Il rapporto di papa Francesco con la politica argentina non è mai stato buono
Dai tempi della dittatura agli scontri aperti con la dinastia dei Kirchner, il papa argentino è spesso stato al centro dello scontro politico

Papa Francesco ha sempre avuto rapporti complicati con i governi del suo paese, l’Argentina: li aveva quando era ancora Jorge Mario Bergoglio, e poi in seguito da papa. Durante il periodo in cui ancora viveva in Argentina ed era dirigente gesuita e arcivescovo di Buenos Aires, entrò in polemiche politiche molto aspre, e da papa non visitò mai il suo paese, a differenza dei suoi due predecessori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Politicamente Jorge Mario Bergoglio poteva essere definito nella politica argentina come un peronista di destra, cioè come un conservatore sociale e un populista politico (il peronismo è il grande movimento populista che ha dominato la politica argentina per gran parte degli ultimi 80 anni). Bergoglio era un tradizionalista quando si parlava di diritti e di conquiste sociali, ma ha sempre vissuto in maniera frugale ed è sempre stato vicino alle persone più povere e svantaggiate.
Nel 1973, a 36 anni, fu nominato provinciale (cioè di fatto capo) dell’ordine gesuita in Argentina e Uruguay. Tre anni dopo in Argentina ci fu un colpo di stato e il potere venne preso da una giunta guidata da tre ufficiali delle forze armate: il generale Jorge Rafael Videla, l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera e il brigadier generale Orlando Ramón Agosti. La giunta rimase al potere fino al 1983 e in quegli anni condusse quella che fu definita la “guerra sporca”: fece rapire e uccidere migliaia di oppositori e militanti di sinistra, secondo alcune stime oltre trentamila.
In quegli anni la Chiesa argentina mantenne un rapporto quanto meno ambiguo, se non simpatetico, nei confronti del regime militare: Videla in un’intervista di decenni dopo disse che il suo rapporto con la Chiesa locale era «eccellente».
Bergoglio, che della Chiesa argentina era un esponente importante, si mantenne in disparte: non sostenne apertamente la giunta, ma non ne denunciò le violazioni dei diritti umani. Si parlò molto in seguito del rapimento da parte del regime di due preti del suo ordine, Orlando Yorio e Ferenc Jalics: i critici di Bergoglio dissero che non aveva fatto abbastanza per loro; lui sostenne invece di aver contribuito alla loro liberazione, che avvenne dopo sei mesi di torture.
Dopo la fine della dittatura, negli anni Novanta, Bergoglio fu nominato vescovo ausiliario (cioè vice) dell’arcivescovo di Buenos Aires Antonio Quarracino, un conservatore. Alla sua morte nel 1999 lo sostituì, e nel 2001 fu nominato cardinale da papa Giovanni Paolo II. Da allora cominciarono i suoi scontri con praticamente tutti i presidenti argentini.
L’arcivescovo Bergoglio si scontrò con Carlos Menem (1989-1999), presidente peronista ma liberista, per le sue politiche economiche. Ma si scontrò soprattutto con Néstor e Cristina Kirchner, marito e moglie, che furono presidenti dell’Argentina rispettivamente tra il 2003 e il 2007 e tra il 2007 e il 2015.
Semplificando molto, i Kirchner erano peronisti ma di sinistra, cioè molto populisti ma anche progressisti a livello sociale. Bergoglio criticò duramente Néstor a partire dalle legittimità della sua elezione nel 2003, quando ottenne appena il 22 per cento dei voti, ma fu eletto ugualmente perché il suo avversario si ritirò dal ballottaggio (che tuttavia Néstor avrebbe vinto in ogni caso). L’arcivescovo si rifiutò di fare visita al presidente appena eletto nella Casa Rosada, il palazzo presidenziale, come sarebbe stata tradizione.

Bergoglio sulla metropolitana di Buenos Aires nel 2008 (AP Photo/Pablo Leguizamon, File)
Bergoglio accusò Néstor Kirchner di portare avanti politiche populiste che però non miglioravano davvero la condizione dei più poveri, e in numerosi sermoni e discorsi pubblici criticò non troppo velatamente il presidente, al punto che Kirchner definì l’arcivescovo «il capo spirituale dell’opposizione».
Gli scontri più gravi avvennero però sulle questioni etiche. Nel 2010 – quando la presidente era diventata Cristina Kirchner – Bergoglio avviò una campagna contro un disegno di legge per la legalizzazione dei matrimoni tra persone omosessuali. In una lettera privata ad alcune suore carmelitane (che fu rapidamente pubblicata) Bergoglio scrisse che il matrimonio omosessuale era il frutto «dell’invidia del Diavolo, mediante la quale il peccato è entrato nel mondo». Scrisse anche che il disegno di legge era un atto di «guerra contro Dio». La legge fu comunque approvata.
I Kirchner cercarono di controbattere: nel 2010 Bergoglio fu sentito come testimone nel processo sui crimini della dittatura degli anni Settanta, e fu lungamente interrogato sul suo ruolo nel rapimento dei due preti Orlando Yorio e Ferenc Jalics. I giudici non dimostrarono nessun coinvolgimento dell’arcivescovo, ma lui disse in seguito che quello era stato un tentativo del governo di «tagliargli la testa».

Bergoglio con Néstor e Cristina Kirchner nel 2004 (Fernando Massobrio/La Nacion/GDA/ZUMAPRESS.com)
Bergoglio fu nominato papa nel 2013, e da quel momento i rapporti con Cristina Kirchner cominciarono a distendersi. La stessa immagine di Bergoglio cambiò: dal gesuita arcigno che molti ricordano in Argentina, Bergoglio si trasformò piuttosto rapidamente in un papa più bonario e soprattutto sorridente. Lo ha riconosciuto lo stesso Francesco, nella sua autobiografia Spera, pubblicata quest’anno.
L’arcivescovo Agostino Marchetto, (…) che conosco dai tempi in cui condividevamo la residenza nella casa internazionale del clero di via della Scrofa, dove abitavo quando venivo a Roma da cardinale, ha detto qualcosa come: avevo una sola perplessità su Bergoglio, che non rideva mai… e ora invece lo fa sempre, sempre con il sorriso. La signora Cristina Kirchner, allora presidente della Repubblica argentina, ha sottolineato più o meno lo stesso concetto, solo in termini più coloriti e trancianti, diciamo: «Chi lo capisce questo papa? Quando era a Buenos Aires aveva la faccia di…» be’, qui ha detto una parolaccia «e adesso sorride a tutto il mondo!».
Nonostante i sorrisi, Francesco mantenne un rapporto piuttosto freddo con Mauricio Macri, il presidente conservatore e non peronista eletto nel 2015 dopo Cristina Kirchner, soprattutto per via delle sue politiche liberiste. Macri arrivò a sostenere che l’ostilità di Francesco ebbe un peso negli scarsi successi del suo governo. I rapporti con il successore di Macri, il peronista Alberto Fernández (2019-2023), furono accettabili ma non eccelsi.
Peculiare è stato invece il rapporto con l’attuale presidente argentino, l’ultraliberista di destra Javier Milei. Durante la campagna elettorale del 2023 Milei definì Francesco un «imbecille», uno «sporco progressista» e «il rappresentante del maligno in Terra». Essendo papa ormai da 10 anni, anche in Argentina Francesco aveva consolidato la sua immagine di progressista. Dopo una manifestazione antigovernativa a Buenos Aires a cui la polizia rispose con la violenza, il papa disse che il governo di Milei «invece di spendere per la giustizia sociale, ha comprato lo spray al peperoncino» usato contro i manifestanti.
Dopo la sua elezione a presidente, però, Milei capì che doveva «costruire una relazione positiva» con il papa. Lo visitò a Roma nel 2024, e lo abbracciò festosamente, dicendo che aveva «rivisto alcune sue posizioni».



