Il “decreto Sicurezza” peggiorerà la situazione già gravissima delle carceri
Lo dice tra gli altri l'associazione degli avvocati penalisti italiani; nel frattempo il governo continua a contraddirsi

Giovedì scorso il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha risposto alle interrogazioni dei senatori Ivan Scalfarotto di Italia Viva e Alfredo Bazoli del PD, che gli chiedevano conto dell’amministrazione delle carceri italiane e della gravissima situazione umanitaria che si vive al loro interno. Lo ha fatto con tono un po’ ironico, dicendo che «se aumenta il numero dei carcerati non è colpa del governo, ma di coloro che commettono dei reati e della magistratura che li mette in prigione, anche perché non risulta che siano stati imprigionati in base a nuove leggi promulgate da questo parlamento». In realtà sei giorni prima, su proposta della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e di altri tre ministri tra cui Nordio stesso, il governo aveva approvato un decreto-legge sulla «sicurezza pubblica» che introduce una ventina tra nuovi reati, aggravanti e aumenti di pena, e che quindi è destinato ad aumentare il sovraffollamento carcerario.
Quest’oggi in aula il ministro Nordio ha risposto al mio question time in modo evasivo e provando in modo inescusabile a scaricarsi di ogni responsabilità per lo stato della giustizia nel nostro paese. Davanti a un sistema carcerario al collasso, il ministro fa finta di ignorare… pic.twitter.com/qbYZ6PLgGp
— Ivan Scalfarotto 🇮🇹🇪🇺🇺🇦 (@ivanscalfarotto) April 10, 2025
È una previsione, questa, fatta da molti esperti e commentatori. L’Unione delle camere penali italiane, cioè l’associazione degli avvocati penalisti, per protesta contro il decreto ha deciso l’astensione dalle udienze per i prossimi 5, 6 e 7 maggio: una sorta di sciopero. L’Unione denuncia l’«inutile introduzione di nuove ipotesi di reato», i «molteplici sproporzionati e ingiustificati aumenti di pena», la «introduzione di aggravanti prive di alcun fondamento razionale». Tutte queste cose, secondo l’Unione, aumenteranno la popolazione carceraria e peggioreranno il sovraffollamento, «con il definitivo collasso di strutture già allo stremo, come denunciano i quasi quotidiani suicidi».
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Il 2024 è stato l’anno peggiore degli ultimi 30, in questo senso, con circa 90 suicidi, che sono direttamente collegati al problema del sovraffollamento e dell’invivibilità degli spazi nelle carceri.
Anche su questo, Nordio giovedì scorso ha dato risposte contraddittorie. Ha riconosciuto, sì, che «il numero dei suicidi è aumentato», ma ha insistito che «se adesso sono 80, era intollerabile anche quando erano 50 o 60», e che il problema «non può essere risolto né con una legge, né con l’aumento dell’edilizia carceraria». In realtà sono tutte soluzioni che il governo di cui Nordio fa parte sta cercando di adottare, ma con scarsi o nulli risultati.
«Probabilmente [il problema] va risolto con una rimodulazione complessiva del sistema penitenziario, che però richiede una rimodulazione dell’intero codice penale», ha aggiunto Nordio, riferendosi a modifiche che inevitabilmente vanno verso una riduzione delle pene o l’estensione delle misure alternative alla detenzione in carcere. Ma tutte le modifiche al codice penale fin qui introdotte dal governo Meloni vanno esattamente nella direzione opposta a quella auspicata da Nordio in Senato: aumentano, cioè, il numero di reati. Dall’inizio della legislatura sono state circa 50 le misure che hanno introdotto o aggravato reati.
Secondo chi si occupa di diritti delle persone detenute, oltre alle soluzioni più ovvie come un indulto o un’amnistia che però sono inaccettabili per il governo, ce ne sarebbero altre: per esempio offrire con più regolarità alle persone condannate alternative alla detenzione in carcere. È dimostrato che in questo modo si riduce il tasso di recidiva, cioè la quota di persone che tornano a commettere reati una volta uscite dal carcere. Altre soluzioni sono limitare la carcerazione preventiva, cioè quella di chi è in attesa di giudizio, e il ricorso al carcere per i reati meno gravi. Ma sono soluzioni che il governo non è intenzionato a prendere in considerazione.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla cerimonia per il 206° anniversario di fondazione della Polizia Penitenziaria insieme al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, uno dei principali promotori dell’introduzione di nuovi reati nel codice penale, a Roma, il 22 marzo 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Quanto al “decreto Sicurezza”, la convinzione di aggravare le pene è evidente anche nel metodo scelto dal governo. Il decreto era infatti originariamente un disegno di legge che il Consiglio dei ministri aveva approvato nel novembre del 2023 e che aveva poi seguito un percorso piuttosto lungo in parlamento. La lentezza era dovuta in parte ad alcune divergenze tra i partiti della maggioranza, e in parte alle obiezioni di opposizione, associazioni internazionali e presidenza della Repubblica sulle parti più repressive del provvedimento.
Il presidente Sergio Mattarella aveva suggerito alcune modifiche, alcune delle quali riguardavano proprio questioni relative al carcere: per esempio il ricorso alla detenzione anche in ambiti in cui prima era proibita, come nel caso delle donne incinte o delle donne con figli piccoli, o le norme di condotta nelle carceri più dure (il disegno di legge prevedeva fino a 8 anni di carcere per chi attua forme di resistenza passiva agli ordini). Ma per evitare di allungare ancora i tempi della discussione, il governo ha fatto una cosa irrituale e lesiva delle prerogative del parlamento: ha trasformato il disegno di legge ancora in discussione in un decreto-legge del governo, che ora le camere dovranno approvare con procedura d’urgenza entro sessanta giorni e senza concrete possibilità di modificarlo.
Il decreto ha recepito le modifiche chieste da Mattarella, attenuando e riformulando in maniera meno estensiva alcuni degli articoli più controversi. Ma la natura del provvedimento è rimasta la stessa.