La grande operazione contro la mafia a Palermo
Sono state eseguite più di 180 misure cautelari ed è stato scoperto un sistema di comunicazioni criptate con cui i capi impartivano ordini dal carcere

Nella notte tra lunedì e martedì i carabinieri hanno eseguito più di 180 misure cautelari a Palermo, in Sicilia, in una grande operazione contro la mafia. Le misure sono state disposte dal giudice per le indagini preliminari (gip) di Palermo e dalla Direzione distrettuale antimafia locale, in seguito a un’indagine condotta dal procuratore capo Maurizio De Lucia e dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella.
Le persone sottoposte alle misure cautelari sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, esercizio abusivo del gioco d’azzardo, reati in materia di armi e contro il patrimonio e la persona. L’operazione ha riguardato soprattutto persone appartenenti ai clan mafiosi di Porta Nuova, Pagliarelli, Tommaso Natale, San Lorenzo, Santa Maria del Gesù e Bagheria.
In tutto i fermi e le misure cautelari sono 181. L’operazione, a cui hanno partecipato 1.200 carabinieri e un elicottero, ha interessato anche Bagheria e diverse parti della città di Palermo: il quartiere Zisa, in centro; quello Zen, in periferia; la zona di Santa Maria di Gesù.
I giornali hanno spiegato che la finalità dell’operazione era fermare la riorganizzazione di Cosa nostra, ripresa dopo una precedente operazione del dicembre del 2018 per sventare la ricostituzione della cosiddetta “Cupola”, cioè la riunione dei principali esponenti mafiosi. Repubblica ha scritto che i fautori di questa riorganizzazione sono stati gli esponenti scarcerati, e che l’espansione delle loro attività è avvenuta puntando soprattutto sul traffico di droga.
Un altro aspetto scoperto dalle indagini, e raccontato dai giornali, è che i capi mafiosi comunicavano tra di loro – tra dentro e fuori dalle prigioni – con l’utilizzo di telefonini criptati. Alcuni di questi dispositivi sono stati confiscati in carcere, da dove venivano utilizzati per mandare ordini alla rete criminale all’esterno, anche con l’utilizzo di video-chiamate: durante una di queste era stato commissionato un pestaggio, in altre organizzato l’arrivo di un carico di droga dalla Calabria.
In particolare, esisteva una chat criptata. I carabinieri l’hanno scoperto grazie alle intercettazioni, cioè alle microspie messe nelle case e nelle automobili delle persone intercettate. È capitato spesso che gli esponenti descrivessero a voce alta ciò che stavano scrivendo nella chat. L’identità di molti, ma non tutti, i partecipanti alla chat è stata ricostruita quando c’era stato un problema di funzionamento: in quell’occasione era stata aperta una nuova chat e i capi avevano elencato alcune delle persone da inserirvi e i loro contatti (di altre è noto lo pseudonimo). Per il momento, i carabinieri non sono riusciti ad accedere ai contenuti criptati.
I particolari dell’operazione sono stati comunicati martedì mattina durante una conferenza stampa. Il procuratore capo De Lucia ha spiegato che le indagini «dimostrano che Cosa nostra è viva e presente e dialoga con canali comunicativi assolutamente nuovi, fa affari e cerca di ricostituire il suo esercito», reclutando affiliati soprattutto tra i giovani. De Lucia ha detto anche che in procura c’è carenza di personale, e che mancano tredici sostituti procuratori e un procuratore aggiunto.
Il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, ha denunciato «l’estrema debolezza del circuito penitenziario di alta sicurezza che dovrebbe contenere la pericolosità dei mafiosi che non sono al 41 bis». Il 41-bis è un articolo dell’ordinamento penitenziario che consiste in una serie di limitazioni imposte ai detenuti, che definiscono quello che viene comunemente detto “carcere duro”. Fu varato nella sua forma attuale nel 1992, dopo le stragi di mafia di Capaci e via D’Amelio, a Palermo, per limitare il più possibile la frequenza dei contatti con l’esterno degli esponenti di vertice delle organizzazioni criminali: negli anni l’elenco di reati per cui si può essere sottoposti al 41-bis si è ampliato.



