Il governo sta cercando di rendere utilizzabili i centri in Albania

La novità è che uno dei due verrà usato come un qualsiasi CPR italiano per i migranti: in gran parte però resterà inutilizzato, come l'altro

Il centro per migranti costruito dall'Italia a Gjader, in Albania (Antonio Sempere/Contacto via ZUMA Press)
Il centro per migranti costruito dall'Italia a Gjader, in Albania (Antonio Sempere/Contacto via ZUMA Press)
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Nel Consiglio dei ministri di venerdì il governo ha approvato un decreto-legge per cercare di superare alcuni dei molti problemi dei centri per migranti in Albania, che dopo un anno e mezzo dall’accordo tra i governi italiano e albanese non sono ancora entrati in funzione: ogni volta che il governo ha provato a mandarci persone migranti il tribunale competente non ne ha convalidato il trattenimento in quelle strutture, ritenendolo in contrasto con le norme europee.

Per tentare di renderli operativi il decreto in questione ha stabilito che uno dei due centri, quello di Gjader, potrà essere usato come centro di permanenza per il rimpatrio: è il nome esteso dei cosiddetti CPR, i posti in cui vengono mandate le persone che hanno già ricevuto un decreto di espulsione (perché è stata rifiutata la loro richiesta d’asilo o per altre ragioni) e aspettano di essere rimpatriate. Ne esistono già dieci in Italia, che peraltro hanno diversi problemi per documentate violazioni dei diritti umani e perché inefficaci nelle procedure di rimpatrio.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che al momento il centro di Gjader ha 48 posti nella parte adibita a CPR, che dovrebbero diventare 140 a regime. Significa che comunque una larga parte del centro di Gjader resterà inutilizzata: la struttura infatti era già pensata originariamente per essere divisa in tre parti, con un centro di trattenimento da 880 posti, un CPR da 144 posti e un carcere da 20 posti. La differenza è che nella parte adibita a CPR verranno mandate persone migranti che si trovano già in Italia, e non quelle intercettate nel mar Mediterraneo come prevedevano i piani iniziali del governo.

Non è chiaro invece cosa succederà all’altro centro, quello di Shengjin, che è molto più piccolo di quello di Gjader ed è pensato come un hotspot per le prime procedure di identificazione dei richiedenti asilo (e quindi non può essere usato per la detenzione amministrativa, come un CPR). Per ora rimarrà sostanzialmente inutilizzato.

In origine la funzione dei centri in Albania era molto diversa. Nella narrazione del governo i centri servivano per dirottare altrove migranti soccorsi in mare che con ogni probabilità non avrebbero avuto diritto all’asilo, senza neanche farli passare per l’Italia. Diversi esponenti di Fratelli d’Italia e la stessa Meloni hanno detto più volte che l’obiettivo era creare anche un effetto di deterrenza: secondo Meloni, sapere che l’Italia non fa arrivare i migranti nel territorio dell’Unione Europea, ma che li dirotta in altri paesi, avrebbe potuto scoraggiare le partenze delle persone migranti.

È una convinzione molto discutibile, ma in ogni caso il nuovo decreto sconfessa questo proposito, perché nel centro di Gjader saranno fatte arrivare persone che si trovano già sul territorio italiano. In sostanza il centro di Gjader funzionerà come tutti gli altri CPR italiani, con l’unica differenza che si trova in Albania.

I due centri in origine erano destinati ai migranti a cui poteva essere applicata una procedura accelerata, la cosiddetta procedura di frontiera o di rimpatrio, che prevede un esame semplificato delle domande di asilo: può essere applicata solo ai migranti che provengono da paesi definiti “sicuri”, cioè in cui non vengano negati i diritti fondamentali, o comunque in cui non ci siano motivi di considerare a rischio l’incolumità delle persone che dovessero ritornarci.

All’interno dell’Unione Europea le domande presentate da persone provenienti da paesi considerati sicuri possono essere giudicate inammissibili e quindi respinte, con la conseguente espulsione di chi le presenta. Ogni paese dell’Unione però può decidere autonomamente quali paesi considerare sicuri, sulla base di alcuni criteri condivisi: il problema è che l’Italia considera sicuri anche paesi che non hanno ordinamenti democratici né rispettano effettivamente i diritti umani.

È il motivo principale per cui finora i centri in Albania sono rimasti inattivi: i tribunali che hanno giudicato il trattenimento dei migranti hanno ritenuto che non potessero ricevere la procedura accelerata per il rimpatrio, perché i loro paesi d’origine non si possono considerare sicuri. Lo hanno fatto soprattutto sulla base di una sentenza del 4 ottobre scorso della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il principale tribunale dell’Unione, secondo cui possono essere considerati «paesi d’origine sicuri» solo quelli in cui il rispetto dei diritti umani e della sicurezza di tutti gli individui sia riconosciuto «in maniera generale e uniforme» su tutto il territorio nazionale e per tutte le persone.

Quasi nessuno dei 22 paesi che fanno parte della lista stilata dal governo italiano rispetta questi due criteri, compresi l’Egitto e il Bangladesh, da cui provenivano le persone migranti portate finora in Albania.

Il governo aveva assicurato che sarebbe comunque riuscito a rendere operativi i centri grazie alle nuove regole europee in materia di immigrazione, che dovrebbero però entrate in vigore solo entro il 2026. Fino ad allora è possibile che il centro di Gjader riuscirà a svolgere solo la funzione di CPR restando in larga parte inutilizzato; quello di Shengjin invece potrebbe restare inutilizzato del tutto.

– Leggi anche: Che posti sono Shengjin e Gjader