Come funzionano nella pratica tutti questi dazi

Chi li paga, chi li incassa, cosa c'entrano le dogane, e cosa significano per le aziende che esportano in termini di burocrazia e scartoffie

Container al porto di Manila, nelle Filippine, l'8 aprile del 2025 (AP Photo/Aaron Favila)
Container al porto di Manila, nelle Filippine, l'8 aprile del 2025 (AP Photo/Aaron Favila)
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Quello dei dazi può sembrare un tema astratto, che riguarda solo lontanamente chi non lavora nel settore produttivo o in quello dei trasporti. Non è così: sono tasse che pesano sulle merci, quindi sui prodotti fisici che attraversano uno o più paesi prima di arrivare al consumatore finale. Per contestualizzare il dibattito di questi giorni, cominciato dopo l’annuncio di enormi dazi da parte del presidente statunitense Donald Trump, può essere utile farsi un’idea delle conseguenze pratiche di questo strumento: quali procedure implicano, chi li paga e chi alla fine ci guadagna qualcosa.

Cosa sono i dazi
I dazi sono un’imposta che si applica all’importazione o all’esportazione di un bene (qui c’è la versione lunga della spiegazione). Quelli più comuni, e oggetto del caos di questi giorni, sono all’importazione, ossia vengono applicati a determinate merci straniere che entrano nel paese che li ha imposti con l’obiettivo di renderle più care, penalizzarle e favorire così la produzione nazionale.

Per esempio, gli Stati Uniti hanno imposto dazi del 25 per cento su tutto l’acciaio e l’alluminio importato: significa che i semilavorati in acciaio e alluminio che entrano negli Stati Uniti per passare la dogana dovranno essere accompagnati dal pagamento di un 25 per cento aggiuntivo applicato sul valore dichiarato della merce. Nel nostro esempio: se una bobina di acciaio vale 100mila dollari, la dogana statunitense chiederà il pagamento di 25mila dollari, altrimenti la merce resta bloccata. Il prezzo per importare quella bobina sarà quindi di 125mila dollari, e non più 100mila.

La burocrazia doganale
Quando si esporta un prodotto negli Stati Uniti, o in generale in un paese diverso da quello di produzione, si devono compilare una serie di moduli che lo accompagneranno nel viaggio e nel controllo alla dogana. Tra questi rientrano le semplici fatture, che dichiarano la quantità e il valore della merce, oltre ai dati di chi la spedisce e di chi la riceve, ma anche moduli standard destinati alle dogane del paese di arrivo. Per la compilazione di questi moduli di solito può aiutare l’azienda che si occupa della spedizione.

Le procedure rimarranno le stesse anche dopo l’introduzione dei dazi. Quello che cambia è che se la merce è sottoposta a dazio dovrà essere accompagnata dal pagamento dell’imposta, il che comporta qualche cautela in più per le aziende.

(AP Photo/Aaron Favila)

Lucio Miranda è il presidente di ExportUSA, società specializzata nella consulenza per le esportazioni negli Stati Uniti. Spiega che con i dazi in vigore bisognerà stare più attenti nella cosiddetta classificazione doganale, cioè nell’indicare con i giusti codici internazionali cosa si sta esportando e da cosa è composto. Trump infatti ha imposto diverse tipologie di dazi: tra gli altri ci sono quelli al 10 per cento per tutti i paesi e tutte le merci; quelli al 25 per cento su acciaio e alluminio; e poi una serie di altri dazi che lui ha definito “reciproci” (ma che in realtà non lo sono) su tutte le merci di alcuni paesi (per esempio, ha imposto dazi del 20 per cento sulle importazioni dall’Unione Europea, del 34 per cento sulla Cina, e via dicendo).

Quelli su acciaio e alluminio non si applicano solo alla materia prima, ma anche ai prodotti derivati, come i componenti dei motori o le lattine, con una serie di eccezioni. Per essere sicuri che il prodotto in questione rientri nella categoria giusta (e quindi per la corretta applicazione del dazio) bisogna compilare la composizione doganale in modo accurato, «molto di più di come si faceva prima, quando i dazi per certi prodotti non c’erano e dunque la composizione doganale non faceva grande differenza», dice Miranda. In pratica bisogna specificare bene se un certo prodotto contiene dell’alluminio o dell’acciaio, ed eventualmente in quale quantità e proveniente da dove, per calcolare correttamente il dazio. Non dovrebbe essere un problema per le aziende esportatrici più strutturate, che solitamente hanno uno o più export manager di riferimento che si occupano di questo, mentre le aziende più piccole raramente hanno del personale dedicato.

La presenza dei dazi comporterà anche più lavoro per le dogane, gli enti a cui spetta il controllo delle merci che entrano nei paesi e che dovranno certificare se il dazio è dovuto o meno. Per un certo periodo di tempo gli uffici potrebbero essere intasati dai controlli più accurati che dovranno fare sui codici e le composizioni della merce.

Chi li paga, questi dazi
È l’importatore statunitense che è obbligato per legge al pagamento del dazio: è il cosiddetto importer of record, responsabile in ultima istanza della correttezza formale di tutte le pratiche di cui abbiamo appena parlato, e colui che procede materialmente al pagamento del dazio alla dogana. Nella pratica però le cose sono più complicate.

Sono infatti gli accordi commerciali tra venditore e acquirente che solitamente determinano chi ci mette materialmente i soldi: capita che del pagamento del dazio si faccia carico totalmente l’acquirente del paese di destinazione, che pagherà il prezzo intero della merce più il dazio; o che sia a carico del venditore, che magari farà uno sconto al compratore per compensare il pagamento che deve fare in dogana; ancora più frequente è che se lo spartiscano. Molto dipende da che tipo di relazione hanno, dal settore e dalla dimensione delle imprese: per esempio, se un piccolo esportatore italiano di parmigiano vende a una grossa catena di supermercati negli Stati Uniti è probabile che per continuare a fornire la merce il produttore dovrà assorbire il costo del dazio, a causa del minor potere di contrattazione.

(AP Photo/Emilio Morenatti)

Di solito nei contratti di compravendita internazionale si usa un particolare tipo di convenzione per stabilire senza equivoci, tra le altre cose, quale parte deve pagare il dazio: sono i cosiddetti Incoterms, elaborati dalla Camera di commercio internazionale. Questi definiscono su chi gravano la responsabilità e i costi di trasporto e sdoganamento della merce dal momento in cui lascia il magazzino del venditore per arrivare a quello del compratore. Proprio perché le relazioni commerciali possono essere anche molto variegate gli Incoterms prevedono entrambe le fattispecie, in mezzo a diverse combinazioni intermedie: se è inserita la clausola DDP (Delivered Duty Paid) i dazi e tutti i costi doganali sono a carico dell’esportatore, altrimenti dell’importatore se c’è la clausola EXW (Ex Works).

Miranda dice che nel mercato statunitense, composto perlopiù da grosse catene acquirenti, è più frequente la DDP. A prescindere da chi li paga nel concreto però, i dazi rischiano di pesare in una certa misura anche sui consumatori finali, dato che il rivenditore può decidere di aumentare i prezzi di vendita per scaricare sui consumatori i costi aggiuntivi, almeno in parte.

(AP Photo/Emilio Morenatti)

Molto dipende dal tipo di prodotto e dall’interesse che suscita sul mercato: tanto più è necessario e desiderato, tanto più produttore e rivenditore sono consapevoli che i consumatori dovranno o vorranno comprarlo lo stesso, sopportando anche il sovrapprezzo causato dal dazio. L’alternativa è che il rivenditore e il produttore per evitare un calo di ordini decidano di abbassare il prezzo di vendita, magari assorbendo il dazio pur di non perdere acquirenti. In questo secondo caso si dice che la domanda di un prodotto è elastica: quanto più la domanda di un bene è reattiva alle variazioni di prezzo, tanto più è probabile che i dazi ricadano su chi vende.

Nella realtà sono pochi i casi limite in cui il dazio è sopportato interamente o dal rivenditore nazionale, o dal produttore estero o dai consumatori nazionali, mentre è molto più comune che sia condiviso da tutti e tre i soggetti, in misura diversa a seconda dell’elasticità della domanda. Generalmente comunque i prezzi tendono a salire, facendo così aumentare l’inflazione.

L’unico che guadagna dai dazi: il governo
Chi ci guadagna sempre sono i governi, che incassano il valore dei dazi tramite le dogane. Per esempio dai dazi dipende circa il 14 per cento del bilancio dell’Unione Europea, che è un caso particolare poiché è un’unione doganale: tra i paesi al suo interno non ci sono dazi o vincoli al commercio, e con gli altri paesi l’Unione si relaziona come un’entità unica. Tutti i paesi membri dunque applicano e sono sottoposti agli stessi dazi, e le loro autorità doganali collaborano come se fossero un’unica dogana (per questo per esempio l’Italia non può imporre dazi individuali sugli Stati Uniti).

Trump dice che gli Stati Uniti «diventeranno ricchi» per tutti i dazi che incasseranno: durante il suo primo mandato, tra il 2017 e il 2021, le entrate doganali trimestrali passarono dai 39 miliardi di dollari del primo trimestre del 2017 agli 81 miliardi del primo trimestre del 2021, il doppio. Il governo però dovette spenderli quasi tutti per riparare i guai che aveva causato proprio coi dazi all’agricoltura.