• Mondo
  • Domenica 3 marzo 2024

L’Ucraina sta pensando anche ai danni ambientali

Che sono enormi: i combattimenti hanno portato alla devastazione di un terzo delle foreste del paese e a disastri come la distruzione della diga di Nova Kakhovka

di Davide Maria De Luca

Quello che resta di un porto turistico vicino alla città di Zaporizhzhia, nella parte settentrionale della riserva di Nova Khahovka
Quello che resta di un porto turistico vicino alla città di Zaporizhzhia, nella parte settentrionale della riserva di Nova Kakhovka (foto Davide Maria De Luca)
Caricamento player

La struttura di contenimento che copre la centrale nucleare di Chernobyl appare all’orizzonte come una sorta di grande tumulo funerario, una struttura grigiastra che si confonde con il cielo lattiginoso. Terminata nel 2017, ha la forma di un gigantesco hangar, ma è più grande di qualsiasi aereo sia mai stato costruito. Alta quanto la statua della Libertà, è abbastanza larga da poter contenere l’intera basilica di San Pietro.

La delegazione internazionale arrivata in Ucraina per occuparsi delle conseguenze ambientali del conflitto ha avuto la rara opportunità di visitarne l’interno. Indossati camici, guanti e copriscarpe, sono entrati sotto la nuova copertura al cospetto di ciò che resta del reattore numero 4, esploso il 26 aprile del 1986. Il nocciolo, con la sua carica radioattiva che ancora oggi è in grado di uccidere in poco tempo, si trova ad appena cento metri di distanza.

Poco dopo, nell’edificio amministrativo della centrale, l’ex ministra degli Esteri svedese, Margot Wallström, leader della delegazione, si è presa un momento di pausa. «Le centrali nucleari, come quella occupata nella regione di Zaporizhzhia, sono il pericolo più grave nel mezzo delle ostilità, – ha detto tra le vetrate colorate che, con lo stile del realismo sovietico, raffigurano un moderno Prometeo consegnare agli esseri umani il dono dell’energia nucleare – e l’incidente di Chernobyl ci ricorda il rischio potenzialmente più catastrofico che possiamo infliggere all’ambiente».

Un lavoratore della centrale di Chernobyl di fronte alla struttura di contenimento del reattore numero 4

Un lavoratore della centrale di Chernobyl di fronte alla struttura di contenimento del reattore numero 4 (Davide Maria De Luca)

Wallström fa parte di un gruppo di politici, attivisti e studiosi che stanno cercando con difficoltà di portare all’attenzione dell’opinione pubblica ucraina e internazionale le conseguenze sull’ambiente della guerra e la necessità di iniziare già oggi a progettare una ricostruzione del paese ecologicamente compatibile.

L’elenco dei danni subiti dall’ecosistema ucraino è lungo quasi quanto quello delle distruzioni subite da città e industrie. Fino a un terzo dell’intera superficie dell’Ucraina potrebbe essere stato minato, i combattimenti hanno distrutto un terzo delle foreste del paese e le attività militari hanno causato in meno di due anni emissioni di gas serra equivalenti a quelle prodotte in un anno da un paese industrializzato come il Belgio. Nel frattempo, gli effetti delle fughe di materiale tossico, dell’inquinamento prodotto dall’utilizzo di migliaia di tonnellate di esplosivo e quello generato dalle migliaia di veicoli militari ridotti a carcasse incenerite lasciate a corrodersi nei campi devono ancora iniziare a essere misurati.

Poco meno di un anno fa si è verificato il più grave di questi incidenti, quando un’esplosione ha distrutto la diga di Nova Kakhovka, nel sud del paese. Secondo varie indagini internazionali, la diga è stata fatta esplodere dall’esercito russo, che però ha sempre negato. Una quantità d’acqua pari all’intero contenuto del lago Maggiore si è riversata verso il mar Nero, inondando la regione di Kherson, causando decine di morti, trasportando sostanze chimiche inquinanti nei campi, distruggendo riserve naturali e causando la devastazione di una superficie di foresta grande come l’Islanda.

È stata la distruzione della diga a causare un cambio di atteggiamento nei confronti dell’ambiente, che fino a quel momento aveva avuto scarsa attenzione. Di fronte alle immagini sensazionali delle inondazioni e della desertificazione causata dalla scomparsa della riserva, la stampa nazionale e internazionale ha iniziato a interrogarsi sulle conseguenze ambientali del conflitto, mentre le autorità ucraine hanno aggiunto un nuovo capo di accusa all’elenco di imputazioni che rivolgono al governo russo: ecocidio. Definito come un’azione compiuta con l’intento o con la consapevolezza che le sue conseguenze potrebbero causare un disastro naturale, ecocidio è un termine inventato oltre cinquant’anni fa che fino a oggi era quasi caduto in disuso.

– Leggi anche: Che cos’è l’ecocidio

A idearlo era stato il biologo americano Arthur W. Galston, un professore dell’Università di Yale impegnato negli anni Settanta in una campagna per mettere fine all’utilizzo da parte degli Stati Uniti del cosiddetto “agente arancio”, un potente diserbante utilizzato per distruggere le foreste del Vietnam e del Laos e rivelare così le posizioni dei ribelli e delle forze armate nordvietnamite che le utilizzavano per nascondersi durante la guerra in Vietnam.

Utilizzato per la prima volta nel corso di una conferenza nel 1970, il termine divenne popolare due anni dopo, quando venne ripreso dal primo ministro svedese, il pacifista Olof Palme. Ne nacque una campagna internazionale, portata avanti da scienziati e attivisti, che pochi anni dopo produsse la Convenzione contro le modificazioni dell’ambiente del 1978, un trattato che vieta l’utilizzo di armi e tecniche in grado di causare disastri ecologici. La convenzione venne firmata da Stati Uniti, Unione Sovietica e decine di altri stati.

Attualmente non esiste un crimine di ecocidio codificato nella giurisprudenza internazionale, ma una serie di trattati, compreso lo statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale, si occupano di codificare i crimini commessi contro l’ambiente, in tempo di pace o durante un conflitto. Fino a oggi nessun leader politico o militare è stato messo sotto processo per uno di questi crimini.

Il governo ucraino è intenzionato a cambiare questo stato di cose. «Non è mai accaduto prima nella storia che un paese in guerra non solo stia già pensando, ma sia al lavoro per ripristinare l’ambiente, punire i colpevoli e dimostrare al mondo cosa si può fare oggi per le future generazioni», ha detto l’influente braccio destro del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il capo di gabinetto Andriy Yermak, accogliendo la delegazione guidata da Wallström.

Il gruppo ha ricevuto un ampio sostegno da parte del governo ucraino. Yermak occupa insieme a Wallström il ruolo di copresidente della commissione. Il ministro dell’Ambiente, Ruslan Strilets, ha accompagnato la delegazione per tutto il viaggio. Lo stesso Zelensky, che pure nei giorni della visita era impegnato nella complicata gestione delle conseguenze della rimozione del comandante in capo delle forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, ha dedicato oltre un’ora a incontrare Wallström e gli altri delegati, tra cui era presente una delle vicepresidenti del Parlamento europeo, Heidi Hautala, e il commissario europeo all’Ambiente, Virginijus Sinkevičius. L’attivista svedese Greta Thunberg, che aveva già partecipato alla prima visita della delegazione lo scorso anno, avrebbe dovuto accompagnare il gruppo, ma è dovuta rimanere in Svezia a causa di alcuni esami universitari, ha spiegato un membro del gruppo.

Gli obiettivi del gruppo di lavoro sono ambiziosi: fornire all’Ucraina e ai suoi alleati gli strumenti necessari per perseguire i responsabili dei disastri e ricostruire il paese in una maniera che tenga conto dei loro effetti. Per ora, il gruppo di lavoro ha prodotto una lista di cinquanta raccomandazioni, iniziative da adottare e leggi da introdurre, poco più di metà dirette all’Ucraina e il resto ai suoi partner internazionali. Qualche risultato, sulla scena internazionale, inizia a vedersi. Pochi giorni fa, il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha detto che la corte è pronta iniziare a indagare i sospetti di crimini ecologici senza bisogno di introdurre nuovi reati nello statuto.

Ma chiedere conto ai responsabili dei disastri, riparare i danni e ricostruire in modo compatibile con l’ambiente sono compiti enormi per un paese ancora nel pieno di una guerra e destinato a esserne duramente provato quando ne uscirà.

La delegazione di Wallström ha sperimentato di prima mano queste difficoltà. Nelle intenzioni originali del gruppo, l’agenda della missione prevedeva una visita alla riserva di Nova Kakhovka, l’enorme lago artificiale lungo le rive del Dnipro svuotato dalla distruzione della diga omonima, il simbolo di quello che molti ritengono sia il più grave ecocidio avvenuto nell’ultimo mezzo secolo.

Un anno fa, dalla sponda destra controllata dagli ucraini, la riserva appariva come una larga striscia di sabbia bianca, una sorta di deserto che interrompeva bruscamente i campi e i villaggi che punteggiano la regione di Kherson, una delle più fertili al mondo.

La riserva di Nova Kahovka, poche settimane dopo la distruzione della Diga

La riserva di Nova Kakhovka, poche settimane dopo la distruzione della diga (Davide Maria De Luca)

In quei giorni, i funzionari locali chiedevano alla comunità internazionale di inviare esperti e scienziati per studiare le conseguenze del disastro. Non era mai accaduto in precedenza che una simile riserva artificiale finisse svuotata nel giro di pochi giorni. Gli ucraini non avevano le risorse né per studiarne l’impatto né per porvi rimedio. Nel frattempo gli abitanti della regione, come quelli di Osokorivka, un villaggio di pescatori circa 70 chilometri a nord di Kherson, si domandavano come avrebbero fatto a mantenersi ora che il fiume su cui si affacciavano le loro case si era trasformato in un deserto.

Quasi un anno è passato e la situazione non ha fatto che peggiorare. Con le forze armate ucraine che hanno deciso di attaccare al di là del fiume, creando una testa di ponte poco lontano dalla città di Kherson, l’intera sponda sinistra si è trasformata in una zona di massima sicurezza a cui non è consentito avvicinarsi.

Nell’ultimo anno né scienziati né pescatori sono riusciti a tornare sul Dnipro. Persino la delegazione di Wallström ha dovuto rinunciare alla visita per ragioni di sicurezza, ripiegando sulla centrale di Chernobyl – simbolo di un disastro del passato, più che delle sfide del futuro.

E infine ci sono i problemi interni dell’Ucraina, quelli che risalgono a prima dell’invasione russa. L’ambientalismo può essere un mestiere pericoloso nel paese. L’ultimo attivista a essere stato ucciso per le sue denunce fu Volodymyr Goncharenko, assassinato nel 2012 due giorni dopo aver rivelato la presenza di scorie radioattive in un deposito nella città industriale di Kryvyi Rih. Il suo omicidio ha aiutato a sensibilizzare la società ucraina sui temi ambientali. Allora al governo del paese c’era ancora il vecchio leader filorusso Viktor Yanukovich.

Tuttavia anche negli anni successivi le commistioni tra industria e politica e i compromessi in nome dello sviluppo non sono cessati, mentre gli episodi di corruzione legati alle regole sulla tutela dell’ambiente hanno toccato i livelli più alti della politica del paese, dall’amministrazione della capitale Kiev al governo nazionale. Nel novembre del 2021 il predecessore dell’attuale ministro dell’Ambiente è stato costretto a dimettersi per quello che il suo stesso partito aveva definito «il livello estremamente elevato raggiunto dalla corruzione negli ispettorati ecologici regionali».

Dopo aver accompagnato la delegazione internazionale fino a Chernobyl, il nuovo ministro dell’Ambiente, Ruslan Strilets, riconosce la dimensione eccezionale delle sfide che l’Ucraina ha di fronte, ma resta ottimista. «Sarà l’unità che ci ha portato la guerra a permetterci di superare la corruzione», dice in una sala del suo ministero, con indosso la camicia verde militare divenuta l’uniforme non ufficiale dei membri del governo. In una stanza poco distante, la delegazione di Wallström ha consegnato il suo rapporto con le cinquanta raccomandazioni che ora attendono di essere applicate, dall’Ucraina e dai suoi alleati.