Nel 2100 il Mose non proteggerà più Venezia dall’acqua alta
Lo dice uno studio dell’INGV che considera il peggiore scenario di cambiamento climatico

Il Mose di Venezia, il sistema di dighe mobili che protegge la città dall’alta marea, è stato progettato per sostenere una differenza tra il livello del mare Adriatico e quello della laguna veneta di 3 metri al massimo. Questo valore era stato deciso nel 2007 sulla base delle previsioni sul cambiamento climatico dell’epoca. Considerando le stime più recenti però, e tenendo conto del peggiore scenario possibile – quello in cui le emissioni di gas serra causate dalle attività umane continuano ad aumentare come hanno fatto finora – si prevede che nel 2100 questa differenza sarà superata durante le tempeste e il Mose «verosimilmente fallirà» nel suo scopo.
Questa è una delle conclusioni di uno studio realizzato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) insieme a ricercatori di altri enti, e pubblicato di recente sulla rivista scientifica Remote Sensing. Lo studio contiene alcune ipotesi sul futuro della laguna veneta negli scenari di innalzamento del livello del mare dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo scientifico dell’ONU per la valutazione dei cambiamenti climatici.
Le previsioni sono basate su dati satellitari sui movimenti del suolo, dato che la laguna veneta ha un problema di subsidenza, cioè di sprofondamento, e sulle serie storiche di misure del livello del mare. Grazie a questi e altri dati gli autori dello studio hanno potuto realizzare mappe dettagliate delle zone di Venezia e delle altre isole della laguna veneta, che rischieranno inondazioni nel 2050, nel 2100 e nel 2150, a meno che non si introducano dei sistemi di protezione dall’acqua alta maggiori di quelli di oggi.
La subsidenza è fondamentale nelle analisi: tenendola in considerazione bisogna infatti aggiungere dagli 11 ai 37 centimetri alle previsioni sull’innalzamento del livello del mare in corrispondenza della laguna veneta, almeno nello scenario peggiore. In questa prospettiva, e senza protezioni adeguate, nel 2150 circa 139 chilometri quadrati di zone al di sopra dell’attuale livello della laguna potrebbero essere sommerse. E in caso di alte maree e tempeste come quelle dell’inondazione del novembre del 1966, quando Venezia rimase allagata e isolata dalla terraferma per giorni, e del 2019, l’area inondata salirebbe a 226 chilometri quadrati di zone attualmente emerse.
Le aree più interessate da questi possibili fenomeni futuri non sono nella città di Venezia, ma sono quelle che già oggi hanno un’altezza minore rispetto al livello della laguna e dove la subsidenza o l’erosione costiera sono maggiori: tra queste il Lido Cavallino, la penisola che limita la laguna da nord, e Chioggia, che invece la chiude a sud; Sant’Erasmo, la seconda più grande isola della laguna; e l’aeroporto Marco Polo.
Riguardo al Mose, al di là dei livelli massimi che raggiungerà l’acqua dell’Adriatico, in futuro il sistema di dighe dovrà sostenere anche una frequenza di attività maggiore di quella attuale dato che i giorni di acqua alta sono in aumento. Secondo uno studio dell’anno scorso realizzato da alcuni ricercatori dell’università Ca’ Foscari di Venezia, entro la fine del secolo dovrà essere attivato per oltre la metà dell’anno, e nello scenario climatico peggiore già tra il 2060 e il 2070 potrebbe faticare a sopportare un carico di lavoro così intenso, con un conseguente aumento dei costi di manutenzione.
L’obiettivo dello studio è segnalare la necessità di aggiornare la pianificazione territoriale della laguna, tenendo conto delle più recenti valutazioni dei rischi, in modo che anche nel peggiore scenario climatico a cui potremmo andare incontro si possa rimediare per tempo con nuovi interventi.
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