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  • Lunedì 4 marzo 2024

Gli aiuti umanitari non sono a rischio solo nella Striscia di Gaza

La sospensione dei finanziamenti all'Agenzia ONU per i profughi palestinesi sta creando molti problemi anche in Libano, Giordania, Siria

Una donna palestinese in Libano protesta contro la decisione di vari paesi occidentali di sospendere i finanziamenti all'UNRWA, il 30 gennaio 2024
Una donna palestinese in Libano protesta contro la decisione di vari paesi occidentali di sospendere i finanziamenti all'UNRWA, il 30 gennaio 2024 (EPA/WAEL HAMZEH)
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La decisione di diversi paesi occidentali di sospendere i finanziamenti all’UNRWA, l’Agenzia dell’ONU per i profughi palestinesi, sta provocando enormi difficoltà non soltanto nella Striscia di Gaza, dove l’agenzia fa sempre più fatica a consegnare e distribuire cibo e generi di prima necessità alla popolazione, ma anche negli altri paesi del Medio Oriente in cui l’UNRWA gestisce campi profughi in cui abitano milioni di palestinesi.

L’UNRWA, oltre che nella Striscia di Gaza, gestisce infatti decine di campi profughi in Cisgiordania, Siria, Libano e Giordania, e ospita nel complesso 5,9 milioni di palestinesi. Il suo bilancio dipende in gran parte dai finanziamenti di alcuni paesi occidentali (gli Stati Uniti, per esempio, contribuiscono al 29 per cento delle spese con 32,6 milioni di dollari all’anno), che però sono stati interrotti dopo che Israele aveva accusato alcuni dipendenti dell’Agenzia residenti a Gaza di aver partecipato all’attacco di Hamas contro i civili israeliani, il 7 ottobre. Queste accuse avevano spinto quasi tutti i paesi donatori a sospendere i finanziamenti, con il risultato che oggi le attività dell’UNRWA, da cui dipende il sostentamento di milioni di persone, sono entrate in crisi e rischiano di bloccarsi.

Il Financial Times per esempio ha raccontato la situazione in Libano, dove l’UNRWA gestisce 12 campi profughi in cui ospita quasi mezzo milione di palestinesi. In questi campi, l’agenzia fornisce di fatto tutti i servizi alla popolazione: gestisce le scuole, fa funzionare le cliniche e gli ospedali, raccoglie la spazzatura, consegna il cibo a chi non può permettersi di comprarlo, impiega decine di migliaia di persone locali che altrimenti non avrebbero un lavoro.

Ma senza i fondi occidentali, l’UNRWA può continuare a operare «fino alla fine di marzo», ha detto al Financial Times Dorothee Klaus, la direttrice del programma per il paese. «Dopo, se i fondi non verranno ripristinati, non sappiamo cosa potrebbe succedere».

Una scuola gestita dall'UNRWA nel campo profughi di Mar Elias a Beirut, in Libano

Una scuola gestita dall’UNRWA nel campo profughi di Mar Elias a Beirut, in Libano (EPA/WAEL HAMZEH)

L’UNRWA, il cui nome completo è Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino Oriente, nacque nel 1949 per fornire assistenza umanitaria ai palestinesi vittime della “nakba” (catastrofe, in arabo), cioè della rimozione forzata e molto spesso violenta di centinaia di migliaia di palestinesi dalle proprie terre dopo la fondazione dello stato di Israele. Nel 1948, l’anno della prima guerra tra Israele e i paesi arabi, più di 700 mila palestinesi furono cacciati dalle proprie case e si rifugiarono nei paesi vicini come Giordania, Libano e Siria, dove si stabilirono in campi profughi gestiti appunto dall’UNRWA.

Quei campi, nati come insediamenti temporanei, nel tempo divennero permanenti: contrariamente all’immaginario comune sui “campi profughi”, quelli palestinesi hanno anche decine di migliaia di abitanti ed edifici in muratura, ma mancano comunque di moltissimi servizi essenziali, e le condizioni di vita sono estremamente precarie. L’UNRWA li definisce «masse ipercongestionate di edifici a più piani con vicoli stretti, fra gli ambienti urbani più densamente popolati al mondo».

Ma benché molti palestinesi vivano ormai da 70 anni in paesi come il Libano, e benché ormai diverse generazioni di palestinesi siano nate fuori dalla Palestina, gli abitanti dei campi non si sono mai integrati nelle altre società mediorientali, e continuano a essere considerati profughi. Questo perché l’UNRWA riconosce lo status di profughi a «tutte le persone la cui residenza abituale fosse in Palestina fra il 1° giugno 1946 e il 15 maggio 1948», nonché ai loro figli, nipoti e discendenti per linea paterna: in pratica, anche i nipoti e i bisnipoti delle persone scappate dalla prima “nakba” continuano a essere profughi.

Questo ha consentito ai palestinesi di poter alimentare la speranza del “diritto al ritorno”, cioè il diritto a ritornare un giorno alle proprie terre occupate da Israele, ma ha consentito anche ai governi mediorientali di scaricare sull’UNRWA la gestione economica e sociale dei milioni di palestinesi che si trovano nei loro territori.

In Libano, per esempio, i palestinesi che vivono nei campi profughi sono da sempre duramente discriminati: non possono diventare cittadini libanesi, non possono accedere ai servizi pubblici destinati ai libanesi e non possono acquistare proprietà in Libano. Non possono nemmeno accedere ai posti di lavoro nella stragrande maggioranza delle professioni.

Questa situazione (simile anche in Giordania e Siria) fa sì che i palestinesi siano perennemente intrappolati in una situazione di discriminazione e povertà, e soprattutto che non abbiano alternative all’assistenza fornita dall’UNRWA, anche perché le economie dei paesi che ospitano i campi sono in grossa difficoltà, e faticherebbero a trovare i fondi per sostenere i palestinesi.

«Non ci sono alternative all’UNRWA, e questo provoca ansia e paura molto forti negli studenti e nelle famiglie», ha detto al Financial Times Jihad Abdel Wahhab, un maestro delle elementari che insegna in una scuola gestita dall’Agenzia in un campo profughi in Giordania. «Se le scuole chiudono, cosa ci succederà?».