Com’è che Pierfrancesco Favino è diventato un attore da festival

Tra i film più commerciali e quelli d'autore c'è stato un ruolo che gli ha cambiato la carriera

(Gareth Cattermole/Getty Images)
(Gareth Cattermole/Getty Images)
Caricamento player

Fino al 2019 la carriera di Pierfrancesco Favino sembrava quella di un attore di successo specializzato in una grande varietà di ruoli – «adesso li fa tutti Favino!» – in film piccoli o grandi, più o meno originali ma quasi sempre con una spiccata vocazione commerciale. Era già uno degli attori del cinema italiano più richiesti, stimati e i cui film incassavano di più, ma era sempre rimasto fuori dal giro dei festival internazionali, e quindi da un certo tipo di riconoscimento di critica.

Poi quell’anno recitò in Il traditore di Marco Bellocchio, presentato in concorso a Cannes, e da quel momento la sua carriera è cambiata. Ora è un attore riconosciuto e considerato dalla critica e dall’industria europea, e quest’anno è di nuovo a Cannes ma con un film francese (di co-produzione minoritaria italiana): Enzo, ben posizionato come apertura della sezione autonoma Quinzaine des cinéastes, in cui Favino è coprotagonista.

Quello di Favino è stato un percorso anomalo nel cinema europeo, perché di solito gli attori e le attrici che fanno i film più commerciali non entrano nel circuito dei film più d’autore e del circuito festivaliero. Nei pochi casi in cui gli attori passano da un tipo di film all’altro di solito è facendo il percorso opposto, perché si sono fatti notare con film che hanno presenziato ai festival e poi vengono chiamati anche a fare quelli commerciali, come è capitato a Toni Servillo.

– Leggi anche: La nuova linea del festival di Cannes sta funzionando

Fino a Il traditore Favino aveva comunque ottenuto alcuni risultati che non sono frequenti in Italia: era riuscito infatti a uscire spesso dal cinema italiano per partecipare a film internazionali, in certi casi anche hollywoodiani. A partire da un ruolo molto piccolo in Una notte al museo, Favino era stato poi comprimario in film di Ron Howard (Angeli e Demoni, Rush), uno dei cattivi di Le cronache di Narnia – Il principe Caspian e aveva avuto un breve ruolo in World War Z; in più aveva recitato nella serie tv europea Marco Polo e aveva girato alcuni film francesi.

«Amo Ron Howard, ma probabilmente se mi fosse capitato di stare in un film di Wes Anderson, invece che in due dei suoi, sarei arrivato prima ai festival» dice Favino stesso riguardo al ritardo con cui è arrivato a Cannes o a Venezia, a 50 anni. «Ci sono autori considerati “più autoriali” e altri “più mainstream”. È una chiusura mentale che capisco poco, ma di cui comprendo i meccanismi», dice.

Poi arrivò il momento dei provini per Il traditore. Favino si sentiva particolarmente adatto per la parte principale, quella del pentito di mafia Tommaso Buscetta, che avrebbe dovuto interpretare sia nella parte della vita in cui divenne un pentito sia negli anni di delinquenza attiva. Quindi fece una cosa che non era abituato a fare. Dopo il provino, racconta, «chiesi a Marco [Bellocchio] di rivedermi». «Non lo faccio mai perché rispetto il fatto che i registi sanno cosa cercano, non tu, e loro sanno cosa vedono in te. Penso di essere stato coraggioso per la prima volta, ad andare a bussare una seconda volta. Immagino ci fosse la fila di gente che voleva quella parte», dice Favino.

Pierfrancesco Favino, Lily Gladstone, Nadine Labaki, Greta Gerwig e Eva Green, della giuria del festival di Cannes del 2024. (Gisela Schober/Getty Images)

L’insistenza non era parte di chissà che strategia per indirizzare la sua carriera, dice, ma funzionò. Il film a Cannes non vinse niente, ma da lì in avanti ai festival ci sarebbe andato spesso. Non con il suo film successivo, Hammamet di Gianni Amelio, in cui interpretò Bettino Craxi, ma con Padrenostro nel 2020, presentato in concorso al festival di Venezia e per il quale vinse la Coppa Volpi per il miglior attore. Il festival di Cannes quell’anno non si tenne a causa della pandemia ma due anni dopo, nel 2022, Favino ci andò con il film di Mario Martone Nostalgia. Nel 2023 invece fu a Venezia con due film: Comandante di Edoardo De Angelis e Adagio di Stefano Sollima. Nel 2024 poi fu di nuovo a Cannes con Il conte di Montecristo, in cui interpretava l’abate Faria, presentato fuori concorso, e a Venezia con un ruolo comprimario in Maria di Pablo Larraín, in cui Angelina Jolie interpreta Maria Callas.

Quel ruolo in Il traditore insomma per molti versi trasformò la sua carriera. Nonostante continui a essere composta da film commerciali dal buon incasso, adesso è per una grande parte anche una carriera da attore festivaliero, una delle poche che possono far conoscere all’estero un attore italiano. In Italia ci sono infatti pochi attori considerati delle star a livello internazionale, e non avendo il nostro cinema una risonanza commerciale mondiale ci si può arrivare solo girando il mondo con i film da festival.

È una star internazionale per esempio Toni Servillo, che è stato in tanti film molto venduti come La grande bellezza. È molto nota anche Alba Rohrwacher, che ha recitato in moltissimi film di successo festivaliero, è in uno dei pochi film italiani commerciali venduti bene all’estero (Perfetti sconosciuti) e in più ha una parte importante nelle ultime stagioni della serie L’amica geniale. Insieme a lei lo è un po’ anche Elio Germano, che ha vinto diversi premi internazionali importanti, per quanto mai con grandissimi successi.

Favino ha spiegato più volte che non si trattava di un obiettivo preciso ma più del desiderio di lavorare con i registi più importanti. E del resto Il traditore stesso non era un film pensato per quel percorso, ma anzi era un film “su commissione”, che a Bellocchio era stato chiesto di dirigere. Sarebbe stato in ogni caso difficile indirizzare una carriera in questo modo. Non è infatti possibile sapere se un film parteciperà o no a un grande festival nel momento in cui si accetta di lavorarci, ma conta molto l’intuito. Non è difficile immaginare che un nuovo film di Mario Martone o uno di Pablo Larraín avranno quel percorso, perché sono invitati quasi sempre; mentre non è prevedibile che andrà a un grande festival un film di sottomarini di Edoardo De Angelis come Comandante, o uno francese su un figlio e un padre, come è Enzo, il film che quest’anno ha aperto la Quinzaine des cinéastes.

Per quanto si definisca «per niente strategico» nelle scelte, Favino come tutti gli attori cerca di farsi un’idea di come possa essere il film quando legge un copione e valuta se accettarlo: «Un po’ di quello che il film sarà sta sulla pagina e lo capisci se non guardi solo al tuo mondo, ma lo metti in relazione al mondo che ti circonda. Forse è troppo dire che lo puoi prevedere, ma magari lo puoi intuire», spiega.

Significa che nelle considerazioni che fa, tiene in considerazione lo “spirito del tempo”, cioè il contesto del cinema e del mondo e il modo in cui è intercettato dal film. Soprattutto, dice, non guarda solo a come è quella che sarebbe la sua parte: «Non penso sempre al mio ruolo, è una cosa pericolosa, rischi di accettare un ruolo bello in un film che non lo è. Al contrario invece se il film è buono, anche un ruolo non eccezionale ne esce esaltato».