Una rivista musicale che resiste
“Rumore” parla di rock e culture alternative da più di trent'anni, e continua a uscire mensilmente in un periodo in cui l'interesse verso pubblicazioni di questo tipo è molto basso
di Giuseppe Luca Scaffidi

La giornata di Rossano Lo Mele comincia spesso molto presto. Più volte a settimana deve svegliarsi all’alba per recuperare dal corriere gli scatoloni con le copie appena stampate di Rumore, la rivista musicale che dirige dal 2013 e che viene pubblicata da più di trent’anni.
Dopo aver sistemato gli scatoloni in cantina, comincia la fase più delicata, che definisce il «lavoro quotidiano»: bisogna imbustare le riviste, etichettarle e spedirle agli abbonati. A occuparsi delle spedizioni è suo padre, che negli anni ha adottato una serie di stratagemmi per risparmiare sui costi. «Ha lavorato per molti anni nelle ferrovie, occupandosi di abbonamenti, biglietterie, ferie: è uno molto preciso», racconta Lo Mele.
Prima di procedere all’imbustamento, ogni rivista viene pesata su una bilancia. Questo perché, nei contratti con le poste, il peso determina le varie categorie di costo delle spedizioni: può capitare che il nuovo numero pesi qualche grammo in più di quello precedente, e che quindi superi la soglia prevista dal contratto. In quei casi è un problema: «è un peccato ed è una spesa che, sommata per le tante copie che dobbiamo inviare, alla fine incide sul serio», spiega.
Quando si presenta questo problema, il padre adotta due strategie differenti, che risentono delle condizioni climatiche del momento: d’estate mette le copie sul balcone in un posto riparato, così che il calore possa «asciugare» il peso in eccesso senza rovinare le riviste; d’inverno invece, con molta cautela, utilizza un asciugacapelli. «Se il peso è ridotto mi guarda ridendo e mi dice: “hai visto che anche questa volta ce l’abbiamo fatta?”. Poi esce di fretta e va alle poste, prima che aumenti di nuovo».
La routine dei Lo Mele riassume bene quante accortezze bisogna adottare per poter rendere economicamente sostenibile una rivista musicale oggi, in un periodo in cui l’interesse verso questo tipo di pubblicazioni è calato e la stampa specializzata ha meno importanza di un tempo nella promozione della musica. «La nostra è un’impresa che più familiare non si può, in cui i guadagni non sono di certo alti: bisogna fare la massima attenzione alle spese», dice.
Nel caso di Rumore, le cose sono complicate ulteriormente dalla forte identità della rivista, che dedica molta attenzione alle novità che arrivano dal rock e ospita contributi che è difficile trovare in altre pubblicazioni italiane.
I numeri escono mensilmente, e costano 8 euro. Contengono quasi sempre lunghe interviste ai protagonisti della scena musicale “indipendente”: gruppi emergenti, italiani o stranieri, che si stanno facendo notare in una certa nicchia, produttori famosi nell’ambiente ma poco conosciuti dal grande pubblico, e critici musicali di fama internazionale. C’è ovviamente uno spazio dedicato alle recensioni delle nuove uscite discografiche e di altri medium, come libri, fumetti, film e serie tv. Inoltre, spesso vengono allegati alla rivista degli inserti speciali che approfondiscono verticalmente un certo tema.

(Rossano Lo Mele)
In molti casi, questi inserti richiedono un lavoro di ricerca importante: la rivista li definisce “allegati 50 + 50”, perché solitamente analizzano cento opere (dischi, libri, riviste) ritenute fondanti di un certo fenomeno. Per esempio, un paio d’anni fa Carlo Bordone, uno dei collaboratori della rivista, ne scrisse uno dedicato ai 100 documentari rock più importanti di sempre, mentre nel 2021 Luca Frazzi ne curò uno sulle 100 riviste musicali italiane più influenti di sempre.
Rumore, insomma, è una rivista che si rivolge a un pubblico che segue le cose che succedono nella musica alternativa con una certa continuità (musicisti, frequentatori assidui di concerti, collezionisti di dischi), che pretende un alto livello di approfondimento e che per questo motivo è molto esigente.
L’approccio delle persone che ci scrivono si rifà a quello di un certo tipo di giornalismo musicale, molto consolidato soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti, che non si limita a proporre analisi circoscritte unicamente alla musica, ma anche alle modalità con cui questa viene influenzata da fattori sociali e da altre forme espressive, e viceversa.
Gli editoriali di Lo Mele citano spesso critici che hanno reso questo approccio famoso e influente in tutto il mondo, dai primi esponenti del new journalism degli anni Sessanta (Lester Bangs, Greil Marcus), che cominciarono ad analizzare la musica rock in un quadro più ampio di cultura e politica, fino a quelli più attuali come Simon Reynolds e Amanda Petrusich.
In Italia, dopo alcuni esperimenti embrionali del Dopoguerra come Musica e dischi, la musica rock diventò oggetto di approfondimento giornalistico già negli anni Sessanta, quando i giovani divennero per la prima volta una categoria di mercato e riviste come Big e Ciao 2001 cominciarono a interessarsi alle novità che arrivavano dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Gli anni Settanta furono poi il decennio in cui il movimento punk diede vita a una serie di sottogeneri che, in alcuni casi, sarebbero diventati delle avanguardie musicali, come il post-punk e l’hardcore.
E verso la fine del decennio cominciarono le pubblicazioni di due riviste che ebbero l’intuizione di intercettare la curiosità dei giovani ascoltatori del tempo, che erano attratti da generi musicali che non venivano trattati sulle riviste. Una delle più importanti fu Mucchio Selvaggio, fondata nel 1977 a Roma da Max Stefani, Paolo Carù e Aldo Pedron, mentre l’anno dopo fu il turno di Rockerilla, fondata a Cairo Montenotte (Savona) da Gian Paolo Carlini (il Mucchio Selvaggio ha chiuso le pubblicazioni nel 2018, mentre Rockerilla esce tuttora).
Rumore fu fondata agli inizi degli anni Novanta da Claudio Sorge, che ai tempi aveva appena lasciato la condirezione di Rockerilla. Racconta che nel 1992, dopo alcuni dissidi interni, un «gruppo di scissionisti» composto da ex redattori e collaboratori del giornale decise di mettersi al lavoro «per creare una rivista con un taglio moderno e un linguaggio meno “fanzinaro” e più giornalistico». Il risultato fu per l’appunto Rumore, il cui primo numero uscì nel febbraio del 1992: costava 5mila lire e aveva in copertina i Red Hot Chili Peppers.
In quel periodo si stavano affermando nuovi generi derivativi del rock, come per esempio il grunge e il nu metal, e l’hip hop stava cominciando a farsi conoscere da un pubblico più ampio anche in Italia. Sorge decise di dare spazio a queste novità, incentrando la linea editoriale della rivista sul racconto di come queste nuove forme espressive si stavano consolidando in Italia. «Abbiamo iniziato a dedicarci a ciò che ritenevamo musicalmente interessante, emancipandoci dalle separazioni di genere e dalle ideologie», racconta.
Rumore è una delle poche riviste musicali italiane che continuano a uscire regolarmente. Altri esempi sono quelli di Rockerilla e Blow Up, che per linguaggio e temi sono le principali concorrenti della rivista, e Buscadero, fondata nel 1980 e rivolta a un pubblico diverso, poco incline alle novità e interessato a un rock piuttosto datato.

(Rossano Lo Mele)
Lo Mele, che nella vita è anche un musicista e suona la batteria nella rock band italiana dei Perturbazione, iniziò a collaborare con Rumore verso la metà degli anni Novanta. Negli anni ebbe la possibilità di realizzare articoli che oggi richiederebbero sforzi economici insostenibili: per esempio, racconta, una volta fu mandato per una settimana a Chicago, negli Stati Uniti, per intervistare alcuni protagonisti della scena alternativa della città. In quell’occasione ebbe l’opportunità di conoscere una figura mitica dell’ambiente della musica alternativa mondiale, il chitarrista e produttore discografico Steve Albini, morto un mese fa.
– Leggi anche: L’importanza di Steve Albini
Lo Mele acquistò Rumore da Sorge nel 2013, fondando un’apposita società editoriale e assumendone fin da subito la direzione: oggi continuano a lavorare insieme a ogni numero della rivista, condividendo scelte editoriali, interfacciandosi con le etichette e gestendo insieme la curatela degli inserti. Lo Mele racconta che «quando siamo subentrati la prima cosa che abbiamo fatto è stata potenziare il lato digitale, introducendo un sito che pubblicasse continuativamente notizie, facendo attenzione a differenziare ciò che pubblicavamo online da ciò che finiva sul giornale».
Per Rumore, il digitale si è rivelato «una grande stampella», perché ha aumentato il numero dei lettori grazie all’esposizione sui social e ha facilitato moltissimo la procedura per abbonarsi, che è diventata immediata e intuitiva. «Gli abbonati del cartaceo sono aumentati rispetto a dieci anni fa, non perché siamo stati più bravi rispetto a chi ci ha preceduto, ma perché oggi le persone vogliono le cose facili e vogliono risolvere tutto con un clic: il sito ha risolto questo problema», dice.
L’abbonamento alla rivista costa 80 euro, e comprende gli undici numeri annuali (uno dei numeri estivi resta in edicola per due mesi), gli allegati e altri inserti speciali. Ci sono altre due tipologie di abbonamento, a seconda della destinazione delle spedizioni: quello “Europa” (130 euro) e quello “Mondo” (200 euro). È anche possibile abbonarsi all’edizione digitale (24,99 euro). Lo Mele dice che attualmente gli abbonati sono circa 800, e che la tiratura mensile di Rumore è di circa 12mila copie.
Pur pubblicando quotidianamente notizie, per Rumore quindi il sito rimane perlopiù una vetrina utile a vendere la rivista cartacea, che è ancora il prodotto verso cui vengono indirizzati i maggiori sforzi. Quando iniziano a lavorare al nuovo numero di Rumore, Sorge e Lo Mele partono dall’aspetto più importante: la copertina. «Non possiamo permetterci di sbagliarla, sia perché chi ci legge in modo abituale non ci perdonerebbe se dessimo spazio a musicisti o gruppi poco inclini ai nostri valori, sia perché topparne una può pregiudicare la stessa esistenza della rivista», dice Sorge.
Una delle più difficili da progettare è la copertina estiva perché, sottolinea Lo Mele, «rimane in edicola per due mesi, un periodo più lungo rispetto alle altre». Per questo motivo, il numero estivo ha bisogno di essere «sorretto da una copertina efficace e abbinata a una storia interessante», ma «al tempo stesso bisogna ridurre i rischi al minimo». Per esempio, dice Lo Mele, «l’anno scorso abbiamo pubblicato una copertina estiva rischiosa, focalizzata su due musicisti italiani molto interessanti, Lucio Corsi e Venerus. Ho insistito tantissimo per farla, anche perché queste cose da noi normalmente vengono premiate, e invece il numero andò abbastanza male».
Prima di lavorare sulla copertina, Lo Mele e Sorge osservano i progetti delle riviste concorrenti, perché «per evitare di realizzare spiacevoli doppioni, è sempre bene sapere cosa hanno in mano gli altri».
Può capitare che circostanze temporali costringano la redazione ad accantonare progetti potenzialmente interessanti e in linea con l’identità della rivista. Per esempio, dice Sorge, «se un gruppo a cui vorremmo dedicare una copertina fa uscire un disco lo stesso giorno in cui esce il nuovo numero di Rumore, nella maggior parte dei casi siamo costretti a rifiutare, perché l’entusiasmo per quell’uscita si esaurisce in pochissimo tempo. Se il disco esce due settimane dopo, invece, la scelta può essere conveniente, perché permette di usufruire di una finestra temporale aggiuntiva che crea curiosità attorno alla rivista».
Secondo Lo Mele, poi, le dinamiche digitali hanno cambiato tutto. «Se avessimo dovuto ragionare come vent’anni fa, a giugno avremmo dovuto mettere in copertina Steve Albini. E invece non possiamo, perché nell’arco di appena 72 ore è stato tritato da chiunque, anche da giornali insospettabili: dobbiamo fare scelte diverse per differenziarci e renderci più visibili, ovviamente sempre nel rispetto della nostra linea editoriale».
Ci sono anche casi in cui questo principio non vale. Per esempio, anche se molti concorrenti hanno fatto lo stesso, Rumore ha dedicato il numero di aprile a Kurt Cobain. «Era il trentennale della sua morte, e sapevamo che tutti avrebbero scritto di Cobain e dei Nirvana. Tuttavia eravamo convinti che, con le nostre competenze, avremmo potuto realizzare qualcosa di diverso rispetto agli altri, e infatti il numero è andato piuttosto bene», dice Lo Mele.
«Tutto quello che rientra in quello che potremmo definire “mondo di Seattle”, per noi è molto importante: la rivista è stata fondata quando il grunge andava per la maggiore, è la nostra storia, e quindi in quel caso dedicare un numero a Cobain era una specie di obbligo morale ed editoriale».
– Leggi anche: Come se ne andò Kurt Cobain
Infine, ci sono le copertine che funzionano più o meno sempre, perché dedicate a musicisti e gruppi a cui i lettori di Rumore sono molto affezionati. «In questo caso, il nome che funziona di più è Nick Cave: ogni volta che c’è qualcosa di interessante che lo riguarda, prendiamo in considerazione di farci qualcosa. I nostri lettori sono legatissimi alla sua figura e alla sua musica, e per Rumore è un musicista quasi identitario».

(Rossano Lo Mele)
Un altro obiettivo che Rumore persegue è quello di parlare di musica nuova, ricercata e interessante, evitando così di essere associata all’etichetta del rockism, termine che indica la tendenza un po’ ostinata a celebrare gli artisti rock duri e puri a discapito di altri generi, a cui vengono solitamente associate riviste conservatrici e poco inclini alle novità.
Seguire questa strada non è semplice, perché molti lettori di Rumore sono cresciuti insieme alla rivista, e sono per forza di cose legati a un certo tipo di musica e di immaginario. Tuttavia, spiega Lo Mele, «riusciamo quasi sempre a mantenere alta l’attenzione verso le cose nuove, anche perché negli anni si è creato una specie di patto di fiducia: i lettori si fidano del nostro gusto e dei nostri consigli».
Spesso le scelte di Lo Mele e Sorge si rivelano lungimiranti: per esempio, già quattro anni fa dedicarono una copertina ai Fontaines D.C., gruppo irlandese che oggi è considerato un riferimento per la musica post-punk, ma che ai tempi era praticamente sconosciuto in Italia. «Si potrebbe pensare che anticipare così tanto i tempi sia sconveniente, perché si rischia di parlare estesamente di un gruppo nel periodo in cui la sua fama è ancora ai minimi», dice Sorge. «E invece, quando riusciamo ad anticipare una tendenza, ne siamo felici: significa che il nostro lavoro di ricerca ha funzionato».
Oltre a essere il direttore di una testata musicale, Lo Mele è anche un musicista professionista. Questa sua «doppia identità» lo ha spinto a intraprendere una vita piuttosto appartata, che da un lato lo spinge a fare poca amicizia con i colleghi, ma dall’altro garantisce alla sua rivista la massima imparzialità nei giudizi. «La penso come Lester Bangs in Quasi Famosi: se vuoi fare una rivista musicale, devi ridurre al minimo i contatti con l’ambiente, anche perché se un disco non ti piace devi poterlo recensire negativamente. Per evitare richieste di favori editoriali da parte di musicisti o gruppi, faccio una vita molto tranquilla e appartata: preferisco arrossire prima che imbarazzarmi dopo».