Il referendum sull’autonomia differenziata non si farà

L'avevano chiesto le opposizioni ma la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito

I corazzieri di fronte al palazzo della Consulta, sede della Corte costituzionale, il 7 gennaio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
I corazzieri di fronte al palazzo della Consulta, sede della Corte costituzionale, il 7 gennaio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito del referendum per abolire la legge sull’autonomia differenziata, che quindi non si farà. Secondo il comunicato pubblicato dalla Corte «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari». La sentenza con le motivazioni sarà depositata entro il 10 febbraio.

C’era molta attesa sull’esito della decisione della Corte, sia perché il referendum era stato chiesto dalle opposizioni, sia perché riguarda una legge che il governo non sostiene in maniera del tutto compatta. La legge era stata voluta dal ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli (Lega) e definisce le modalità con cui le regioni potranno chiedere e ottenere di gestire in proprio alcune delle materie su cui al momento la competenza è dello Stato centrale. Non comporta un effettivo trasferimento di competenze, ma si limita a indicare il percorso per chiederlo e negoziarlo.

A novembre del 2024 la stessa Corte costituzionale aveva dichiarato in parte illegittima la legge, e per questo ci si chiedeva se avesse senso fare un referendum su una legge che con ogni probabilità dovrà cambiare per poter essere applicata: senza le motivazioni della sentenza però non è possibile capire se la ragione per cui il quesito è stato dichiarato inammissibile riguarda proprio il fatto che si riferiva a una legge che, scritta in quel modo, non potrà entrare in vigore.

A prescindere da quali saranno le motivazioni, la decisione della Corte è comunque notevole perché va contro un recente parere della Corte di Cassazione che aveva riconosciuto la validità del referendum dopo il pronunciamento della Corte costituzionale di novembre. È un fatto piuttosto inusuale.

Dal punto di vista politico il referendum presentava potenziali svantaggi sia per il governo, che durante la campagna referendaria sarebbe stato criticato e incalzato su un tema divisivo, sia per l’opposizione, che avrebbe dovuto convincere molti elettori ad andare a votare (una cosa non facile, considerando che negli ultimi trent’anni solo i referendum del 2011 hanno raggiunto il quorum del 50 per cento più uno).

Entro il 20 gennaio la Corte doveva esprimersi non solo su questo quesito, ma anche su altri: uno chiede di modificare le norme sulla cittadinanza, altri quattro sono a tema lavoro. Questi sono stati dichiarati ammissibili.