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  • Giovedì 14 novembre 2019

Le proteste in Libano non si fermano

Nonostante l'approvazione di alcune riforme e le dimissioni del primo ministro Saad al-Hariri: il paese è attualmente senza un governo

Una manifestante a Jal el-Dib, nord di Beirut, 13 novembre 2019 (AP Photo/Hassan Ammar)
Una manifestante a Jal el-Dib, nord di Beirut, 13 novembre 2019 (AP Photo/Hassan Ammar)

Dalla metà di ottobre in Libano, in particolare nella capitale Beirut, ci sono proteste contro il governo e scontri tra manifestanti e polizia. Le manifestazioni sono state raccontate dai giornali come le più grandi degli ultimi anni, e non si sono fermate né dopo l’approvazione di alcune riforme, né dopo le dimissioni del primo ministro Saad al-Hariri, che era alla guida di un governo di unità nazionale.

Mercoledì 13 novembre il presidente del Libano Michel Aoun ha parlato in televisione chiedendo ai manifestanti di «tornare a casa» e di porre fine alla loro rivolta: ha parlato di una «catastrofe», se le proteste fossero proseguite, e ha fatto capire che le persone scontente farebbero meglio a emigrare, se la gestione del paese non va loro bene. Aoun ha infine detto che un governo integralmente tecnico, come chiesto dai manifestanti, non potrebbe funzionare e dovrebbe dunque includere anche delle figure politiche. Dopo l’intervista, e dopo che un funzionario locale di un partito politico libanese è stato ucciso da un soldato mentre protestava, i manifestanti sono scesi di nuovo per le strade di tutto il Libano. Le manifestazioni sono state per lo più pacifiche, ma in alcune zone ci sono stati scontri con la polizia e con alcuni sostenitori di Aoun.

Nel frattempo, per evitare la fuga di capitali, le banche libanesi hanno imposto forti restrizioni sui trasferimenti finanziari all’estero e sui prelievi in ​​dollari statunitensi. Le banche, poi, già chiuse a metà ottobre durante la prima ondata di proteste, sono state chiuse di nuovo almeno fino a giovedì per uno sciopero dei dipendenti, preoccupati per la loro sicurezza. Il ministro dell’Istruzione ha deciso la chiusura anche di scuole e università e in molti ospedali, per venerdì, è previsto uno sciopero del personale.

Il Libano è un paese in profonda crisi economica, in cui il debito pubblico – pari a circa 86 miliardi di dollari – corrisponde al 150 per cento del prodotto interno lordo. Le proteste erano iniziate contro il piano del governo di imporre nuove tasse su diversi beni e servizi, tra cui il tabacco, la benzina e le telefonate fatte via internet: il governo aveva infatti proposto una tassa di circa 20 centesimi di euro al giorno per le chiamate vocali, fatte ad esempio su WhatsApp. La proposta era poi stata ritirata, ma le proteste non si erano fermate. Dopo dieci giorni, il primo ministro Saad al-Harir, che da inizio anno guidava un governo di unità nazionale di cui facevano parte tutti i principali partiti, aveva approvato alcune riforme che includevano un taglio del 50 per cento degli stipendi percepiti dai membri del governo e dai parlamentari, la riduzione dei benefici garantiti a diversi funzionari statali e l’approvazione del bilancio per il 2020 con un deficit dello 0,6 per cento e senza l’introduzione di nuove tasse. Le misure non avevano però fermato i manifestanti, che avevano continuato a protestare in diverse città del Libano.

Lo scorso 29 ottobre Saad al-Hariri aveva dunque annunciato le sue dimissioni e il paese è ancora senza un governo. Hezbollah, gruppo radicale sciita presente soprattutto nel sud del Libano e considerato terroristico da diversi paesi, vorrebbe che Hariri fosse di nuovo primo ministro. Ma Hariri ha affermato che sarebbe disposto a tornare solo se messo in grado di formare un governo di tecnici in grado di salvare la situazione e di ricevere il sostegno internazionale: «Questo governo dovrebbe riflettere un equilibrio politico, ma attraverso degli specialisti, non attraverso i tradizionali candidati politici che di solito entrano nei governi», ha detto una fonte vicina ad Hariri citata da Reuters.