In Cina c’è un gran parlare di “involuzione”
La parola “neijuan” viene usata da anni per descrivere la frustrazione dei giovani, ma di recente è stata estesa ad alcuni settori dell'economia

In Cina va molto di moda online la parola neijuan, che significa “involuzione” e la cui traduzione letterale è “rotolare verso l’interno”, “attorcigliarsi su se stessi”. Con neijuan si intende il sentimento di frustrazione e impotenza che molti giovani cinesi dicono di provare a causa di un sistema scolastico e universitario estremamente competitivo e di un mercato del lavoro che, anche a causa delle difficoltà economiche della Cina, non è più in grado di soddisfare le ambizioni personali.
Di neijuan si parla in Cina ormai da qualche anno: la parola ha cominciato a diventare molto popolare sui social media tra il 2020 e il 2021, ma soltanto di recente ha cominciato a essere usata piuttosto estesamente anche sui media di stato e nei comunicati ufficiali del Partito Comunista Cinese, a dimostrazione del fatto che la leadership del paese è preoccupata del clima di rassegnazione riguardo alla propria vita e al proprio stato economico che si è diffuso in parte della popolazione e soprattutto in alcuni settori dell’economia.
La parola “involuzione” divenne popolare nelle scienze sociali negli anni Sessanta grazie a uno studio dell’antropologo americano Clifford Geertz, che la usò per descrivere il mancato sviluppo sociale sull’isola di Giava, in Indonesia. A un aumento della complessità sociale, notava Geertz, per secoli a Giava non era corrisposto un aumento dell’innovazione, della tecnologia e nessun cambiamento politico. La società si era trovata in una lunga fase di stagnazione e, infine, di involuzione.
Questo termine – che in cinese è appunto tradotto con neijuan – è stato poi adottato dalla cultura online in Cina per descrivere la situazione di molti giovani nelle università e nel mondo del lavoro. Ha cominciato a diventare davvero popolare nel 2020, quando sui social media cinesi circolò il video di uno studente dell’università Tsinghua di Pechino, una delle più prestigiose del paese, che lavorava con il proprio computer portatile mentre stava andando in bicicletta. Lo studente fu rinominato “il re involuto della Tsinghua”, e il suo video fu visto milioni di volte. Anche i media occidentali cominciarono a parlare di neijuan, l’involuzione della società cinese.
L’idea alla base del concetto di neijuan è questa: in Cina il sistema dell’istruzione, soprattutto quella superiore, è eccezionalmente competitivo. Per entrare nelle università del paese è necessario sostenere un esame collettivo svolto a livello nazionale, il gaokao, che ha origini nella Cina imperiale e per il quale alcune famiglie preparano i propri figli fin dall’infanzia, con tutor privati e lezioni aggiuntive. Una volta entrati nelle università più prestigiose, gli studenti sono spesso immersi in una cultura rigida ed estremamente aggressiva.
Usciti dalle università, i giovani sono poi proiettati in mestieri dove la cultura del lavoro è feroce. Per esempio le aziende tecnologiche cinesi, tra i posti di lavoro più ambiti per i giovani laureati, spesso usano un metodo chiamato 996, che significa: lavorare dalle 9 di mattina alle 9 di sera, per 6 giorni a settimana.
Fino a qualche anno fa, sottoporsi a questi sforzi e a questa cultura dell’istruzione e del lavoro così aggressiva significava quasi automaticamente ottenere un miglioramento consistente del tenore di vita per sé e per la propria famiglia: i giovani sapevano che se si fossero impegnati fino allo stremo avrebbero migliorato la propria posizione nella società.
Le cose sono cambiate negli ultimi anni in buona parte a causa del rallentamento dell’economia cinese, che si trova in una situazione di difficoltà e non è più in grado di offrire le opportunità di un tempo: la disoccupazione giovanile è arrivata a toccare il 21,3 per cento nel giugno del 2023. Dopo quel dato preoccupante, la Cina interruppe la pubblicazione delle statistiche sull’occupazione, per poi riprendere mesi dopo con una nuova metodologia più favorevole. Nonostante questo, il dato rimane altissimo per un paese come la Cina: il 17,1 per cento dei giovani tra i 16 e i 24 anni (esclusi gli studenti) che vivono nelle città non ha un lavoro. E anche parte dei giovani che trovano lavoro è insoddisfatta e convinta di non avere sufficienti opportunità di crescita.
Questo ha portato a una sensazione diffusa di scoraggiamento e frustrazione: molti giovani si chiedono perché impegnarsi in una società estremamente rigida se poi il progresso personale risulta difficile se non impossibile. Non è un caso che, quando si parla di cultura giovanile, il termine neijuan sia spesso associato a parole complementari come tangping, un neologismo che significa “stare sdraiati” e che è diventato popolare negli stessi anni: anche tangping indica il senso di impotenza di molti giovani davanti a un sistema lavorativo senza sbocchi.

Il presidente cinese Xi Jinping nel settembre del 2024 (AP Photo/Ng Han Guan)
Vista la situazione complicata dell’economia di recente il termine neijuan, involuzione, ha cominciato a essere usato per indicare il fatto che il rallentamento dell’economia cinese si sta riflettendo su alcuni settori dell’industria, in particolare quelli della tecnologia e delle energie rinnovabili.
L’idea è simile: anche questi settori, colpiti dalle sanzioni occidentali e dal rallentamento dell’economia domestica, finirebbero per farsi una competizione eccessiva tra loro e rischierebbero di perdere spinta e capacità di innovare, come hanno notato di recente alcuni articoli sui media di stato.
Questo sta preoccupando la leadership cinese. Alla fine del 2023 Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale, pubblicò un articolo che condannava la «competizione in stile neijuan». A giugno 2024 il primo ministro cinese, Li Qiang, ha parlato a Davos del rischio di una «involuzione» nell’economia globale. A luglio la leadership del Partito Comunista ha chiesto alle imprese di evitare una «competizione sfrenata e irrazionale», usando la parola neijuan. A dicembre, durante un’altra riunione economica del Partito, si è parlato ancora una volta di «rettificare» la cultura della competizione neijuan.
Non è chiaro fino a che punto questo clima di rassegnazione, da anni molto rappresentato sui social media, si sia davvero diffuso anche all’economia della Cina, ma sembra allinearsi alla generalizzata crisi di fiducia che sta coinvolgendo buona parte del paese. I sondaggi sulla fiducia dei consumatori, che misurano quanto si sentono ottimisti o pessimisti sullo stato dell’economia del proprio paese (e quindi quanto sono disposti a comprare e investire) sono crollati nel 2022, e da allora non si sono più ripresi.



