivolgersi a un pubblico più grande, comunicando meglio e mettendosi d’accordo sui valori di base, su cosa insegnare dentro le palestre e cosa tenere fuori. Ma nel momento di massima intensità della tempesta mediatica bisogna salvare l’onore delle Mma da chi pensa di risolvere tutto cancellandole con un tratto di penna.

Vettori, interpellato dalla trasmissione tv Le Iene dice che gli autori di quel crimine sono «delle teste di cazzo», mentre Sakara in quello stesso programma rivendica il suo lavoro nelle scuole e il fatto che boxe e Mma «nelle periferie hanno salvato molte vite».

Dice Di Chirico a proposito dei fratelli Bianchi: «Io sono intervenuto nel dibattito dicendo che quelli non sono atleti, non sono niente. Mi sembravano dei ragazzini ignoranti, che non conoscevano la storia delle Mma ma le praticavano solo per McGregor». Alessio si è sempre considerato come un tipo di fighter all’opposto di Conor McGregor. Ed è vero che i fratelli Bianchi, a partire dall’estetica – proprio dai tatuaggi al centro del petto che ricordano quello di McGregor: un gorilla con una corona in testa e la bocca aperta mentre mangia un cuore – sembrano ispirarsi maggiormente a quel tipo di fighter.

Ma non è solo una questione caratteriale, Alessio pensa che il trash talking e l’ostentazione siano legate alla mancanza di soldi e occasioni economiche. «Se le Mma fossero davvero popolari e mainstream non ci sarebbe bisogno di mettersi in mostra e attirare l’attenzione scimmiottando McGregor». Far parlare di sé, anche per le ragioni sbagliate, genera follower sui social e pubblico agli eventi, quindi sponsor e soldi.

Alla fine di uno dei loro incontri, i fratelli Bianchi si sono scattati un selfie con l’avversario sconfitto ancora al tappeto, giusto dietro di loro. «Non esiste comportarsi in quel modo», per Alessio questa è una prova più che sufficiente del fatto che lui e i fratelli Bianchi non fanno parte dello stesso mondo. «Io ho una concezione precisa di questo sport, cioè che cambia la vita delle persone in meglio. La mia marzialità è sempre stata usata per autodifesa, non per imporsi su qualcun altro. Quello che è successo a Colleferro è un fatto orrendo, ma lì le risse c’erano tutte le sere e la situazione sociale critica è stata strumentalizzata. Quelli lo avrebbero fatto anche senza le Mma».

Certo non si può nemmeno dire che non ci sia violenza nelle arti marziali. «Le Mma sono lo sport più competitivo che ci sia. Ma c’è violenza anche nel calcio. Quando c’è competizione c’è violenza. Non c’è vittoria senza violenza. Nelle Mma due persone si accordano per mettersi in competizione tra loro nella maniera più pura che esista. Semmai quello che risulta violento, al pubblico che non le conosce, è il ground and pound quando l’avversario è a terra inerme, ma lì è l’arbitro che deve intervenire».

Alessio ama davvero le Mma. Di più: crede nelle Mma. Non è solo riconoscenza, attaccamento nei confronti dello sport che gli ha dato una condotta e un mestiere, lui pensa sul serio che possa portare benefici a tutti come è successo con lui, che sia una disciplina adatta a qualunque persona, di qualsiasi età e genere. L’esatto contrario di quello che pensano i detrattori che lo dipingono come uno sport eccessivo, difficile persino da guardare, ma anche di quello che dicono molti degli appassionati, che lo descrivono come uno sport elitario, solo per atleti di un certo livello e con una certa indole.

«Allenarsi in questa disciplina è davvero fico» dice invece Di Chirico. «È questo che vorrei che passasse come messaggio: il match magari non è da tutti, però tutti possono allenarsi. Io dico sempre: se vieni nella mia palestra ti faccio allenare e non ti faccio fare male, ti diverti e scopri com’è questo sport. Però di palestre così, di Mma, non ce ne sono molte».

Nessuno è più disilluso di lui nei confronti dell’ambiente, nessuno sa meglio quanta violenza ci sia e quante persone scelgano questo sport per i motivi sbagliati; ma, al tempo stesso, nessuno ha un’idea più alta delle Mma di quella che ha lui. Se anche lui non è esemplare, se si rende conto di aver sbagliato, e di poter ancora sbagliare in futuro, è solo perché non è all’altezza dei princìpi che il suo sport gli ha trasmesso.

«L’immagine dei fighter arroganti alla McGregor attira un pubblico superficiale, che bada alle cazzate, mentre perdi i fan che amano davvero lo sport. Io sono convinto che le arti marziali miste abbiano una funzione pedagogica. Il pubblico dovrebbe essere educato a vedere due artisti marziali che si confrontano per scoprire chi è più forte, pur sapendo che spesso è la sorte che decide il vincente, perché ci sono troppe variabili in gioco. È un duello, un rompicapo, uno scontro tra stili, e invece viene percepito come una rissa da strada, una prepotenza, un atto di bullismo. Me ne dispiaccio molto».

© Alessio Di Chirico, 2025
© Daniele Manusia, 2025
Pubblicato in accordo con l’editore 66thand2nd