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  • Mercoledì 26 febbraio 2025

In Cisgiordania è sempre più difficile trovare la Coca-Cola

È al centro di una campagna di boicottaggio contro le aziende che sostengono Israele, e sta avendo successo un'alternativa palestinese

Lattine di Chat Cola (AP Photo/Nasser Nasser)
Lattine di Chat Cola (AP Photo/Nasser Nasser)
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Nei supermercati e nei negozi di alimentari in Cisgiordania è sempre più difficile trovare bottiglie di Coca-Cola, la bevanda nota in tutto il mondo e considerata un prodotto simbolo degli Stati Uniti, uno dei più stretti alleati di Israele. Negli ultimi due anni i commercianti hanno ridotto gli acquisti oppure hanno iniziato a tenere appositamente le bottiglie sugli scaffali più bassi. Molte persone palestinesi hanno anche smesso di comprarla, come forma di protesta contro le politiche di occupazione israeliane e la guerra nella Striscia di Gaza.

La Cisgiordania è un territorio che secondo la comunità internazionale appartiene ai palestinesi ma che da decenni Israele occupa illegalmente tramite la costruzione di colonie, dove vivono centinaia di migliaia di persone. Da oltre un mese Israele sta conducendo una vasta operazione militare in Cisgiordania, e all’inizio di questa settimana ha inviato i carri armati nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania appunto, per la prima volta in oltre vent’anni.

Non esistono dati ufficiali sui cali delle vendite della Coca-Cola, in Cisgiordania o altrove, perché le aziende sono molto restie a diffonderli per evitare di rendere pubblica l’entità del danno e rischiare di rafforzare le campagne per il boicottaggio. È diventata però sempre più evidente la diffusione nei negozi della Chat Cola, un’alternativa molto simile alla Coca-Cola ma prodotta da un’azienda palestinese che ha sede a Salfit, in Cisgiordania. Nel 2024 le vendite di Chat Cola sono aumentate del 40 per cento rispetto all’anno precedente, secondo i dati dell’azienda, ed è diventato comune anche trovarla in alcune comunità a maggioranza araba in Israele.

La sostituzione della Coca-Cola con un’alternativa locale è soltanto uno degli effetti della campagna palestinese di boicottaggio dei prodotti di provenienza israeliana, o di aziende vicine a Israele, che va avanti da decenni. Il boicottaggio ha coinvolto Coca-Cola e molti altri marchi israeliani e occidentali, e ha trovato sempre più sostenitori dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, nell’ottobre del 2023.

La prima campagna palestinese per il boicottaggio della Coca-Cola risale agli anni Sessanta, quando l’azienda aprì la sua prima sede in Israele. All’epoca venne promossa dalla Lega Araba, un’organizzazione politica internazionale che riunisce i paesi del Nordafrica e quelli della Penisola araba. Per decenni ha influenzato negativamente le vendite della Coca-Cola in Medio Oriente.

In Cisgiordania il movimento per l’acquisto di prodotti palestinesi si è rafforzato a partire dall’inizio della guerra a Gaza. Nei principali supermercati, per esempio, sono stati messi volantini e poster con la scritta «Compra noi, per noi». Come notarono allora alcuni commercianti, però, la capacità produttiva delle aziende palestinesi non è sufficiente a soddisfare la domanda, e la maggior parte dei prodotti presenti sugli scaffali continua a essere di provenienza israeliana o straniera.

Dipendenti fuori dall'impianto produttivo della Chat Cola a Salfit, in Cisgiordania, il 13 febbraio 2025

Dipendenti fuori dall’impianto produttivo della Chat Cola a Salfit, in Cisgiordania, il 13 febbraio 2025 (AP Photo/Nasser Nasser)

Oggi il principale movimento per il boicottaggio come strumento di resistenza è il BDS (Boycott, Divestment and Sanctions), fondato nel 2005. Come spiegano gli attivisti sul sito dell’iniziativa, il boicottaggio della Coca-Cola è dovuto alla presenza di due stabilimenti dell’azienda nei territori della Cisgiordania occupati illegalmente da Israele: la loro presenza è stata anche ribadita dall’azienda con uno spot pubblicitario del 2024, che andò molto male.

Inoltre sempre l’anno scorso Coca-Cola è stata coinvolta in uno scandalo che ha aumentato il dissenso nei suoi confronti, quando i suoi prodotti sono stati donati da alcune associazioni israeliane ai soldati che combattevano nella Striscia di Gaza. Coca-Cola ha comunque sempre detto di non sostenere in alcun modo le attività militari di nessun paese, Israele incluso.

Negli ultimi due anni la Chat Cola è riuscita a ottenere una fetta di mercato rilevante. Utilizza materie prime che non arrivano da Israele, ma come tutte le altre aziende palestinesi deve sottostare alle regole israeliane sulle importazioni, tra cui dei pesanti dazi doganali. A volte capita poi che i carichi vengono bloccati dalle autorità israeliane: per esempio nell’ottobre del 2024 un camion carico di alluminio proveniente dalla Giordania fu fermato per quasi un mese, causando perdite economiche per l’equivalente di migliaia di dollari.

L’etichetta della Chat Cola è molto simile a quella della Coca-Cola: nella variante del gusto classico è rossa (anche se di un punto più scuro) e ha la scritta bianca. Esistono poi altri gusti in altri colori. Nel 2020 la National Beverage Company, la società con sede a Ramallah (in Cisgiordania) dove avviene l’imbottigliamento della Coca-Cola, fece causa all’azienda palestinese per violazione del diritto d’autore, ma perse perché secondo i giudici il design delle due bevande era sufficientemente diverso.

Varianti locali della Coca-Cola esistono in moltissime altre parti del mondo, e la maggior parte richiama in qualche modo il design originale. In Italia per esempio in alcuni locali si trova la MoleCola, la variante ideata a Torino nel 2012.

Queste alternative negli ultimi due anni hanno avuto particolare successo in molti paesi a maggioranza araba o musulmana, che hanno aderito alla campagna di boicottaggio. La bevanda V7, prodotta in Egitto, nel 2024 ha triplicato le sue esportazioni verso i paesi della regione; in Pakistan la principale app di delivery, Krave Mart, ha visto crescere di quasi cinque volte la richiesta soft drink alternativi; in Bangladesh si è diffusa sempre di più la Mojo, e un discorso simile si può fare per la Matrix Cola giordana e per la Kinza saudita.

– Leggi anche: Lo spot contro il boicottaggio della Coca-Cola che ha peggiorato la situazione