Salvador Dalí portava i baffi «per passare inosservato»

Erano il suo tratto più riconoscibile e dicono molto di come pensava e creava il celebre pittore surrealista nato 120 anni fa

Salvador Dalí osserva delle statuette durante una mostra a New York il 4 gennaio del 1956
Salvador Dalí osserva delle statuette durante una mostra a New York il 4 gennaio del 1956 (AP Photo/ Robert Kradin)
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Quando si pensa al celebre pittore spagnolo Salvador Dalí la prima cosa che viene in mente sono i suoi baffi fini, allungati e piegati all’insù, tra i più famosi, riconoscibili e citati di sempre. L’artista, nato in Catalogna l’11 maggio di 120 anni fa, diceva di tenerli così «per passare inosservato» ma anche come fonte di ispirazione: di fatto sono diventati un simbolo della sua personalità eccentrica e della sua concezione dell’arte e della vita.

Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí i Domènech, marchese di Dalí de Púbol, è considerato uno dei più grandi artisti del Novecento e il più importante esponente del surrealismo, un movimento di avanguardia artistica che esplorava il mondo del subconscio e dell’immaginazione. Per il fotografo Philippe Halsman, che ai baffi di Dalí dedicò un libro fotografico scritto insieme al pittore e pubblicato nel 1954, la più surrealista delle sue creazioni era proprio lui stesso.

I baffi di Dalì venivano descritti dai suoi contemporanei come «una parte significativa della sua divisa di artista eccentrico» o un’opera d’arte pop «flessibile e molto impomatata»; per qualcuno avevano «allusioni falliche», mentre per qualcun altro «sfidavano la gravità». Per Gertrude Stein, la scrittrice e poetessa statunitense che fu tra le figure più influenti delle avanguardie artistiche di inizio Novecento, erano «i baffi più belli di tutta Europa».

Dalí posa per una foto davanti a un suo dipinto a Londra nel dicembre del 1951 (George Konig/ Keystone Features/ Getty Images)

Dalí posa per una foto davanti a un suo dipinto a Londra nel dicembre del 1951 (George Konig/ Keystone Features/ Getty Images)

Dalí aveva i baffi già da giovane, ma cominciò a farseli lunghi e all’insù negli anni Quaranta, quando era già un pittore affermato e conosciuto non solo in Spagna ma anche a Parigi, dove aveva conosciuto alcuni degli artisti più noti del tempo, da Pablo Picasso a Paul Éluard e André Breton, e negli Stati Uniti, dove aveva organizzato la sua prima mostra personale nel 1933. Sembra che fosse stato ispirato a portarli così in parte da un ritratto del comandante catalano del Seicento Josep Margarit che aveva in casa il padre, e in parte dal pittore Diego Velázquez, che li avevano più folti e li portavano all’insù, anche se in maniera meno esagerata.

Il libro scritto con Halsman, che era un suo amico e nel 1948 aveva scattato una delle sue fotografie più celebri, Dalí Atomicus, raccoglie 36 ritratti del pittore con i baffi pettinati o decorati in maniera bizzarra, per esempio con fiori oppure medaglie di esponenti del comunismo e del socialismo come Karl Marx, Vladimir Lenin e Josip Stalin. Ciascuna delle foto risponde a una domanda, prima su tutte “Perché indossi i baffi?”, a cui Dalí
rispose appunto «per passare inosservato»: quando Halsman gli chiede cosa intenda, lui risponde: «Come due sentinelle erette, i miei baffi difendono l’ingresso nel mio vero io».

Alcune foto di Philippe Halsman contenute nel libro durante una mostra dedicata al pittore all'High Museum of Art di Atlanta, il 28 agosto del 2010

Alcune foto di Philippe Halsman contenute nel libro durante una mostra dedicata al pittore all’High Museum of Art di Atlanta, il 28 agosto del 2010 (Erik S. Lesser/ The New York Times)

Nato in una famiglia borghese e cresciuto in un ambiente relativamente colto, Dalí si trasformò «in quel personaggio originale e scandaloso, disadattato e fecondo, un po’ disordinato e brillantissimo e irritante» in seguito a quelle che Luis Romero, uno dei massimi esperti dell’opera dell’artista, ha definito «peripezie introspettive». Studiò a Madrid, viaggiò a Parigi e nel 1929 conobbe e poi sposò Elena Ivanovna Diakonova, meglio nota come Gala, ex moglie del poeta Éluard, che ebbe un’influenza notevole sulla sua vita e sulla sua carriera. Dagli anni Trenta frequentò molto gli Stati Uniti, dove diventò subito un personaggio richiesto (nel 1936 comparve su una copertina della nota rivista Time).

Gala fu il soggetto di numerosi dipinti di Dalí, che sperimentò nuovi modi per esprimere il subconscio, appropriandosi di pensieri spontanei come quelli dell’onirico, dell’immaginario e dell’assurdo, in contrapposizione alla logica della razionalità. Tra i temi ricorrenti nelle sue opere si trovano così il sogno, la sessualità e combinazioni inconsuete di soggetti, surreali appunto, espresse con esseri antropomorfi e oggetti dilatati, corpi con cassetti sorretti da stampelle, scene oniriche, paesaggi trasfigurati e visioni inquietanti.

Sono elementi che si trovano per esempio nel Torero allucinogeno, uno dei suoi dipinti più famosi, in cui peraltro compaiono delle mosche. Nel suo libro Dalí, Romero ricorda che il pittore «immaginava Velázquez dipingere circondato da mosche, e quando consentì ai suoi baffi di crescere oltre le misure ordinarie, attribuiva loro, tra le altre virtù, anche quella di attrarle e catturarle, così che potesse lavorare con tranquillità». Lo raccontò anche in un’intervista televisiva, in cui disse che si spalmava un po’ del grasso appiccicoso dei datteri sulle labbra, aspettando che ci si posassero e che gli entrassero in bocca per sentirle ronzare dentro. Per lui, disse, era parte della soddisfazione che cercava durante la pittura.

Salvador Dali nel 1953 circa (Courtesy Everett Collection/ Contrasto)

Salvador Dalí nel 1953 (Courtesy Everett Collection/ Contrasto)

Dalí parlò dei suoi baffi in numerose altre occasioni. In un’intervista data nel 1955 al presentatore della BBC Malcolm Muggeridge spiegò che per ottenere i suoi baffi usava appunto i datteri: «Alla fine del pranzo non mi lavavo le dita e me ne mettevo un po’ sui baffi, così stavano [fermi] per tutto il pomeriggio». In seguito per sistemarli cominciò a usare una pomata ungherese, la stessa utilizzata dallo scrittore francese Marcel Proust, che però a suo dire la metteva «in un altro modo… più deprimente e malinconico». «I miei baffi, al contrario, sono molto allegri, molto appuntiti, molto aggressivi».

Per metterli a posto gli servivano solo tre minuti, disse, e sistemarli ogni giorno «era sempre più utile per avere ispirazione»: in qualche occasione li aveva paragonati a due specie di antenne che, come disse citando il filosofo del Cinquecento Giovan Battista Della Porta, «erano elementi indispensabili per la creazione artistica». In un’altra intervista data al Dick Cavett Show nel 1970 li definì «l’evento tragico e costante nella faccia di un essere umano», «il fenomeno più violento del volto umano», «la parte più seria della [sua] personalità». «Hanno continuato a crescere, così come il potere della mia immaginazione», dice nel libro fotografico scritto con Halsman.

Dalí con un modello della sua stessa testa durante una conferenza stampa a Parigi nel 1973

Dalí con un modello della sua stessa testa durante una conferenza stampa a Parigi nel 1973 (Keystone/ Getty Images)

Nella prefazione di Diario di un genio, Michel Déon scrive che «crediamo di conoscere Dalí perché ha deciso di trasformarsi in un personaggio pubblico» ma, come nota sempre Romero, «pur rivelando tanto, spingendo sfrontatezza, sincerità e impudicizia oltre limiti neppure sfiorati da altri, l’esibizione non è totale come tenta di farci credere». Per molti versi era un personaggio introverso, egocentrico, narcisista e giudicante, considerato a volte fastidioso e offensivo. Fu accusato di maltrattare le donne e di avere simpatie per Adolf Hitler, che lo fecero allontanare dagli altri surrealisti. Aveva poi un rapporto complicato con la sua sessualità (era terrorizzato dall’organo sessuale femminile e nonostante le orge organizzate con Gala tendeva a ricavare piacere sessuale solo dalla masturbazione).

Era inoltre noto per i suoi commenti irriverenti, iperbolici e a volte semplicemente assurdi. Spiegò di «fare di tutto per essere ridicolo, perché a dirla tutta ogni essere sublime è ridicolo» e parlando sempre dei baffi, disse di averli fatti crescere «perché non fumava, e per la salute erano meglio» quelli. In un’intervista data al giornalista canadese Wilfrid Lemoine ammise che a volte diceva cose in cui non credeva, a cominciare da quella volta in cui non era nemmeno adolescente e disse che era un genio, senza crederci: «Ma alla fine, mostrandomi come un genio, lo sono diventato».

Dalí morì nel 1989 a 84 anni per problemi cardiaci a Figueres, dove era nato e dove è sepolto, nella cripta del Teatro-Museo Dalí. Nel museo a lui dedicato a St. Petersburg, in Florida, c’è invece una scultura di oltre due metri che rappresenta proprio i suoi baffi, di cui si riparlò molto nel 2017, quando il suo corpo fu riesumato per eseguire un test di paternità risultato poi negativo. Narcís Bardalet, che aveva imbalsamato il corpo di Dalí dopo la morte, disse che i suoi baffi erano rimasti «intatti, alle 10 e 10, come desiderava lui»: «I baffi persistono, e lo faranno in eterno».

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