Quanto fu nascosto il declino psicofisico di Biden quando era presidente
Alcuni libri usciti negli Stati Uniti mettono in fila bugie e cose non dette, e il recente annuncio di una diagnosi di cancro complica tutto

Alcuni libri che descrivono il declino cognitivo e fisico di Joe Biden nel periodo della sua presidenza stanno facendo molto discutere negli Stati Uniti. Il tema è particolarmente dibattuto anche perché in questi libri si sostiene che lo staff di Biden e il Partito Democratico abbiano cercato di nascondere al pubblico le condizioni del presidente.
Il più notevole è intitolato Original Sin, “Peccato originale”, ed è stato scritto da Alex Thompson, reporter politico di Axios, e Jake Tapper, presentatore e giornalista politico di CNN che tra le altre cose fu uno dei moderatori del disastroso dibattito tra Biden e Trump del giugno del 2024. Già quel dibattito aveva mostrato al pubblico il declino dell’allora presidente e il mese dopo aveva creato le condizioni per il suo ritiro dalla campagna elettorale.
Joe Biden ha 82 anni e pochi giorni fa ha annunciato che gli è stata diagnosticata una forma aggressiva di cancro alla prostata. Questo ha aggiunto un altro elemento alla discussione, perché il suo cancro è a uno stadio piuttosto avanzato: hanno cominciato a diffondersi teorie e ipotesi secondo cui la malattia sarebbe stata scoperta già anni fa, e sarebbe stata tenuta nascosta finora. Ezekiel J. Emanuel, un oncologo che ha parlato con la rete televisiva americana MSNBC, ha detto che secondo lui Biden sapeva di avere il cancro «mentre era presidente».
Non è chiaro quanto eventualmente il cancro possa aver contribuito al declino psicofisico di Biden, e per ora non sappiamo davvero da quanto Biden sia malato, e quando lo abbia saputo.
Il New Yorker ha pubblicato alcuni giorni fa un lungo estratto di Original Sin che racconta come Biden non abbia riconosciuto l’attore George Clooney durante un grosso evento elettorale nel giugno del 2024. Clooney non è soltanto una delle persone più riconoscibili del mondo, ma anche un noto elettore Democratico che aveva incontrato Biden molte volte e aveva contribuito a organizzare l’evento a cui entrambi stavano partecipando. L’estratto del New Yorker ha un titolo molto duro: Come Joe Biden ha consegnato la presidenza a Donald Trump.

Il dibattito tra Trump e Biden a giugno del 2024 (AP Photo/Gerald Herbert)
Due elementi importanti emergono da Original Sin, che Tapper e Thompson hanno scritto intervistando centinaia di politici Democratici e collaboratori di Biden. Anzitutto come il declino dell’ex presidente sia molto precedente a quanto si pensasse. I due scrivono che Biden cominciò a cambiare nel 2015, quando ancora era il vicepresidente di Barack Obama, dopo la morte di suo figlio Beau, che lo colpì profondamente. Ma aggiungono che il declino reale cominciò nel 2019, e si aggravò via via negli anni successivi.
A partire da quel periodo cominciarono a vedersi due Biden: “Good Biden”, quello in forma e vitale, e “Old Biden”, quello fragile e confuso.
Quando in quello stesso anno Biden annunciò la sua candidatura alle presidenziali del 2020, “Good Biden” era ancora prevalente su “Old Biden”. Nonostante questo, molti suoi collaboratori hanno descritto la pandemia da coronavirus che iniziò poco dopo come un vantaggio per la sua candidatura: a causa delle limitazioni al movimento delle persone, Biden trascorse quasi tutta la campagna elettorale del 2020 a casa sua, a fare convegni ed eventi in videoconferenza, potendo così evitare la campagna elettorale faticosa e intensa che i candidati fanno in tempi normali.
Dopo la vittoria alle elezioni, tra il 2021 e il 2023 “Old Biden” cominciò però a prevalere, e a quel punto la sua famiglia e i suoi collaboratori più stretti (che internamente venivano definiti il “Politburo”) iniziarono a mettere a punto misure un po’ per facilitare il suo lavoro, ma soprattutto per nascondere al resto del mondo il declino evidente del presidente. Di fatto, Biden era davvero attivo soltanto tra le 10 e le 16 (mentre normalmente i presidenti americani hanno orari di lavoro estremi), e in queste ore erano concentrati tutti i suoi eventi e tutte le sue riunioni. Trascorreva moltissimo tempo nella sua residenza personale e lontano dallo Studio Ovale, e c’erano giorni in cui cenava e andava a letto alle 16.
Le riunioni di governo divennero rarissime, perché i collaboratori di Biden temevano che non sarebbe stato in grado di rispondere compiutamente alle richieste dei suoi stessi ministri. Le poche volte che avvenivano, i collaboratori pretendevano dai ministri che fornissero in anticipo le domande e le richieste, così da poter preparare il presidente. Molti membri del governo di Biden cominciarono a ritenere che queste riunioni fossero eventi coreografati, in cui Biden era relativamente poco presente.
Il “peccato originale” descritto nel libro fu la decisione di Biden di candidarsi a un secondo mandato.
Durante la campagna elettorale del 2020 Biden aveva detto che la sua presidenza sarebbe stata un «ponte» verso le nuove generazioni del Partito Democratico. Molti avevano interpretato quella dichiarazione come la promessa che la sua presidenza sarebbe durata soltanto un mandato. Poi alle elezioni di metà mandato del 2022 il Partito Democratico ottenne un successo molto sopra le aspettative e Biden e il suo staff cominciarono a pensare che per battere ancora una volta Donald Trump fosse necessario ricandidarsi. Fu annunciato nell’aprile del 2023.
A quel punto molti esponenti dell’amministrazione e del Partito Democratico sapevano delle condizioni fragili del presidente, e molti altri nei mesi successivi ne vennero a conoscenza, oppure cominciarono a sospettare che le cose non andavano bene. Nessuno però prese posizioni pubbliche contro il presidente, e anzi tutti continuarono a dire che il presidente era energico e perfettamente capace di portare avanti il suo lavoro. Questo andò avanti fino al dibattito contro Trump, quando divenne impossibile nascondere le condizioni di Biden.
Original Sin non è l’unico libro sul tema: in questi giorni è uscito anche Fight, dei giornalisti Jonathan Allen e Amie Parnes, e tra due mesi dovrebbe uscire un ulteriore libro intitolato 2024 e scritto da Tyler Pager del New York Times, Josh Dawsey del Wall Street Journal e Isaac Arnsdorf del Washington Post, di cui sono già state pubblicate alcune anticipazioni. Tutti questi libri generano un’immagine dannosa non soltanto per Biden e per il suo staff, ma anche per il Partito Democratico, perché non è chiaro quante persone sapessero delle difficoltà del presidente e quindi quante non abbiano detto niente. Questa reticenza potrebbe aver danneggiato il Partito Democratico alle elezioni.
L’altra categoria che è stata criticata in questi giorni è quella dei giornalisti, che sono stati accusati di avere ignorato o minimizzato la fragilità e i problemi di Biden (che venivano tenuti nascosti, ma erano comunque visibili) fino a quando non è più stato possibile, la sera del dibattito.