L’eccezionalità dell’arresto di Rodrigo Duterte
L'ex presidente filippino è accusato di crimini contro l’umanità e sarà il primo leader non africano a essere processato dalla Corte penale internazionale

Mercoledì pomeriggio è atterrato a Rotterdam, nei Paesi Bassi, un aereo con a bordo l’ex presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, arrestato martedì a Manila su mandato della Corte penale internazionale, il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Duterte è accusato di crimini contro l’umanità per via delle sue politiche molto dure sul contrasto alla diffusione delle droghe ed è il primo leader non africano a essere arrestato su mandato della Corte, che fu istituita nel 2002.
Dopo essere atterrato, Duterte è stato portato nella prigione nederlandese di Scheveningen, appena fuori dall’Aia, la città dove la Corte ha la sua sede: in quel carcere il tribunale ha un’ala riservata in cui tiene le persone che sta processando o che ha da poco finito di processare. Lì Duterte vivrà in detenzione preventiva mentre la Camera preliminare deciderà sul suo rinvio a giudizio. Ci rimarrà durante il suo eventuale processo, che potrebbe durare anni. La Corte dà la possibilità ai suoi imputati di fare domanda per evitare la detenzione preventiva, ma è molto difficile che la richiesta venga approvata.
Se verrà ritenuto colpevole in primo grado, Duterte potrà fare ricorso. Se poi verrà condannato definitivamente lo Statuto di Roma – quello che ha creato la Corte – prevede che venga spostato in una prigione di uno dei 125 paesi che ne sono membri, dove finirà di scontare la sua pena.
Al momento nell’ala dedicata alla Corte della prigione di Scheveningen sono detenuti cinque uomini, esponenti di milizie che hanno combattuto nelle guerre civili in Mali, Darfur (la regione nell’ovest del Sudan) e Repubblica Centrafricana: uno di loro è stato condannato definitivamente nel 2024 ed è in attesa di essere trasferito in un altro carcere, mentre gli altri quattro sono ancora sotto processo.
Rispetto a loro, Rodrigo Duterte è un caso diverso. È l’unico ad avere compiuto i gravi reati per i quali è accusato mentre svolgeva cariche per cui era stato democraticamente eletto, cioè quelle di sindaco di Davao e di presidente del paese. La Corte lo accusa di essere responsabile di migliaia di stupri, torture e omicidi commessi da persone sotto il suo comando che mettevano in atto la sua durissima politica di “guerra alla droga”. Secondo la Corte ci sono fondati motivi per ritenere che questi crimini siano stati «diffusi e sistematici», due caratteristiche che li rendono perseguibili come crimini contro l’umanità (che a differenza dei crimini di guerra possono essere commessi anche in tempo di pace).

L’esterno della prigione in cui sarà detenuto Rodrigo Duterte, nella periferia dell’Aia (Pierre Crom/Getty Images)
Duterte, che oggi ha 79 anni, è stato sindaco di Davao per più mandati tra il 1988 e il 2016 e poi presidente delle Filippine dal 2016 al 2022. Poco dopo essere stato eletto a Davao, la città più importante del sud del paese, creò milizie civili composte sia da poliziotti che da privati cittadini incaricate di uccidere persone sospettate di spaccio o tossicodipendenza e chiunque venisse considerato un pericolo per l’ordine pubblico. Secondo i dati della polizia in questa campagna, che continuò anche durante il suo mandato da presidente, furono uccise oltre 6mila persone, ma il numero potrebbe essere molto più alto.
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L’unicità del caso di Duterte dipende anche dal fatto che solitamente gli stati proteggono i propri leader dall’azione della Corte: ne impediscono le indagini per esempio, o l’arresto. Con Duterte le cose sono andate in maniera diversa.
Da diverso tempo, infatti, nelle Filippine è in corso uno scontro politico durissimo tra Sara Duterte, attuale vicepresidente del paese e figlia di Rodrigo Duterte, e Ferdinand Marcos Jr., attuale presidente nonché figlio dell’ex dittatore Ferdinand E. Marcos (scontro che è passato da una richiesta di impeachment e da minacce di morte). Anche in risposta a questo scontro, nel 2023 Marcos Jr. permise agli emissari della Corte di indagare sull’ex presidente e nel 2024 il parlamento aprì un’inchiesta sul suo operato.
Nonostante il mancato appoggio del governo del suo paese, Duterte aveva detto di non essere preoccupato delle indagini della Corte, almeno fino all’11 marzo, quando di ritorno da un viaggio a Hong Kong è stato arrestato a Manila.

L’aereo con a bordo il presidente Rodrigo Duterte decolla verso i Paesi Bassi dopo il suo arresto, l’11 marzo 2025 (AP Photo/Aaron Favila)
Alcuni sostenitori di Duterte hanno accusato Marcos Jr. di aver sfruttato la Corte penale internazionale per risolvere lo scontro politico interno, e i giudici della Corte per averlo in qualche modo assecondato. Le associazioni filippine che chiedono da anni giustizia per gli omicidi sommari dei loro familiari hanno invece accolto positivamente il suo arresto e così anche le principali organizzazioni non governative per i diritti umani, che l’hanno considerato un notevole passo avanti per la Corte.
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Negli ultimi anni la Corte ha iniziato a concentrarsi su crimini commessi anche da leader non africani dopo essere stata accusata a lungo di faziosità e di “doppio standard” nei confronti del continente africano, ossia di applicare criteri diversi a situazioni analoghe che avvenivano in altri paesi. Che un processo di cambiamento fosse in atto era diventato chiaro quando nel 2023 e nel 2024 la Corte aveva emanato dei mandati d’arresto contro il presidente russo Vladimir Putin e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Allo stesso tempo, a differenza del caso di Duterte, le possibilità che questi mandati vengano eseguiti sono per il momento molto scarse: sia Putin che Netanyahu sono infatti due leader ancora in carica e con diversi alleati internazionali, al punto che diversi paesi firmatari dello Statuto di Roma hanno già detto che non li arresteranno qualora dovessero entrare nei loro confini.



