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  • Giovedì 14 marzo 2024

Le elezioni anticipate in Catalogna sono un problema per il governo spagnolo

Il presidente catalano Pere Aragonès ha sciolto il parlamento locale, e questo potrebbe complicare i fragili equilibri su cui si regge il governo nazionale di Pedro Sánchez

Pere Aragonès, a sinistra, e Pedro Sánchez
Pere Aragonès, a sinistra, e Pedro Sánchez (AP Photo/Joan Mateu Parra)
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Mercoledì sera Pere Aragonès, il presidente della Generalitat, cioè del governo regionale catalano, ha annunciato che si terranno in Catalogna elezioni anticipate, dopo che il parlamento catalano aveva respinto la legge finanziaria da lui proposta. Formalmente la crisi di governo in Catalogna è avvenuta per ragioni locali, e in particolare perché uno dei partiti che avrebbe dovuto appoggiare la legge, En Comú Podem, si è rifiutato di farlo perché contrario all’approvazione di un grosso progetto di sviluppo immobiliare. Ma la caduta del governo catalano potrebbe avere ripercussioni notevoli anche sulla politica di tutta la Spagna, perché ormai da molti anni la politica locale catalana e quella nazionale spagnola sono legate in maniera strettissima, e dipendono l’una dall’altra.

La crisi catalana potrebbe quindi mettere in difficoltà il governo guidato dal Socialista Pedro Sánchez, la cui maggioranza dipende proprio dai partiti indipendentisti catalani: già si comincia a parlare, per esempio, del fatto che anche Sánchez potrebbe non riuscire a far approvare la legge finanziaria spagnola, e avere più di un problema politico nei prossimi mesi.

Pere Aragonès, il presidente della Generalitat che ha appena dato le dimissioni, è il leader di Esquerra Republicana (ERC), un partito indipendentista catalano di centrosinistra. Aragonès divenne governatore della Catalogna dopo aver vinto le elezioni nel settembre del 2020, grazie a una coalizione con Junts per Catalunya (Junts), partito indipendentista ma di centrodestra guidato di fatto dall’ex presidente Carles Puigdemont.

Junts però uscì dalla coalizione un paio di anni dopo, nell’ottobre del 2022, lasciando ERC e Aragonès a governare da soli e in minoranza, con soltanto 33 dei 135 seggi totali in parlamento. Da allora Aragonès ha continuato a governare con il sostegno esterno di alcuni partiti di centrosinistra, come il Partito Socialista Catalano (che è l’emanazione locale del Partito Socialista nazionale, ed è contrario all’indipendenza) e appunto En Comú Podem, noto anche come i “Comuns”. Sia i Socialisti sia i Comuns rimangono formalmente all’opposizione, ma hanno aiutato il governo di Aragonès in più di un’occasione, per approvare alcuni voti importanti soprattutto in ambito economico.

Mercoledì nel voto per la legge finanziaria i Socialisti hanno dato il loro appoggio, ma i Comuns no, per protestare contro la decisione di costruire un enorme complesso di casinò, locali e campi sportivi fuori dalla città catalana di Tarragona. A quel punto Aragonès ha sciolto il parlamento. Le elezioni anticipate si terranno il 12 maggio.

Le elezioni vedranno tutti e tre i partiti più grossi della Catalogna partecipare l’uno contro l’altro, senza alleanze: ERC (indipendentista di centrosinistra), Junts (indipendentista di centrodestra) e Socialisti (non indipendentisti di centrosinistra).

Il problema è che questi tre partiti che si dovranno scontrare alle elezioni in Catalogna sono gli stessi su cui si regge il governo nazionale del Socialista Pedro Sánchez, che dalla scorsa estate governa appunto grazie all’appoggio esterno dei partiti indipendentisti catalani (che hanno una presenza abbastanza consistente anche nel parlamento nazionale). Questo significa che per Sánchez sarà molto difficile far approvare riforme ambiziose almeno finché ci sarà la campagna elettorale in Catalogna, perché è improbabile che ERC e Junts vogliano collaborare a livello nazionale mentre si contendono le elezioni a livello locale.

Secondo il País, per esempio, Sánchez ha già perso la possibilità di avere la maggioranza per far approvare la legge finanziaria per il 2024, e farà prorogare quella del 2023 (significa che tutte le spese correnti verranno confermate, ma non ce ne saranno di nuove).

C’è poi un’altra enorme questione che lega la politica spagnola a quella catalana, che è la legge per concedere l’amnistia ai leader indipendentisti catalani che negli scorsi anni sono stati incriminati o hanno subìto procedimenti giudiziari per le loro azioni a favore dell’indipendenza, soprattutto dopo il referendum illegale per l’indipendenza dell’ottobre 2017 ma anche in altri casi, come per esempio un referendum analogo fatto nel 2014.

Questa legge è voluta fortemente sia da ERC sia da Junts e proprio negli scorsi giorni il governo aveva trovato un accordo su un testo condiviso, che è stato approvato in prima lettura alla Camera giovedì.

Ma dopo la caduta del governo catalano, anche la legge sull’amnistia potrebbe diventare una questione di politica locale, perché appena sono state indette le elezioni Junts ha fatto sapere che il suo candidato come presidente della Catalogna sarà Carles Puigdemont, ex presidente catalano e principale leader indipendentista, che dal 2017 vive all’estero per sfuggire alla giustizia spagnola, e che per tornare nel paese senza essere arrestato ha bisogno dell’approvazione definitiva della legge sull’amnistia.

Secondo i calcoli di Junts la legge (che è molto osteggiata dall’opposizione e da parte della magistratura) sarebbe stata approvata in via definitiva al massimo entro luglio. Ma ora che le elezioni catalane sono a maggio, se Junts vuole che Puigdemont sia il suo candidato sarà necessario fare in modo che la legge venga approvata prima, anche se al momento non è chiaro come possa succedere.

Alcuni giornali di centrodestra, come per esempio il Mundo, hanno perfino ipotizzato che Aragonès abbia indetto elezioni anticipate adesso proprio con l’intento di evitare che Puigdemont – che è estremamente popolare in Catalogna – torni in tempo dall’esilio.