Il testo del protocollo d’intesa tra Italia e Albania sui centri per migranti

Lo ha diffuso la presidenza del Consiglio, dice tra le altre cose che l'Italia dovrà farsi carico delle spese e della sicurezza dentro alle strutture

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)
(ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Martedì sera la presidenza del Consiglio ha diffuso una copia del protocollo d’intesa firmato da Meloni e dal primo ministro albanese, Edi Rama, per l’apertura in Albania di due centri italiani per la gestione dei migranti. Il protocollo è composto da nove pagine, per un totale di 14 articoli, e chiarisce alcuni dettagli che negli ultimi giorni erano rimasti piuttosto confusi, per esempio su come funzioneranno i centri, chi dovrà finanziarli (l’Italia) e chi si occuperà di garantire la sicurezza.

Nel testo c’è scritto che l’Albania fornirà gratuitamente all’Italia gli spazi in cui verranno costruiti i centri: uno nei dintorni del porto di Shengjin, circa 70 chilometri a nord della capitale Tirana, e un altro a Gjader, nell’entroterra. L’Italia dovrà farsi carico di tutti i costi legati alla costruzione dei centri, al trasporto e alla sistemazione dei migranti, pagando anche eventuali spese mediche. Il protocollo non indica cifre precise, ma secondo un allegato diffuso dal sito albanese Gogo.al, che aveva pubblicato anche il protocollo prima del governo italiano, l’Italia dovrebbe versare all’Albania un anticipo di 16,5 milioni di euro entro 90 giorni dall’entrata in vigore del testo.

Le autorità italiane saranno responsabili dell’interno delle strutture, mentre le autorità albanesi dovranno garantire la sicurezza all’esterno dei centri e durante il trasferimento dei migranti: potranno entrare nei centri solo «in caso di incendio o di altro grave e imminente pericolo che richiede un immediato intervento».

L’Italia invierà in Albania alcuni funzionari, che non avranno bisogno del permesso di soggiorno o di visto di lavoro, ma riceveranno solamente un «documento di riconoscimento». Le condizioni di lavoro, per esempio per quanto riguarda la retribuzione e i contributi pensionistici, seguiranno la normativa italiana. I dipendenti italiani non saranno soggetti alla legislazione albanese mentre sono in servizio, ma potranno essere processati secondo le leggi locali se commettono reati quando si trovano al di fuori dei centri. Se in possesso di porto d’armi potranno portare con sé un’arma all’interno dei centri, ma non fuori.

In entrambi i centri potranno essere presenti in totale fino a 3mila migranti, che saranno accompagnati nelle strutture dalle autorità italiane. Tra questi non potranno esserci minori, donne incinte e altre persone considerate vulnerabili, che quindi dovranno essere portate in Italia, con una procedura di “sbarco selettivo” la cui legittimità giuridica in passato è già stata messa in dubbio, causando diversi problemi all’Italia.

I migranti potranno rimanere in Albania solo «per il tempo strettamente necessario» a svolgere le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalle normative italiane o europee (anche se l’Albania non fa parte dell’Unione Europea). Il protocollo chiarisce che nel momento in cui un migrante dovesse perdere il diritto di rimanere nel centro, per esempio perché la sua domanda di asilo viene rifiutata, l’Italia lo trasferirà «immediatamente […] fuori dal territorio albanese»: non è chiaro però dove andrà, né se verrà portato in Italia, dove sono noti i problemi con i rimpatri.

Durante il periodo di permanenza in Albania i migranti non potranno uscire dai centri: se lo faranno, saranno riportati indietro dalle autorità albanesi. Nei centri potranno però accedere avvocati, rappresentanti di organizzazioni internazionali e dell’Unione Europea che intendono fornire assistenza legale ai richiedenti asilo, come previsto dalle leggi italiane, albanesi ed europee.

Il protocollo ha una durata di cinque anni, che verranno rinnovati automaticamente a meno che una delle due parti non comunichi il proprio dissenso entro sei mesi dalla scadenza.

Secondo il governo italiano, i due centri dovrebbero entrare in funzione entro la primavera del 2024. Sul funzionamento effettivo dell’intesa rimangono però parecchi dubbi, espressi soprattutto dai partiti di opposizione e dalle ong che lavorano per soccorrere i migranti nel Mar Mediterraneo. Il piano infatti pone diversi problemi logistici, legati per esempio al trasferimento in Albania di decine di funzionari italiani; umanitari, per quanto riguarda gli sbarchi selettivi; e giuridici, per la situazione pressoché unica di avere un centro italiano, sotto la giurisdizione italiana all’interno di un altro Stato, che per di più non fa parte dell’Unione Europea.

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