Wes Anderson continua a fare la stessa cosa

Ed è una cosa che interessa sempre meno: i film-alla-Wes-Anderson, come l'ultimo presentato a Cannes

di Gabriele Niola

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In molti momenti di La trama fenicia, il nuovo film di Wes Anderson presentato domenica a Cannes, compaiono oggetti insoliti, fuori moda, d’epoca o anche del tutto inventati. Sono oggetti di scena che servono per pochi secondi, ma in quei pochi secondi attirano un’attenzione anche maggiore di quello che accade tra gli attori. In qualche modo è rappresentativo di una cosa che è cambiata nel cinema di Anderson, che tra gli anni Novanta e gli anni Dieci è stato uno dei registi più amati e originali di Hollywood. Un tempo i dettagli ricercati e l’attenzione all’aspetto estetico erano elementi importanti di film che però poi parlavano d’altro. Oggi sono diventati per molti versi il fulcro stesso dei film.

È un’evoluzione che, peraltro, non ha pagato commercialmente. Nonostante i cast dei suoi film siano sempre più ampi e ricchi di attori famosi – in questo ci sono Benicio del Toro, Michael Cera, Tom Hanks, Bryan Cranston, Riz Ahmed, Jeffrey Wright, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch, Bill Murray, Charlotte Gainsbourg e Willem Dafoe – gli incassi di Anderson si sono ridotti nel corso degli anni, e anche la considerazione critica non è quella di una volta.

Le proiezioni per la stampa a Cannes sono quelle in cui gli applausi non durano solitamente molti minuti, ma solo per pochi secondi e in modo più spontaneo, e sono a loro modo utili agli stessi giornalisti per farsi un’idea del gradimento del film. Quelli per La trama fenicia a Cannes sono stati pochi, timidi e brevi. E questo nonostante la storia riprenda personaggi e intrecci simili a quelli dei primi film, molto amati, del regista.

C’è un magnate pieno di figli che tratta con durezza e con i quali ha scarsi rapporti, che ne ha scelta una come erede dell’impero alla sua morte, nonostante non si sia mai interessato a lei. La ragazza sta prendendo i voti per diventare suora, ma lui vuole convincerla a seguirlo per imparare cosa fa, così che nel caso dovesse morire in uno dei molti attentati che i suoi nemici gli tendono di continuo qualcuno possa portare avanti le sue imprese.

È molto frequente per chi realizza film d’autore ritornare su trame, sviluppi e ambientazioni dei propri successi, quando si capisce che le nuove strade intraprese non hanno funzionato. Uno degli esempi più recenti è stato The Whale di Darren Aronofsky, un film girato dopo le grandi delusioni di due film molto più audaci e rischiosi come Noah e Madre! e molto simile per cast, svolgimento, tono e stile visivo a The Wrestler, uno dei suoi titoli più amati e premiati. Anche Nanni Moretti, dopo alcuni film lontani dal suo stile abituale e non propriamente apprezzati (Mia madre, Tre piani), ne ha girato uno più classico e in linea con ciò che i suoi ammiratori apprezzano maggiormente: Il sol dell’avvenire.

Alla stessa maniera Wes Anderson ha deciso di offrire al proprio pubblico qualcosa di più rassicurante. All’inizio della sua carriera aveva realizzato una serie di storie molto legate al tema delle paternità difficili: Rushmore, I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou e, per certi versi, Il treno per il Darjeeling. Allo stesso modo La trama fenicia mostra un padre interagire con la figlia in modo brusco e distaccato, come qualcuno che cerca un’utilità nei figli più che un affetto, e una figlia che invece cerca proprio l’affetto. Non è però solo la trama a dare l’impressione di qualcosa di già visto.

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È ancora una volta un film pieno di grandi attori, una modalità produttiva che è parte integrante del suo modo di scrivere i film ma che ha subito un’accelerazione a partire da Grand Budapest Hotel (2014) in poi. In quel film ogni singolo personaggio era interpretato da un volto noto, anche se appariva sullo schermo per pochi secondi. È una soluzione commerciale astuta, che aiutò il film a diventare il maggior incasso della sua carriera: 174 milioni di dollari in tutto il mondo, più del doppio rispetto al precedente Moonrise Kingdom, i cui protagonisti erano due ragazzi sconosciuti e gli attori noti erano usati per i ruoli di contorno.

La maniera in cui Anderson riesce a permettersi questi cast senza spendere budget grandissimi è pagando tutti la stessa cifra, molto bassa. Il fatto che avesse guadagnato come gli altri attori del cast fu una delle cose che portò Gene Hackman vicino a lasciare la lavorazione di I Tenenbaum, ma ormai gli attori hanno imparato che questa è la modalità di lavoro dei film di Anderson. Edward Norton ha raccontato di aver ricevuto 4.200 dollari per Moonrise Kingdom, il minimo previsto dal sindacato degli attori. Sostanzialmente, sempre secondo Norton, non solo non gli è convenuto, ma ci ha rimesso. Tuttavia tutti accettano perché «è come recitare nella miglior compagnia teatrale di sempre» e perché li impegna per poco tempo trattandosi di ruoli piccoli.

Questo espediente però sta funzionando sempre meno. I film successivi a Grand Budapest Hotel, cioè L’isola dei cani e The French Dispatch, hanno incassato rispettivamente 70 e poi 46 milioni di dollari, e quello ancora successivo, Asteroid City, circa 50 milioni. Questo a fronte di un budget totale in crescita, poiché si tratta di film sempre più complessi. Pur non avendo mai subito perdite, le sue produzioni sono spesso operazioni pensate per rientrare dei costi e non per generare profitti. Lo stesso Anderson del resto lavora molto anche a corti di moda, per Netflix o al di fuori del cinema.

È proprio quella componente dello stile di Wes Anderson che prevede una stretta armonia tra fotografia, scenografia e costumi che è diventata sempre più barocca e ingombrante, portando all’aumento dei costi. Si tratta di un elemento fondamentale del suo modo di costruire un’altra realtà: non quella del presente, né quella storica, ma una dimensione simile a quella dei libri illustrati, in cui ogni dettaglio obbedisce a uno stile quasi disegnato. Anche tra chi frequenta i festival si avverte una crescente insofferenza per l’esasperazione di questo stile. I film di Anderson infatti non hanno mai vinto in nessuno dei festival in cui sono stati presentati, eppure continuano a essere proposti in concorso, anziché nel posizionamento fuori concorso riservato solitamente a film con ampi cast che vogliono promuoversi al festival.

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Fare un film come La trama fenicia è così complesso che probabilmente Wes Anderson è l’unico regista ad aver sviluppato la maestria necessaria a mantenere la coerenza tra tutti gli elementi (non solo le immagini, ma anche la scrittura e la recitazione) evitando stonature. Per riuscirci non si può girare in location all’aria aperta come fanno gli altri film, ma solo nei teatri di posa, il cui affitto è molto costoso e che richiedono grande uso di maestranze. La trama fenicia in particolare è stato girato negli studi Babelsberg in Germania, strutture dal grande passato a cui Anderson tiene molto (spesso gira anche a Cinecittà), nei quali ha ricostruito anche le scene all’aria aperta.

Per riuscire in tutto questo Anderson da tempo lavora quasi sempre con le stesse persone, così che ognuno sappia già come interagire con gli altri e si possano ottenere grandi risultati in tempi e modi economici. Oltre agli attori ricorrenti ci sono per esempio Milena Canonero, la più grande costumista vivente (il suo primo film fu Arancia meccanica), il montatore Barney Pilling e lo scenografo Adam Stockhausen che ricorrono almeno da Grand Budapest Hotel in poi. Proprio questa concentrazione su uno stile divenuto estremamente preciso, sofisticato e riconoscibile sembra essere diventato l’obiettivo finale dei suoi film, che hanno ormai una sceneggiatura leggera, più concentrata sulla lingua parlata dai personaggi che su ciò che accade, come se la trama non dovesse ostacolare tutto il resto.