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  • Martedì 8 aprile 2025

Trump sa quello che sta facendo?

C'è chi dice di no, e chi pensa che dietro ai dazi ci siano piani sofisticati ed eccezionali: le teorie sono molte

Donald Trump nel marzo 2025
Donald Trump nel marzo 2025 (AP Photo/Mark Schiefelbein)
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In pochi giorni l’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di imporre pesanti dazi a centinaia di paesi del mondo ha provocato uno dei peggiori crolli della storia della borsa americana, e fatto perdere centinaia di miliardi di dollari in guadagni potenziali a moltissime persone e aziende. Ma almeno per ora, Trump si è detto convinto di andare avanti con i dazi, e ha perfino rivendicato il crollo della borsa come un successo: sul suo social media Truth ha ripostato il video di un suo sostenitore intitolato «Trump sta schiantando i mercati DI PROPOSITO».

Questo ha portato molti a pensare che l’amministrazione Trump abbia un progetto di lungo periodo, e che i dazi – e i guai finanziari che stanno provocando – siano funzionali a obiettivi economici che saranno apprezzabili nel futuro. Insomma, opinionisti e analisti da giorni stanno cercando di capire se Trump ha un piano, oppure no.

Il re folle
In realtà la maggior parte degli esperti è piuttosto convinta che un piano non ci sia. Donald Trump è ossessionato dai dazi da oltre 40 anni e ritiene che avere un deficit commerciale con un altro paese (cioè importare più di quanto si esporta) sia un segno di debolezza: questa è una cosa smentita dalla teoria economica.

Trump voleva imporre pesanti dazi già durante il suo primo mandato (2017-2021), ma la sua amministrazione era piena di esperti di economia che erano riusciti a dissuaderlo. Ora che la sua amministrazione è piena di persone a lui fedeli, non ha più nessuno che lo freni. L’economista e divulgatore Noah Smith ha definito questa idea «la teoria del re folle», secondo cui le scelte economiche di Trump non sono dettate da una strategia, ma semplicemente dai suoi impulsi personali, dalla sua scarsa conoscenza dell’economia e dall’assenza di persone capaci di fermarlo dentro all’amministrazione.

Questa teoria è sostenuta da molti economisti ed esperti, tra cui il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, che ha detto in un’intervista recente: «Per sostenere l’idea che ci sia un grande piano o una strategia segreta bisogna ignorare forzatamente quello che sta succedendo per davvero». Sull’Atlantic il giornalista Derek Thompson ha definito i dazi «una metastasi della personalità di Trump che si è espansa a livello dell’intero governo». Di fatto, molti esperti sono convinti che Trump non sappia cosa sta facendo.

A sostegno di questa tesi c’è il fatto che, almeno finora, nemmeno gli alleati più stretti di Trump sono riusciti a dare una spiegazione razionale dei suoi dazi e che molto spesso, quando pressati, hanno adottato un atteggiamento quasi messianico nei confronti del presidente: «Aspettiamo di vedere che succede», ha detto il segretario al Tesoro Scott Bessent; «Dobbiamo fidarci degli istinti del presidente», ha detto lo speaker Repubblicano della Camera Mike Johnson.

Visitatori davanti alla Casa Bianca, tra cui uno con una maschera di Trump

Visitatori davanti alla Casa Bianca, tra cui uno con una maschera di Trump (AP Photo/Ben Curtis)

Il giocatore di scacchi 3D
Dalla parte diametralmente opposta delle opinioni c’è l’idea, sostenuta soprattutto dai seguaci più entusiasti di Trump, che dietro ai dazi e al collasso dei mercati ci sia un piano raffinato e ineffabile. I sostenitori di questa teoria dicono che una mossa storica come il più grande innalzamento dei dazi in un secolo non può essere stata fatta per caso: dietro deve esserci qualcosa di grosso, che gli economisti mainstream non riescono a vedere perché troppo legati a modi obsoleti di concepire l’economia.

Per questo i sostenitori più fedeli di Trump dicono spesso che il presidente gioca a “scacchi tridimensionali”, una versione particolarmente complessa degli scacchi: è un modo per dire che, mentre tutti giocano a scacchi normali, Trump già padroneggia la loro versione più evoluta. (Nel tempo l’espressione è stata adottata anche nel suo senso contrario, e spesso sui social media si parla di “scacchi 4D”, aumentando le dimensioni, per sbeffeggiare qualcuno convinto di saperne più degli altri).

La cosa più vicina a un piano sofisticato che giustifica l’imposizione dei dazi sono i cosiddetti “accordi di Mar-a-Lago”, una complicata teoria che circola da alcune settimane sui giornali, secondo cui Trump vorrebbe usare i dazi e altri strumenti economici e diplomatici per ricalibrare gli assetti dell’economia mondiale ancora di più a favore degli Stati Uniti.

La teoria alla base degli “accordi di Mar-a-Lago” (il nome deriva dalla residenza di Trump in Florida) è stata esposta in un articolo scritto qualche mese fa da Stephen Miran, che adesso è a capo del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca: prevede di svalutare il dollaro per rendere più competitive le esportazioni americane, senza però fargli perdere il suo ruolo di moneta più importante dell’economia mondiale. Di fatto significa che gli Stati Uniti dovrebbero costringere i paesi alleati a fare un accordo in cui contribuiscono a migliorare la competitività degli Stati Uniti senza guadagnarci niente in cambio. I dazi sarebbero in questo senso uno degli strumenti da usare per rendere più convincente la coercizione.

Questo “accordo di Mar-a-Lago” per ora è una teoria che circola negli ambienti economici, senza altro fondamento che il lavoro di Miran: né Trump né la Casa Bianca ne hanno mai parlato ufficialmente, ma dopo l’annuncio dei dazi è stato indicato da molti come un segno che Trump ha progetti grandi, sofisticati e ambiziosi.

Una donna a una protesta contro Trump a New York, 5 aprile 2025

Una donna a una protesta contro Trump a New York, 5 aprile 2025 (AP Photo/Andres Kudacki)

Razionalizzare dove possibile
In mezzo tra la posizione del “re folle” e quella degli “scacchi 3D” c’è chi considera i dazi di Trump una manovra tendenzialmente deleteria per l’economia americana e globale, ma al tempo stesso prova a individuare qualche elemento di razionalità. A volte queste razionalizzazioni vengono fatte anche a posteriori, attribuendo delle ragioni ad azioni del presidente che forse erano motivate da altro.

La razionalizzazione più facile è che Trump voglia soltanto negoziare. Che i dazi siano una mossa d’apertura e che tutto possa diventare oggetto di trattative, alle giuste condizioni. Di fatto l’idea è che Trump non consideri i dazi uno strumento di politica economica, ma il più efficace dei mezzi estorsivi per ottenere concessioni di vario tipo dagli altri paesi. Questo tipo di razionalizzazione arriva agli estremi con gli “accordi di Mar-a-Lago”, dove i dazi sono visti come la leva su cui si fonda la riorganizzazione dell’economia mondiale, ma ha interpretazioni anche meno onnicomprensive.

Una di queste è che, per esempio, Trump stia usando i dazi e i danni economici che provocano per costringere la Federal Reserve ad abbassare i tassi d’interesse, per rendere più sostenibile l’alto debito pubblico americano (questa è peraltro la teoria sostenuta nel video ripostato da Trump di cui abbiamo parlato all’inizio).

Altri ancora ricordano come la prima guerra commerciale inaugurata da Trump, quella del 2017, ebbe sì effetti negativi, ma non così catastrofici come pronosticato dalla maggior parte degli esperti. Quella guerra commerciale, peraltro, contribuì a cambiare alcune caratteristiche strutturali dell’economia statunitense, per esempio nei riguardi della collaborazione con la Cina, che diventò un rivale economico e politico.

Quando Joe Biden arrivò alla Casa Bianca nel 2021, mantenne i dazi imposti da Trump, e questo è indicato come un segnale che anche in quella guerra commerciale qualcosa di utile c’era: alcuni sperano che succeda la stessa cosa anche adesso. La guerra commerciale del primo mandato, tuttavia, non provocò l’enorme collasso dei mercati a cui stiamo assistendo in questi giorni.

Donald Trump al Congresso, 4 marzo 2025

Donald Trump al Congresso, 4 marzo 2025 (AP Photo/Ben Curtis)