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  • Mercoledì 19 marzo 2025

Nell’Himalaya si sperimentano i droni al posto dei portatori

Possono trasportare diversi chili di attrezzatura e provviste, abbattendo i tempi e i rischi

Due escursionisti diretti verso il campo base dell'Everest nel maggio del 2016 (AP Photo/ Tashi Sherpa)
Due escursionisti diretti verso il campo base dell'Everest nel maggio del 2016 (AP Photo/ Tashi Sherpa)
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Uno dei problemi più noti di scalate complesse come quelle sull’Everest, la montagna più alta del mondo, è il trasporto dell’attrezzatura: per questo a ogni spedizione si aggiungono diversi portatori che generalmente conoscono bene le montagne e si occupano di lavori di fatica, come trasportare tende e cibo o attrezzare i percorsi. Adesso per trasportare le cose più pesanti nei punti più pericolosi dell’Himalaya hanno cominciato a essere sperimentati dei droni progettati per questi scopi: l’obiettivo è risparmiare tempo ed energie, ma anche e soprattutto ridurre i rischi per le persone.

I primi test con i droni sull’Everest risalgono all’aprile dell’anno scorso, quando ne fu usato uno per trasportare per la prima volta tre bombole d’ossigeno e un chilo e mezzo di scorte dal campo base al campo 2 della montagna, e poi riportare indietro della spazzatura. Il campo base si trova a 5.364 metri e il campo 2 a circa 6.400: il drone era riuscito a trasportare su e giù 234 chili di rifiuti in un’ora, un lavoro che avrebbe tenuto impegnati almeno 14 portatori per sei ore, ha calcolato il Kathmandu Post.

Dall’autunno i droni hanno cominciato a essere impiegati per ripulire l’Ama Dablam, una vetta a sud dell’Everest nota per essere particolarmente spettacolare, e tra aprile e maggio, con l’inizio dell’alta stagione, verranno sperimentati da alcune agenzie che organizzano le scalate proprio sulla montagna più alta del mondo, che raggiunge ufficialmente i 8.848,86 metri e si trova tra Nepal e Cina. Come ha raccontato il New York Times, mancano solo gli ultimi permessi.

– Leggi anche: Scalare l’Everest costerà di più

I droni disponibili al momento sono due e sono stati fabbricati dall’azienda cinese DJI, che li ha donati alla startup nepalese Airlift Technology. In base ai test possono portare tranquillamente 16 chili a viaggio, che è il minimo che trasportano abitualmente gli sherpa, come vengono chiamati spesso i portatori riferendosi all’etnia principale a cui appartengono. Uno dei vantaggi del loro utilizzo è appunto quello di trasportare più rapidamente l’attrezzatura, ma anche il cibo, che per esempio può essere scaldato al campo base e mandato mille metri più in alto in pochi minuti. Un altro è risparmiare rischi agli sherpa, che secondo gli addetti ai lavori compiono questi tragitti una quarantina di volte ogni anno, spesso in condizioni estreme.

Per il Nepal le montagne sono una risorsa turistica fondamentale, e il sovraffollamento degli ultimi anni, unito al cambiamento climatico, ha anche aumentato le probabilità di incidenti mortali. Circa un terzo delle oltre 335 persone morte sull’Everest nell’ultimo secolo erano portatori, 18 dei quali nel 2023 e nove nel 2024: il responsabile di un’agenzia nepalese per cui lavoravano tre sherpa morti nel 2023 ha detto al New York Times che i droni usati in Cina per l’ascesa del Muztagata, al confine con il Tagikistan, gli erano sembrati una buona idea per migliorare la sicurezza in alta montagna.

Alpinisti sulla seraccata del Khumbu nel 2008 (Bradley Jackson via Getty Images)

A detta di un dirigente del comune nepalese che ha la giurisdizione sull’Everest, lo scopo principale dell’uso dei droni è precisamente quello di limitare i rischi nella seraccata del Khumbu, uno dei tratti più pericolosi dell’ascesa, poco sopra il campo base. Di norma per attraversarlo i portatori piazzano le scale telescopiche sopra i crepacci e poi si assicurano con delle corde ancorate al ghiaccio. Ghiaccio che però quando le temperature si alzano comincia a sciogliersi e a muoversi, motivo per cui anche i portatori più esperti lo affrontano di notte o di prima mattina.

Secondo alcuni l’impiego dei droni alla lunga rischia di togliere lavoro alle persone del posto; d’altra parte i portatori sono sempre meno, un po’ per i rischi collegati al mestiere e un po’ per le opportunità migliori che si possono trovare all’estero.

Tra il prezzo di fabbrica, gli oneri doganali, le batterie e i sistemi accessori comunque un drone di DJI al momento può costare l’equivalente di 65mila euro: una somma molto elevata per un paese povero come il Nepal, dove lo stipendio medio annuale supera di poco i mille euro. Alcune startup come Airlift Technology stanno valutando la possibilità di assemblare i droni direttamente in Nepal per provare ad abbattere i costi.

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