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  • Martedì 19 marzo 2024

Le bandiere di preghiera tibetane hanno il problema che poi diventano rifiuti plastici

Hanno una grande importanza religiosa e culturale nell'Himalaya, ma sono fatte perlopiù con fibre sintetiche: ora c'è chi è tornato ai materiali naturali

Un uccello in volo sopra a una serie di bandiere di preghiera a Dharamsala, in India, il 27 novembre del 2021
Un uccello in volo sopra a una serie di bandiere di preghiera a Dharamsala, in India, il 27 novembre del 2021 (AP Photo/ Ashwini Bhatia)
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Anche in Europa di tanto in tanto si vedono quelle che sono conosciute come bandiere di preghiera tibetane, le file di bandierine di stoffa colorata con testi e immagini che sono diffusissime in tutta la zona dell’Himalaya, nell’Asia meridionale. Le bandiere di preghiera hanno una grande importanza culturale e religiosa per numerose comunità locali, dal Nepal all’India al Tibet appunto: il problema è che dagli anni Settanta quelle più comuni sono fatte di fibre sintetiche, che possono pertanto contribuire a inquinare le montagne in cui vengono comunemente appese. Per questa ragione da qualche tempo c’è chi promuove quelle fatte di materiali biodegradabili, anche per non aggravare gli effetti già disastrosi della crisi climatica nell’area.

Le bandiere di preghiera sono tipiche della religione buddista e di quella bön, autoctona del Tibet, che condividono con altre culture locali certi simboli, come quello del cavallo, che rappresenta forza e capacità di trasformazione e compare spesso sulle bandiere. Si dividono sostanzialmente nelle lung ta, che sono file di bandiere quadrate o rettangolari collegate da una corda in senso orizzontale, il cui nome tibetano si può tradurre come “cavalli del vento”; e nelle darchog, letteralmente “pennoni”, cioè bandiere singole che vengono attaccate a dei pali piantati nel terreno. I loro cinque colori tradizionali – blu, bianco, rosso, verde e giallo – rappresentano rispettivamente cielo e spazio, aria e vento, fuoco, acqua e terra; si appendono all’esterno di case, templi e siti di pellegrinaggio oppure in cima alle montagne per benedire il paesaggio e per augurare salute e prosperità.

Tradizionalmente queste bandiere erano fatte di stoffa, di carta o di seta, e venivano stampate con inchiostro ricavato dal riso cotto assieme a terra e acqua: con il vento dell’Himalaya duravano pochi mesi, e loro eventuali resti venivano buttati o bruciati con apposite preghiere. Con la produzione di massa, soprattutto in Cina e India, hanno tuttavia cominciato a essere prodotte con fibre di poliestere e nylon, che ci possono mettere anche secoli per degradarsi.

Bandiere di preghiera fotografate ad Angsai, nella regione cinese di Sanjiangyuan, che confina con il Tibet

Bandiere di preghiera ad Angsai, nella regione cinese di Sanjiangyuan, che confina con il Tibet (AP Photo/ Ng Han Guan)

La questione dell’inquinamento sull’Himalaya aveva ottenuto attenzioni a livello internazionale alla fine del 2020, quando uno studio aveva evidenziato frammenti di microplastiche nella neve e nei corsi d’acqua sull’Everest, che con 8.848,86 metri di altezza è la montagna più alta del mondo. Le fibre di poliestere erano state trovate fino a un’altitudine di 8.440 metri, e secondo lo studio probabilmente venivano da vestiti e attrezzature dei turisti. La preoccupazione che le fibre sintetiche delle bandiere potessero inquinare i ghiacciai, le nevi e i corsi d’acqua dell’Himalaya però c’era già da prima.

Lo ha raccontato al Nepali Times Ang Dolma Sherpa, fondatrice di Utpala Crafts, un’azienda di Katmandu che produce appunto bandiere biodegradabili. Ang Dolma dice che per lei tutto cominciò nel 2015, quando quindici leader buddisti di tutto il mondo, compreso il Dalai Lama, firmarono la cosiddetta Dichiarazione buddista sul cambiamento climatico: un documento in cui sostenevano la necessità di adottare «strategie di mitigazione e adattamento onnicomprensive» e dicevano che la comunità buddista internazionale doveva riconoscere la propria «dipendenza dal mondo naturale». Si convinse quindi che anche iniziative «su piccola scala» come la sua «potessero aiutare ad affrontare la questione dell’inquinamento e del cambiamento climatico».

In realtà la sua idea originale era quella di fare con materiali naturali le khada (o khatak), le tradizionali sciarpe indossate o regalate soprattutto in Tibet e in Nepal per celebrare eventi importanti, come nascite, matrimoni e funerali. Dal momento che queste sciarpe sono usatissime, spesso le famiglie ne accumulano molte, che poi finiscono periodicamente per bruciare o buttare via, producendo emissioni inquinanti oppure nuovi rifiuti. «Il buddismo ci insegna anche a ridurre gli sprechi e a prenderci cura del nostro pianeta», ha detto Ang Dolma, «così io e mia madre abbiamo deciso di fare le nostre khada biodegradabili».

Le sciarpe e le bandiere di preghiera di Utpala Crafts sono fatte in fibre naturali di cotone, bambù o canapa, e sono disponibili solo in bianco, con disegni e preghiere stampate con inchiostro nero ad acqua. Sono disegnate e fatte a mano da alcune vicine di casa di Ang Dolma vicino alla capitale nepalese Katmandu. Le sue bandiere di preghiera biodegradabili sono diventate piuttosto famose nel 2021, quando sono state usate al posto di quelle fatte di materiali sintetici al Boudhanath, il più grande monumento tradizionale buddista dedicato alle reliquie (stupa), nonché uno dei più importanti siti di pellegrinaggio e di turismo di Katmandu.

L’obiettivo principale di Ang Dolma e degli attivisti ambientalisti che come lei stanno promuovendo le bandiere di preghiera fatte con materiali sostenibili è quello di creare consapevolezza e interesse in Nepal, per poi raggiungere altre aree, come il Bhutan, a sud-est dell’Himalaya, o lo stato indiano di Ladakh, che confina con il nord-ovest della Cina.

I suoi prodotti comunque hanno ricevuto anche qualche critica. Intanto sono intenzionalmente tutti bianchi, e perciò secondo i critici sono meno appariscenti di quelli colorati in fibre sintetiche; inoltre sono fatti con materiali e procedimenti più costosi. A ogni modo alcuni attivisti stanno organizzando laboratori per insegnare nelle comunità locali come fare le bandiere con materiali naturali, convinti che siano anche più adatti alle benedizioni e alle celebrazioni rispetto alle loro alternative sintetiche.

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