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  • Sabato 16 marzo 2024

La Milano-Sanremo vista dal Poggio

È una salita breve e semplice, su una strada «molto insignificante, quasi brutta», ma è nel posto giusto per essere decisiva in una gara storica, una delle più importanti del ciclismo su strada

I ciclisti in gara nella Milano-Sanremo del 2023 mentre passano dal Poggio (POOL GETTY/DEWAELE/LaPresse)
I ciclisti in gara nella Milano-Sanremo del 2023 mentre passano dal Poggio (POOL GETTY/DEWAELE/LaPresse)
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Nel ciclismo su strada maschile ci sono cinque gare definite “classiche monumento”, le più importanti e prestigiose tra quelle che si corrono in un solo giorno. La Milano-Sanremo è la prima della stagione e la più lunga (288 chilometri, quest’anno), ma di certo non la più vivace né quella dal percorso più avvincente. È infatti un lungo procedere dalla Lombardia verso la Liguria, con molta monotona pianura e con la sua principale salita – il passo del Turchino, il valico appenninico attraverso cui la corsa si avvicina al mare – che sta circa a metà percorso, a troppi chilometri dall’arrivo per potere essere determinante.

La tradizione, la posizione nel calendario, l’accumulo di storie che c’è stato negli anni e la capacità promozionale di chi l’ha organizzata hanno comunque reso la Milano-Sanremo una classica monumento. Un punto spesso decisivo della corsa è il Poggio, una salitella con successiva discesa che sta a meno di dieci chilometri dal traguardo: è il gran finale, della durata di una manciata di minuti, di una corsa lunga oltre sei ore.

Il Poggio prende il nome da una frazione di Sanremo ed è una salita di 3,7 chilometri con una pendenza media del 3,7 per cento, che sale fino a 160 metri sul livello del mare: è al massimo considerabile una collina, un piccolo ostacolo anche per un mediocre amatore del ciclismo.

Eppure, proprio per la sua posizione a pochi chilometri dall’arrivo di una corsa tanto importante, il Poggio è un luogo storico del ciclismo tanto quanto i muri delle Fiandre o il pavé della Parigi-Roubaix, altre due classiche monumento. È una salita piccola e in apparenza anonima, che però una persona straniera appassionata di ciclismo conosce tanto bene quanto i grandi passi alpini come il Gavia o lo Stelvio. Ma è anche una salita di cui la Milano-Sanremo ha fatto a meno per metà della sua storia.

La prima Milano-Sanremo fu organizzata nel 1907 e come quasi sempre nel ciclismo di allora a metterla in piedi fu un giornale, la Gazzetta dello Sport, che cercava storie di sport di cui poter scrivere, e che era stata convinta a scegliere Sanremo come sede di arrivo da alcuni imprenditori locali interessati a promuovere la recente apertura del casinò cittadino.

Già nella prima metà del Novecento la Milano-Sanremo iniziò a essere chiamata “la Classicissima” e a imporsi come uno dei principali obiettivi per i migliori ciclisti al mondo. E in quegli anni, con quelle strade e quelle biciclette, anche il passo del Turchino era un grande ostacolo da superare.

Un notevole contributo alla costruzione del mito della Milano-Sanremo arrivò grazie a Fausto Coppi, che nel marzo del 1946, quando ancora l’Italia doveva decidere se essere Monarchia o Repubblica, staccò tutti sul Turchino e arrivò a Sanremo con un così largo vantaggio sul secondo che il telecronista Nicolò Carosio commentò il suo arrivo dicendo: «primo Fausto Coppi. In attesa degli altri trasmettiamo musica da ballo».

Negli anni successivi però migliorarono sia strade che biciclette, e gli arrivi in gruppo si fecero sempre più frequenti. Nel 1960 gli organizzatori della Sanremo (gli appassionati la chiamano così) scelsero quindi di aggiungere il Poggio per animare un po’ il finale e, si dice, per evitare che a vincere fossero solo velocisti stranieri. Anziché proseguire lungo la costa i corridori sarebbero quindi saliti e scesi per quella frazione, così da dare più varietà al finale e maggiori possibilità di vittoria ai corridori italiani meno adatti alle volate. Il Corriere della Sera scrisse che serviva a «spezzare finalmente il cerchio ferreo dei velocisti stranieri».

La parte patriottica non funzionò, visto che per tutti gli anni Sessanta vinsero solo stranieri, e nei primi tempi anche il Poggio fu accolto da alcuni giornalisti e corridori come un inutile orpello, una concessione sbagliata alla modernità. Nel giro di un paio di decenni il Poggio, che a partire dal 1980 iniziò a essere preceduto dalla Cipressa, un’altra salita poco più lunga ma altrettanto poco ripida, si trasformò però da novità a tradizione.

Il nome “Poggio” è generico e banale almeno quanto lo è la salita stessa, nel senso che non presenta insidie notevoli o altre particolarità. È una parola che in italiano arcaico indica un’altura minore (oggi si usa quasi solo in Toscana), usata spesso in letteratura (sia da Petrarca che da Dante, tra gli altri) e finita in molti toponimi di luoghi vagamente collinari.

La salita del Poggio inizia 9 chilometri prima del traguardo ed è di fatto un’unica lunga via che parte dalla statale Aurelia e in 3,7 chilometri, con 6 curve e 4 tornanti, arriva al piccolo centro di Poggio, località il cui nome è scritto su uno di quei cartelli dove “San Remo” ancora è staccato (oggi ufficialmente il nome è tutto attaccato).

La frazione di Poggio di Sanremo (Davide Papalini/Wikimedia Commons)

Dal punto di vista scenografico, tolta la bella vista sul mare, quella verso località Poggio è una strada piuttosto insignificante, circondata da alcune case che si alternano a muretti, recinzioni sgangherate e talvolta semiabbandonate serre per la coltivazione di fiori. Negli anni Novanta il giornalista sportivo Gianpaolo Ormezzano lo descrisse sulla Stampa come «un tratto di strada» con «nulla di sacrale, nulla di drammatico, nulla di scenico» e anzi aggiunse: «è una strada molto insignificante, quasi brutta. Non c’è speculazione edilizia moderna, ma non c’è neppure tenera archeologia paesana. Si indovinano alcune serre, che non sono cose belle da vedere, anche se contengono fiori. C’è una chiesa che non è sicuramente la più tenera commovente chiesa del mondo, e neanche della zona».

Sempre Ormezzano notò inoltre come il Poggio fosse «la prima strada interamente televisiva del ciclismo classico», aggiunta alla Milano-Sanremo quando già c’era la televisione, con la conseguenza di essere «subito vista da tutti», «così non ha potuto essere interpretata ed epicizzata per iscritto dai cosiddetti giornalisti cantori».

Dal punto di vista ciclistico il Poggio sarebbe altrettanto insignificante: il gruppo arriva così veloce ai primi tornanti che, seppur in salita, capita a molti di dover frenare e la parte più ripida è un breve tratto all’8 per cento di pendenza. Il Poggio arriva però dopo oltre 250 chilometri di corsa, e subito prima di una discesa tanto breve quanto la salita, ma con 7 tornanti e 23 curve: una discesa che richiede di avere la lucidità necessaria a non cadere e la forza per riprendere velocità dopo ogni frenata.

L’obiettivo di molti è trovare il modo e le energie, su per la salita o giù dalla discesa, meglio se con un unico e decisivo attacco, di restare soli o quantomeno con pochi avversari al proprio fianco, per poi resistere nei pochi chilometri pianeggianti verso il traguardo di Sanremo.

Un attacco dell’italiano Vincenzo Nibali sul Poggio nel 2018 (ANSA/LUCA BETTINI)

Ogni anno la Milano-Sanremo segue un canovaccio simile e per molti noioso: si parte in pianura, alcuni corridori vanno in fuga, il gruppo riassorbe quella fuga e, con l’avvicinarsi della Cipressa, iniziano a crescere ritmo e tensione, e sempre più corridori sono impegnati a farsi trovare pronti e in testa al gruppo all’inizio del Poggio. La Milano-Sanremo è una prova di grande resistenza fisica e mentale, ma anche una gara in cui è determinante la tattica, la capacità di interpretare gli eventi e agire di conseguenza.

Ma ogni anno la mossa vincente e il momento in cui farla possono cambiare. A seconda dei contesti storici, dei corridori più in forma in quegli anni e del modo prevalente di approcciare le gare, cambia anche la percezione che si ha della Milano-Sanremo: qualche anno fa era ridiventata una corsa per velocisti, da qualche anno la volata di gruppo è considerata una remota eventualità. E senz’altro la Milano-Sanremo è una corsa sempre aperta a tanti esiti e tanti vincitori: è da oltre vent’anni che un corridore non la vince per due anni consecutivi e negli ultimi 16 anni è stata vinta da 16 corridori diversi.

La Milano-Sanremo la può vincere da solo principalmente chi attacca e stacca tutti sulla salita o lungo la discesa del Poggio. Può capitare che al traguardo arrivi un gruppetto più piccolo e che qualcuno attacchi negli ultimissimi chilometri pianeggianti, o che effettivamente ancora riesca a vincere un velocista, che resiste sul Poggio senza perdere troppo terreno e poi vince la volata di gruppo. Due anni fa vinse lo sloveno Matej Mohoric grazie a un attacco in discesa, l’anno scorso l’olandese Mathieu van der Poel staccò gli avversari a fine salita e resistette fino all’arrivo. Da due anni prova a vincerla lo sloveno Tadej Pogacar, vincitore e dominatore di altre classiche monumento e di due Tour de France, che – pur consapevole che tutti si aspettano che sia lui ad attaccare – prova comunque ad attaccare e staccare tutti sul Poggio.

Nonostante gli oltre sessant’anni di servizio all’interno della Milano-Sanremo, il Poggio continua a essere insomma un azzeccato aggiornamento e un punto determinante di una corsa che si dice essere, per un ciclista professionista, la più facile da terminare ma la più difficile da vincere. Un punto tanto determinante che, ogni anno, c’è chi ipotizza anche che la mossa vincente potrebbe essere cercare di fare altro altrove, magari già sulla Cipressa. Sebbene sia dal 1996, anno in cui vinse Gabriele Colombo, che la Cipressa non è il luogo da cui parte l’attacco vincente.

L’edizione 115 della Milano-Sanremo è partita sabato mattina da Pavia (sì, a volte succede) e tra i favoriti c’erano Pogacar, Van der Poel e Mohoric, oltre agli italiani Jonathan Milan (in gran forma nell’ultimo periodo) e Filippo Ganna (secondo l’anno scorso dietro a Van der Poel). Alla fine ha vinto il ciclista belga Jasper Philipsen.