La Germania vuole ricordare la liberazione di Berlino senza la Russia

80 anni fa l'Armata Rossa entrò nella capitale tedesca dopo furiosi combattimenti, e le commemorazioni ora sono un problema

Un carrista russo fuori dal Reichstag distrutto, a Berlino nel maggio del 1945
Un carrista russo fuori dal Reichstag distrutto, a Berlino nel maggio del 1945 (Mark Redkin/Slava Katamidze Collection/Getty Images)
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Il 2 maggio del 1945 l’esercito sovietico (l’Armata Rossa) prese il controllo del parlamento tedesco, il Reichstag, dove si era concentrata l’ultima, disperata resistenza delle truppe naziste, completando così la conquista della capitale della Germania dopo una decina di giorni di furiosi combattimenti. Quel giorno fu firmata la resa di Berlino: quella della Germania, e quindi la fine della Seconda guerra mondiale, avvennero qualche giorno dopo, l’8 maggio. Adolf Hitler invece si era già ucciso nella notte tra il 28 e il 29 aprile.

Per via dell’anniversario tondo – 80 anni – in Germania da oggi all’8 maggio ci saranno commemorazioni ed eventi istituzionali particolari. In passato avevano partecipato anche rappresentanti della Russia, ma stavolta è problematico: fin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina infatti la propaganda del presidente russo Vladimir Putin ha cercato di spacciarla come una «denazificazione», per equipararla in modo distorto alla Seconda guerra mondiale. Per questo lo stato di Berlino ha deciso di non invitare rappresentanti degli altri paesi alle cerimonie, dopo che il ministero degli Esteri aveva raccomandato agli enti locali di escludere quelli di Russia e Bielorussia, per evitare che le strumentalizzassero.

Il 2 maggio del 1945 fu anche il giorno in cui venne scattata la celebre (e alterata) foto di un soldato dell’Armata Rossa che sventola la bandiera sovietica sul tetto del Reichstag, con le rovine di Berlino sullo sfondo. Come detto, quello fu il momento finale e risolutivo di una cruenta battaglia.

La foto della bandiera rossa sul Reichstag scattata da Yevgeny Khaldei

La foto della bandiera rossa sul Reichstag scattata da Yevgeny Khaldei (Getty Images)

Nel gennaio di quell’anno l’esercito sovietico era avanzato per più di 400 chilometri e a marzo aveva conquistato Kostrzyn, nell’odierna Polonia, aprendosi la strada verso la capitale tedesca. A quel punto aveva rallentato, anche per consentire ai rifornimenti di tenere il passo. L’ultima offensiva cominciò il 16 aprile: dapprima i sovietici conquistarono le alture di Seelow, l’ultima linea di difesa prima di Berlino, che circondarono il 20 aprile.

Per via della loro schiacciante superiorità numerica e di pesantissimi bombardamenti, dopo una settimana i sovietici controllavano quasi tutta la capitale tedesca. I difensori – male equipaggiati, demoralizzati e di cui facevano parte ragazzini e anziani arruolati con la forza – controllavano ormai solo i dintorni del Reichstag, in cui si rifugiarono i reparti delle SS rimasti, le milizie speciali del partito nazista che avevano compiti di polizia. I sovietici riuscirono a espugnarlo il 2 maggio.

All’interno dell’edificio del Reichstag, che oggi è la sede del Bundestag (il parlamento federale tedesco), tra l’altro sono stati conservati alcuni dei graffiti fatti dai soldati sovietici in quei giorni. Nel corso degli anni ci furono polemiche su questa scelta, perché molte delle scritte contenevano insulti e volgarità. Altri erano semplicemente firme, tracciate con il legno incenerito o i gessetti rossi e blu usati per aggiornare le posizioni degli eserciti sulle cartine militari.

Le macerie dopo i bombardamenti, nel maggio del 1945

Le macerie dopo i bombardamenti, nel maggio del 1945 (PhotoQuest/Getty Images)

L’attacco contro Berlino fu condotto senza alcun riguardo per i civili e per gli stessi soldati sovietici: si stima che ne morirono più di 70mila (il cimitero dove molti di loro furono seppelliti, Schönholzer Heide, è il più grande cimitero sovietico fuori dalla Russia). Durante la battaglia inoltre morirono più di centomila berlinesi; molti altri sarebbero stati uccisi nei giorni successivi e migliaia di donne sarebbero state violentate dalle truppe d’occupazione. Le modalità dell’attacco dipesero dagli ordini del dittatore sovietico, Josip Stalin, che era terrorizzato dall’idea che Hitler potesse fuggire o che le truppe inglesi e americane potessero entrare in città prima dell’Armata Rossa.

Dopo l’armistizio, come noto, il territorio di Berlino fu diviso in quattro settori, ciascuno assegnato a una delle potenze vincitrici: Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica. Alla fine della guerra nella zona della capitale si trovavano infine circa 370mila prigionieri di guerra stranieri, che erano in condizioni disperate: vennero liberati, ma il loro ritorno a casa fu lungo e complicato.

L’ottantesimo anniversario della fine della guerra, l’8 maggio, a Berlino sarà eccezionalmente una giornata di vacanza. Era accaduto per la prima volta nel 2020. Della ricorrenza in Germania si parla come di «giorno della liberazione» dal nazismo, secondo un’espressione coniata nel 1985 dall’allora presidente tedesco Richard von Weizsäcker. In queste settimane, come detto, il governo tedesco ha avvisato del rischio che i rappresentanti di Russia e Bielorussia strumentalizzino le commemorazioni.

L'ambasciatore russo in Germania, Sergey Nechayev, a una commemorazione, il 25 aprile a Torgau

L’ambasciatore russo in Germania, Sergey Nechayev, a una commemorazione, il 25 aprile a Torgau (Sean Gallup/Getty Images)

Il tema è diventato piuttosto urgente dopo che a metà aprile l’ambasciatore russo in Germania, Sergei Nechayev, si è presentato a una commemorazione della battaglia delle alture di Seelow. Nechayev non era stato invitato dalle autorità locali, che però gli avevano consentito di parlare. Il 25 aprile Nechayev l’ha rifatto a un evento a Torgau, e anche in quest’occasione ha potuto fare un discorso, anche se è stato fischiato. In queste occasioni Nechayev ha indossato un fiocco nero-e-arancio: i colori di un’onorificenza militare russa associata sia alla Seconda guerra mondiale che all’«operazione militare speciale», come la propaganda chiama l’invasione su larga scala dell’Ucraina.

Il governo tedesco ha minacciato di espellere l’ambasciatore se andrà ad altre cerimonie. Le indicazioni del ministero hanno avuto un’efficacia limitata anche perché non c’è un’organizzazione centrale delle commemorazioni: in molti posti vengono fatte nel giorno in cui furono liberati, settimane o mesi prima dell’8 maggio. Per moltissime delle principali città, però, il dubbio degli inviti non si pone, perché non furono liberate dai sovietici, ma dagli anglo-americani. Le forze Alleate infatti superarono il fiume Elba nel 1945, occupando Lipsia e tutta la Turingia. Tranne Berlino, l’unica città con più di 250mila abitanti liberata dai sovietici fu Dresda.

La ricorrenza della sconfitta della Germania nazista è un momento molto importante e cerimoniale in Russia: il 9 maggio è il Giorno della Vittoria e ogni anno viene celebrato con una parata militare a Mosca. Tradizionalmente Putin la sfrutta per fare propaganda e questo carattere si è accentuato dopo l’invasione dell’Ucraina. Per questo le istituzioni europee hanno fatto pressioni sui leader dei paesi dell’Unione perché non vadano a Mosca né mandino rappresentanti: per ora l’unico che aveva detto di volerlo fare è il primo ministro della Slovacchia, Robert Fico. In occasione del 9 maggio Putin ha annunciato una tregua di tre giorni, come aveva fatto poche settimane fa per la Pasqua ortodossa e nel gennaio del 2023 per il Natale ortodosso, senza rispettarle.

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