Con Spassky e Fischer gli scacchi divennero un’altra cosa
Nel 1972 la “sfida del secolo” fu un simbolo del confronto fra Unione Sovietica e Stati Uniti durante la Guerra fredda, con una rilevanza mai più ripetuta

Lo scacchista sovietico Boris Spassky, morto giovedì a 88 anni, divenne una figura nota in tutto il mondo in occasione del campionato del mondo del 1972. Era il campione in carica e la presenza per la prima volta di uno sfidante statunitense, Bobby Fischer, diede al confronto tutta un’altra dimensione. Erano infatti gli anni della Guerra fredda, la lunga fase di ostilità fra la potenza capitalista degli Stati Uniti e quella comunista dell’Unione Sovietica, dopo la Seconda guerra mondiale. Gli anni di maggiore tensione erano stati probabilmente superati, ma il confronto continuava: la serie di partite fra Spassky e Fischer fu presentata come un simbolo dello scontro fra i due blocchi e viene ancora oggi ricordata come la “sfida del secolo”.
Sarebbe poi successo in seguito per altre sfide sportive, come la finale del basket maschile alle Olimpiadi del 1972 o il “Miracle on Ice” dell’hockey su ghiaccio alle Olimpiadi invernali del 1980. La sfida fra Fischer e Spassky fu però la prima, fra l’11 luglio e il 31 agosto 1972: la vinse lo statunitense, il che contribuì alla notorietà dell’evento in Occidente.
In quegli anni gli scacchi erano dominati dalla scuola dei giocatori dell’Unione Sovietica: da 24 anni i sovietici vincevano ininterrottamente i campionati del mondo, spesso portando anche due giocatori alla finale: si giocavano ogni due-tre anni, dal 1948 organizzati dalla FIDE, la federazione internazionale. Gli Stati Uniti avevano avuto solo un campione: Wilhelm Steinitz, a fine Ottocento, austriaco naturalizzato.

L’arrivo di Boris Spassky a Reykjavik, Islanda (AP Photo)
Spassky era campione in carica e aveva 34 anni. Fischer era di cinque anni più giovane e arrivava a quella finale in uno stato di grande forma: nella fase di qualificazione aveva battuto per sei partite a zero Mark Taimanov e Bent Larsen, due Grandi maestri, il riconoscimento più alto attribuito a un giocatore dalla FIDE. Poi nell’ultimo torneo per definire lo sfidante ai campionati mondiali aveva battuto in finale Tigran Petrosian, armeno e quindi sovietico, già campione del mondo nel 1963 e nel 1966.
Fischer era anche un personaggio dal carattere non semplice, spesso incline alle proteste e ai litigi, tanto che la “sfida del secolo” rischiò di non giocarsi mai. Sarebbe dovuta cominciare l’1 luglio a Reykjavik, in Islanda, una sede che contribuiva alla narrazione del confronto fra due potenze. Nelle settimane e nei giorni precedenti però Fischer annunciò il suo rifiuto a giocare, per una questione di soldi. Era previsto un premio complessivo di 125mila dollari per i due finalisti. Fischer, vista l’attenzione mediatica, chiese anche il 30 per cento dei proventi totali. Dopo lunghe mediazioni, compresa una telefonata del consigliere alla Sicurezza degli Stati Uniti Henry Kissinger, si arrivò a raddoppiare il premio, grazie a uno sponsor.

L’arrivo di Bobby Fischer in Islanda (AP Photo)
Si giocava al “meglio delle 24 partite”, e sarebbe diventato campione il primo a raggiungere i 12 punti e mezzo: ogni vittoria valeva un punto, ogni pareggio mezzo, si giocavano tre partite la settimana. Fischer arrivò comunque in Islanda con due giorni di ritardo, di fatto mancando la prima partita. Allora furono Spassky e la federazione sovietica a impuntarsi: prima chiesero che la prima partita fosse considerata vinta dal russo a tavolino, poi cominciò una trattativa per ottenere “scuse ufficiali” da giocatore e federazione internazionale. A un certo punto il Comitato sportivo statale sovietico consigliò a Spassky di tornare a Mosca: lui invece decise infine di giocare. Si cominciò l’11 luglio, dallo 0-0.
Fischer perse la prima partita, si rifiutò di giocare la seconda se non fossero state spente le telecamere che riprendevano la sfida. Non gli venne concesso, perse a tavolino. Nella terza tornò a giocare, ottenendo che la partita fosse disputata in una sala più piccola: la vinse. Fu la sua prima vittoria con Spassky: in precedenza i due avevano giocato cinque partite, con tre vittorie per il russo e due pareggi. Da allora Fischer infilò una serie di vittorie, nelle partite 4,5 e 6. Dopo la sesta, con cui passava in testa nel punteggio generale, Spassky si unì agli applausi del pubblico per il rivale, riconoscendogli un’ottima prestazione.
Dopo la vittoria nella tredicesima partita Fischer si trovò con un consistente vantaggio, 7,5 a 5: aveva criticato il formato della finale, perché permetteva a chi era in vantaggio di puntare al pareggio, con tecniche difensive, per restare davanti e avvicinarsi ai 12,5 punti necessari per vincere. Adottò però proprio questa strategia, e le seguenti sette partite finirono in pareggio. Nella partita numero 21 ottenne il punto che gli mancava per vincere. Dopo 40 mosse senza un vincitore la partita veniva sospesa e ripresa il giorno seguente, ma il 31 agosto Spassky concesse a Fischer la vittoria senza riprendere a giocare.
Quando Fischer tornò negli Stati Uniti le celebrazioni furono notevoli e la vittoria fu festeggiata anche come un successo simbolico e politico. Spassky fu accolto con freddezza in Unione Sovietica e negli anni successivi gli fu vietato di viaggiare all’estero, cosa che limitava molto le sue possibilità di partecipare ai tornei. Nel 1975 conobbe Marina Stcherbatcheff, segretaria all’ambasciata francese a Mosca: si sposarono e si trasferirono in Francia. Spassky divenne cittadino francese nel 1978.
Nel 1975 Fischer si rifiutò di giocare i successivi campionati del mondo contro il sovietico Anatoly Karpov, proprio per una disputa sul formato della sfida: non voleva ripetere quello dei 12 punti e mezzo, che favoriva i pareggi. Le trattative con la federazione non portarono a nulla, Fischer non rispose ad alcuni ultimatum e quindi vittoria e titolo furono assegnati d’ufficio a Karpov, che restò campione fino al 1985, quando perse con Garry Kasparov. Gli Stati Uniti non hanno avuto un altro campione del mondo dopo Fischer.

Boris Spassky e Bobby Fischer durante la rivincita del 1992 (AP Photo/Milos Vukadiovic)
La notorietà della sfida del secolo portò a una rivincita fra Fischer e Spassky, nel 1992, vent’anni dopo: i due giocatori avevano passato da tempo i loro momenti di migliori prestazioni e la sfida non era riconosciuta ufficialmente, ma ottenne comunque grande attenzione. Vinse ancora Fischer, per 10-5, in un formato che non contava i pareggi. Si autoproclamò campione del mondo.