L’esposizione della salma di Pio XII andò malissimo
Un "metodo rivoluzionario" avrebbe dovuto conservare il corpo del papa per giorni: iniziò a decomporsi dopo poche ore, con le conseguenze che potete immaginare

La salma di papa Francesco sarà esposta nella basilica di San Pietro per tre giorni, fino al funerale di sabato 26 aprile, per consentire ai fedeli di osservarla e darle un ultimo simbolico saluto. È una pratica che si ripete dopo la morte di ogni papa, ma nel corso del tempo è stata rivista sia per ridurre i giorni di esposizione del corpo, sia per assicurarsi che questo non si deteriori col passare del tempo a causa dei naturali processi che si verificano dopo il decesso. Le tecniche sono state affinate e migliorate negli anni, soprattutto per non ripetere la disastrosa gestione della salma di papa Pio XII nel 1958, che a causa di una scorretta tecnica di conservazione si decompose velocemente mentre il corpo del papa era ancora esposto ai fedeli.
Quella vicenda costituì un momento di forte imbarazzo per il Vaticano, tanto da portare a una rimozione nei resoconti che dura ancora oggi. Gli errori e le sottovalutazioni che la causarono furono raccontati in alcuni libri e articoli di giornale, ma a distanza di quasi 70 anni continuano a esserci dettagli discordanti su come andarono le cose. La maggior parte delle fonti concorda comunque sul fatto che la principale responsabilità fu di Riccardo Galeazzi Lisi, un oftalmologo divenuto archiatra pontificio, cioè medico personale del papa.
Secondo una versione fornita dallo stesso Galeazzi Lisi in un proprio libro di memorie, pubblicato un paio di anni dopo la morte di Pio XII, per il trattamento della salma del papa si era deciso di utilizzare un nuovo tipo di tecnica di conservazione. Galezzi Lisi raccontò nel libro di averla esposta a Pio XII tempo prima della sua morte, quando il papa aveva detto di non essere a proprio agio con l’idea che il suo corpo venisse spogliato e manipolato dopo il decesso. All’epoca si procedeva spesso all’asportazione di buona parte degli organi, ritenendo che in questo modo la salma si potesse conservare più a lungo e meglio, soprattutto in vista dei nove giorni di esposizione ai fedeli solitamente previsti.
Galeazzi Lisi propose al papa un trattamento alternativo, che diceva di avere messo a punto con Oreste Nuzzi, un imbalsamatore di Napoli: «Gli mostrai [a Pio XII] quindi una mano (recisa in un incidente sul lavoro) che era stata trattata con il nostro metodo. […] Il Santo Padre rimase stupito nel vedere l’aspetto naturale e l’elasticità dei tessuti della mano presentati così ben conservati. Fu allora che discutemmo degli altri metodi utilizzati per la conservazione dei cadaveri».
Non è chiaro se in quella o in un’altra circostanza Pio XII acconsentì al nuovo metodo, e lo stesso Galeazzi Lisi nelle proprie memorie usa una formulazione ambigua, sostenendo che spesso il papa si esprimeva «chiaramente, se non del tutto esplicitamente» e che interpretò alcune sue frasi come «un’indicazione di una volontà chiaramente espressa, per sé, dopo la sua morte».

Papa Pio XII nel 1939 (Apic/Getty Images)
Pio XII si chiamava Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli, e fu uno dei papi più influenti del Novecento, a capo della Chiesa per circa un ventennio negli anni dei totalitarismi e della Seconda guerra mondiale. Morì a 82 anni il 9 ottobre 1958 mentre si trovava a Castel Gandolfo, la residenza estiva dei papi. Era un caldo inizio d’autunno e occorreva trattare il prima possibile il corpo di Pio XII, in vista del suo trasferimento a Roma per l’esposizione nella basilica di San Pietro.
Il 10 ottobre Galeazzi Lisi si mise al lavoro, procedendo con la tecnica che aveva ideato con Nuzzi dopo avere ricevuto il permesso dal cardinale e decano del collegio cardinalizio Eugène Tisserant, che avrebbe poi presieduto il conclave per eleggere il successore di Pio XII. La salma del papa fu avvolta in alcuni teli di cellophane insieme a una preparazione di spezie, erbe aromatiche e altri prodotti naturali non meglio specificati, ma che secondo Galeazzi Lisi erano simili a quelli impiegati per trattare il corpo di Gesù Cristo e che ancora più anticamente venivano utilizzati nei riti egizi. L’impiego del cellophane era «essenziale per trattenere gli aromi volatili e garantire la migliore imbalsamazione possibile», ma le cose andarono molto diversamente.
Il caldo di quelle giornate e il microclima con poco ossigeno che si era creato nel cellophane finì per fare accelerare notevolmente i processi di decomposizione. Non ci sono resoconti precisi, ma si racconta che in poche ore la salma di Pio XII iniziò a gonfiarsi e a diventare livida, ma soprattutto incominciò a sprigionare forti miasmi dovuti al decomporsi dei tessuti. Secondo alcuni racconti, difficili da confermare, la salma si lacerò a causa dell’accumulo dei gas derivanti dalla decomposizione, un evento che portò a una leggendaria versione secondo cui il corpo del papa esplose.
Al di là dei resoconti più o meno fantasiosi, si rese necessaria l’istituzione di turni di guardia di poche decine di minuti per la Guardia svizzera pontificia, per evitare che le guardie si sentissero male rimanendo troppo a lungo a respirare i forti odori prodotti dalla decomposizione della salma.
In seguito al peggioramento della situazione si ritenne opportuno convocare alcuni medici legali ed esperti in tanatoprassi, cioè nelle pratiche da seguire per la preparazione dei corpi in vista delle cerimonie funebri. Non è chiaro se in quei momenti furono sollevati dubbi sul lavoro svolto da Galeazzi Lisi, che del resto era un oftalmologo e probabilmente aveva competenze limitate nella gestione delle salme. I nuovi esperti effettuarono ripetuti trattamenti con sostanze disinfettanti come la formalina, per ridurre l’attività dei batteri che stavano facendo decomporre i resti di Pio XII.
La preoccupazione più grande riguardava il viso del papa, i cui tessuti si erano fortemente deteriorati e squamati. Si decise di applicare un pesante cerone insieme a sostanze che contribuissero a rallentare la decomposizione per lo meno superficiale del viso, una delle poche parti necessariamente esposte per consentire l’ultimo saluto da parte dei fedeli a San Pietro.

Il corpo di Pio XII nella basilica di San Pietro (David Lees/Getty Images)
Nelle proprie memorie Galeazzi Lisi cita il trattamento, ma non fa nessuna menzione dei gravi problemi che emersero in seguito alla sua applicazione. Segnala genericamente che ci furono polemiche che lo riguardarono, attribuendole al fatto che grazie alle sue cure Pio XII fosse vissuto più a lungo di quanto alcuni nella Chiesa cattolica avessero desiderato. In realtà Galeazzi Lisi fu allontanato appena una decina di giorni dopo la morte di Pio XII, quando fu accusato di avere scattato alcune foto al papa morente e di avere poi provato a venderle ad alcuni giornali. In seguito fu anche accusato di aver promesso l’esclusiva sulla notizia della morte del papa a un’agenzia di stampa, causando poi qualche incomprensione su quando Pio XII fosse effettivamente morto.
Per papa Giovanni XXIII, il successore di Pio XII, fu adottata una tecnica di imbalsamazione più scientifica, con l’impiego di preparati disinfettanti e disidratanti che furono iniettati nella salma. Il processo funzionò molto bene, tanto che nel 2001 quando il corpo del papa fu riesumato per un suo trasferimento era ancora perfettamente conservato. L’intervento si era comunque rivelato troppo invasivo e da allora si segue una tanatoprassi temporanea più contenuta, senza l’obiettivo di imbalsamare il corpo. Si utilizzano composti a base di formalina e di altri battericidi per rallentare la decomposizione, e si applicano trattamenti cosmetici per le mani e il volto, le uniche parti della pelle che rimangono esposte per giorni.
Messo al bando dal Vaticano da papa Giovanni XXIII, Riccardo Galeazzi Lisi continuò a sostenere di non avere commesso errori e di avere agito secondo le buone pratiche mediche. Morì nel 1968, dieci anni dopo il papa che aveva provato a imbalsamare con la sua tecnica rivoluzionaria.