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  • Domenica 7 luglio 2024

Quanto ci hanno preso gli exit poll britannici

Sul risultato dei Laburisti molto, un po' meno su quello dei partiti più piccoli: ma si confermano tra i più attendibili, grazie a un modello statistico elaborato nel 2005

Una foto degli exit poll proiettati sulla facciata della sede di BBC a Londra
Gli exit poll proiettati sulla facciata della sede di BBC, Londra, 5 luglio (Leon Neal/Getty Images)
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Nelle elezioni britanniche di giovedì la dimensione della vittoria del partito Laburista è apparsa chiara sin dalle 10 di sera, pochi minuti dopo la chiusura dei seggi, quando gli exit poll nazionali hanno assegnato al partito di Keir Starmer 410 seggi su 650 complessivi. Non si trattava ancora di dati ufficiali, che sarebbero arrivati nel corso della notte; tuttavia gli exit poll del Regno Unito sono considerati molto affidabili, perché negli ultimi 15 anni hanno anticipato i risultati veri e propri con una certa accuratezza. In queste elezioni i seggi definitivi per i Laburisti sarebbero poi stati 411, quindi hanno sbagliato la previsione di un solo seggio.

Tuttavia gli stessi exit poll sono stati un po’ meno precisi con gli altri partiti: ai Conservatori davano 131 seggi, e sono stati 121; ai Liberal-democratici 61, e sono stati 71; il partito Reform UK di Nigel Farage è stato sovrastimato, rispetto ai 13 seggi previsti ne ha presi 5. Sono variazioni all’interno del margine di errore, e che di certo non hanno spostato il significato complessivo di queste elezioni. Ma le previsioni si sono rivelate un po’ meno accurate rispetto al solito, pur confermando di essere più attendibili di quelle di altri paesi: in India, per fare un esempio recente, avevano pronosticato una larghissima vittoria del partito del primo ministro Narendra Modi, rivelatasi invece molto più contenuta.

Rispetto ai confronti con altri paesi, come l’Italia, va inoltre considerato che nel Regno Unito si vota con un sistema elettorale uninominale secco, definito del first-past-the-post, che si può tradurre come “passa-solo-il-primo”: in 650 collegi viene eletto il candidato che prende più voti. Statisticamente questo sistema è meno prevedibile e più soggetto ad errori di previsione rispetto a quello proporzionale.

Gli exit poll si basano su sondaggi fatti agli elettori dopo il voto, fuori da alcuni seggi presi come campione statistico. Le risposte degli elettori su come hanno votato vengono poi rielaborate dagli analisti per stimare i risultati nazionali. Nel Regno Unito sono commissionati dai tre principali network televisivi del paese, BBC, ITV e Sky News, e realizzati dall’istituto Ipsos. Vengono fatti sulla base di circa 17mila sondaggi condotti in 133 sezioni elettorali del paese, in cui si chiede agli elettori di ripetere il loro voto in un finto seggio elettorale: è prevista una replica della scheda e una dell’urna, mentre gli elettori sono scelti a caso all’interno della sezione scelta.

Dal 2005 i professori di statistica John Curtice e David Firth hanno elaborato un modello statistico che ha sempre azzeccato le previsioni tranne che nel 2015, quando pronosticò che nessun partito avesse la maggioranza e invece i Conservatori di David Cameron riuscirono a ottenerne una risicata. Nel 2010 gli exit poll riuscirono a calcolare il numero esatto di seggi poi effettivamente vinti dai Conservatori.

Le 133 sezioni oggetto degli exit poll sono scelte in base a criteri demografici e soprattutto restano sempre le stesse da una elezione all’altra. Questo è particolarmente importante perché gli exit poll inglesi non vengono elaborati semplicemente sui voti delle “false schede”, ma anche analizzando le variazioni rispetto ai risultati reali precedenti, basandosi su un modello statistico che tiene conto di molte variabili legate all’elettorato di quella particolare sezione: la classe sociale degli elettori, il numero di auto possedute nella zona, le percentuali di chi ha votato a favore della Brexit nel referendum, solo per citarne alcuni.

Un seggio a Londra (AP Photo/Kin Cheung)

Il professore John Curtice, assai presente sui media e molto conosciuto per la sua competenza su questioni elettorali, ha spiegato al Daily Telegraph: «Quei dati mostrano la geografia di come sono cambiati i voti delle persone. Da questo si ricava una serie di equazioni che indicano chi è probabile che vinca in ogni collegio. Sommando tutte queste equazioni si arriva alla previsione finale per l’intero paese». Il modello permette quindi di calcolare chi vincerà anche nei collegi in cui non si effettuano sondaggi. I dati raccolti vengono inviati man mano a un centro di analisi dove chi li elabora è isolato dall’esterno e privato di telefoni personali, che vengono consegnati all’ingresso: chi ci lavora ha spiegato ai quotidiani britannici che spesso è possibile avere un’idea di chi vincerà quando i seggi sono ancora aperti.

Nel Regno Unito si vota in un giorno feriale e la maggior parte degli elettori va ai seggi dopo le 6 del pomeriggio, quando ha finito di lavorare, e questo complica il lavoro dei sondaggisti, perché lascia un tempo ridotto per l’elaborazione dei dati.

In questa specifica elezione ci sono inoltre due fattori che possono aver parzialmente condizionato l’accuratezza dei risultati. Più che in passato in molti collegi la vittoria è stata decisa da un numero ridotto di voti: in sette per meno di 100 voti, in tre per 20 voti o meno. Di solito le elaborazioni statistiche hanno un margine di errore molto più ampio e non riescono a rilevare uno scarto così ridotto. Nel 2023 poi sono stati rivisti e modificati i confini dei collegi, in modo da mantenere il più possibile omogeneo il numero degli elettori di ognuno: questo potrebbe aver reso più difficile il confronto con le elezioni del passato.

Il sistema britannico non è completamente replicabile in altri paesi: in alcuni il sistema di voto è diverso, e non permette le stesse elaborazioni. In altri con sistemi simili, come gli Stati Uniti, sono la forma dell’elettorato e i metodi di voto ad essere differenti. Nelle elezioni statunitensi gli elettori devono iscriversi alle liste elettorali, e il loro numero può cambiare sensibilmente da un anno all’altro. Percentuali molto più alte di elettori scelgono poi il voto per posta o anticipato (dal 41 per cento del 2016 al 70 per cento del 2020, contro il 21 per cento nel Regno Unito), rendendo i sondaggi fuori dai seggi meno rappresentativi.