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  • Giovedì 21 novembre 2019

Il Libano sta collassando

Il debito pubblico è enorme e la crescita si è fermata: il governo ha provato a introdurre nuove tasse che hanno provocato proteste e scontri, e ora non c'è più nemmeno il governo

La serranda abbassata di una banca con la scritta "Abbasso il dominio delle banche", Beirut, 12 novembre 2019 (AP Photo/Hassan Ammar)
La serranda abbassata di una banca con la scritta "Abbasso il dominio delle banche", Beirut, 12 novembre 2019 (AP Photo/Hassan Ammar)

Dalla metà di ottobre in Libano, in particolare nella capitale Beirut, ci sono proteste contro il governo e scontri tra manifestanti e polizia. Il Libano è un paese in profonda crisi economica: il debito pubblico è pari a circa 77 miliardi di euro (corrisponde al 150 per cento del prodotto interno lordo), c’è un deficit al 9 per cento del PIL e i flussi delle entrate necessarie per finanziare la spesa pubblica si sono notevolmente ridotti. Le proteste erano iniziate contro il piano del governo di imporre nuove tasse su diversi beni e servizi, tra cui il tabacco, la benzina e le telefonate fatte via internet. Alla fine di ottobre il primo ministro Saad al-Hariri aveva annunciato le dimissioni e da allora il paese è senza un governo, cosa che aggrava la crisi economica e finanziaria già in corso da tempo.

In una delle principali strade commerciali di Beirut, scrive Associated Press, i proprietari dei negozi stanno dimezzando gli stipendi dei dipendenti o stanno pensando di chiudere. I negozi sono vuoti, e l’unica bottega dove si fanno ancora affari è quella in cui si vendono cassette di sicurezza, dato che i libanesi si stanno affidando sempre meno alle banche. «Le persone hanno paura», ha detto Khalil Chehab, proprietario di Shehab Security, un negozio che vende casseforti a Beirut: «Dalla metà del mese scorso, gli affari sono aumentati di circa il 30 per cento». Anche la gioielleria poco lontana ha visto un aumento del proprio giro, perché le persone hanno bisogno di contanti e stanno vendendo i propri oggetti di valore. Le aziende del paese, in generale, stanno faticando a pagare i dipendenti, alcune hanno tagliato i salari o stanno semplicemente licenziando le persone. A tutto questo si aggiunge il fatto che le banche libanesi sono state chiuse per diversi giorni sia a metà ottobre, durante la prima ondata di proteste, sia a metà novembre, per uno sciopero dei dipendenti preoccupati per la loro sicurezza.

Per evitare la fuga di capitali, le banche hanno stabilito forti restrizioni sui trasferimenti all’estero e sui prelievi in ​​dollari statunitensi e, dall’inizio di ottobre, hanno imposto ai consumatori e ai privati un limite di mille dollari al prelievo giornaliero. La debolezza della moneta libanese, all’inizio degli anni Novanta, aveva spinto il governo a un ancoraggio fisso al dollaro. Da quel momento tasse scolastiche, assicurazioni sanitarie, prestiti immobiliari o automobili hanno avuto un prezzo in dollari, ma la maggior parte dei libanesi riceve il proprio stipendio in valuta locale.

L’economia del paese ha avuto una forte crescita, durata per tre anni, a partire dal 2008. Poi è arrivata la crisi. La guerra nella vicina Siria ha portato dal 2011 oltre un milione di rifugiati, in un paese che ha sei milioni di abitanti, mettendo a dura prova le capacità del paese, dopodiché (a partire dal 2016) il flusso di valuta forte è diminuito a causa del calo generale dei prezzi del petrolio. Salameh, il governatore della Banca centrale libanese, ha risposto con un programma che incoraggia le banche locali a ottenere depositi o prestiti in dollari dalle loro filiali all’estero, in cambio del pagamento di alti tassi di interesse. Secondo i funzionari del governo, la crescita economica del prossimo anno sarà pari a zero, la Banca Mondiale ha dichiarato che l’economia probabilmente si contrarrà dell’1 per cento nel 2020, e si è creato un mercato nero di valuta sul quale il dollaro ha raggiunto le 1.900 lire libanesi (l’ancoraggio fisso al dollaro ha un tasso di cambio di circa 1 a 1.500).

A causare le proteste delle ultime settimane erano stati i piani del governo per cercare di risanare le finanze pubbliche attraverso l’imposizione di nuove tasse, tra cui una tassa di circa 20 centesimi di euro al giorno per le chiamate vocali fatte su WhatsApp e app simili. La proposta era poi stata ritirata, ma le proteste non si erano fermate e Saad al-Hariri, che da inizio anno guidava un governo di unità nazionale di cui facevano parte tutti i principali partiti, aveva approvato alcune riforme che includevano un taglio del 50 per cento degli stipendi percepiti dai membri del governo e dai parlamentari, la riduzione dei benefici garantiti a diversi funzionari statali e l’approvazione del bilancio per il 2020 con un deficit dello 0,6 per cento e senza l’introduzione di nuove tasse. Le misure non avevano però fermato i manifestanti, che avevano continuato a protestare in diverse città del Libano, incolpando i politici di corruzione sistematica e di una cattiva gestione del paese, per loro alla base delle attuali e gravi difficoltà economiche.

Il prossimo 28 novembre scadranno titoli di stato libanesi per il valore di 1,5 miliardi di dollari, e si vedrà quindi se il Libano continuerà a pagare i propri debiti nei tempi previsti: il momento è molto critico e il paese rischia seriamente la bancarotta.