L’Ungheria sta alzando i toni sul caso di Ilaria Salis

Il ministro degli Esteri Péter Szijjártó ha detto che l'Italia sta interferendo e si è detto sconcertato, pochi minuti dopo aver incontrato Antonio Tajani a Roma

Il ministro degli Esteri Tajani riceve alla Farnesina l'omologo ungherese Szijjártó, il 28 febbraio 2024. (ALESSANDRO DI MEO/ANSA)
Il ministro degli Esteri Tajani riceve alla Farnesina l'omologo ungherese Szijjártó, il 28 febbraio 2024. (ALESSANDRO DI MEO/ANSA)
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Mercoledì il governo dell’Ungheria è tornato a commentare il caso di Ilaria Salis, l’insegnante italiana detenuta a Budapest da più di un anno con l’accusa di aver aggredito dei militanti neonazisti. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, e il portavoce del governo di Viktor Orbán, Zoltan Kovacs, hanno criticato duramente il racconto che sui media italiani si sta facendo del caso e i tentativi di mediazione del governo italiano. Szijjártó ha ribadito un orientamento del governo ungherese già noto, ma lo ha fatto con toni assai perentori: e le sue parole sono state clamorose anche perché sono arrivate pochi minuti dopo la conclusione di un colloquio tra lui e il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani nel suo ufficio alla sede del ministero, il palazzo della Farnesina, a Roma.

Nell’incontro, per la seconda volta nel giro di poco più di un mese, Tajani aveva parlato del caso di Salis con Szijjártó. Aveva «espresso soddisfazione per l’anticipo della prossima udienza», inizialmente prevista per maggio, al 28 marzo prossimo, e al tempo stesso aveva «consegnato al ministro ungherese un nuovo, dettagliato promemoria sulle condizioni detentive della connazionale, evidenziando la necessità di un giusto processo», secondo quanto poi scritto dal ministero in un comunicato. In maniera informale, lo staff di Tajani aveva fatto sapere alla stampa di essere ottimista sull’esito dell’incontro, durante il quale Szijjártó si sarebbe mostrato aperto alla possibilità di migliorare le condizioni carcerarie di Salis e di concederle di apparire in tribunale senza le catene.

Il caso di Salis infatti era montato soprattutto a fine gennaio, dopo che sui giornali e sui social network erano circolate le immagini di lei condotta in udienza con le catene ai polsi (una pratica assai più rara in Italia e nel resto d’Europa, salvo alcune eccezioni).

Pochi minuti dopo l’uscita dal ministero, però, il ministro ungherese ha di fatto smentito l’ottimismo dello staff di Tajani: «È sorprendente che dall’Italia cerchino di interferire con un caso giudiziario ungherese», ha detto, per poi esprimere «sconcerto» riguardo alla reazione italiana. «Questa signora, presentata in Italia come una martire, è venuta in Ungheria con il chiaro piano per attaccare delle persone innocenti per strada, e lo ha fatto come attivista di un’organizzazione di sinistra radicale». Le sue parole sono state subito condivise sui social dal portavoce del governo di Orbán.

Szijjártó si riferisce alle accuse formulate ai danni di Salis dalla procura di Budapest, secondo cui avrebbe aggredito e ferito gravemente alcuni attivisti neonazisti durante un raduno di estrema destra nelle strade di Budapest, l’11 febbraio 2023. Alcuni militanti tedeschi con cui Salis era nella capitale ungherese sono considerati membri della Hammerbande, un’organizzazione antifascista di estrema sinistra già in passato protagonista di azioni violente in Germania: di qui l’ipotesi che anche l’attivista italiana possa farne parte in qualche modo. Sulla base di queste ricostruzioni, che non sono ancora in alcun modo state confermate in tribunale, Szijjártó ha detto che «non si è trattato di un crimine commesso per capriccio, ma di un atto ben pensato e pianificato», e si è infine augurato che Salis «riceva la sua meritata punizione in Ungheria».

Il portavoce del governo ungherese ha anche mostrato alcuni spezzoni di un video che, secondo l’accusa, ritrae l’aggressione commessa da Salis e dai suoi compagni. Il ministro Szijjártó ha infine dato un’intervista esclusiva al Tg1, nell’edizione delle 20, ripetendo quanto già detto ed evitando di esprimersi direttamente sull’eventuale concessione degli arresti domiciliari a Salis, ovvero l’ipotesi che secondo il governo italiano potrebbe forse essere il primo passo verso un suo ritorno in Italia: «Questo dipenderà dal tribunale, che è un organo indipendente».

In realtà da diversi anni Orbán, il primo ministro ungherese, e il suo partito, Fidesz, mantengono un saldo controllo dei tribunali e della magistratura. Dal 2012 le promozioni dei giudici vengono decise da un organo controllato di fatto da Orbán: solo di recente il governo ungherese ha accettato di rafforzare i poteri dell’organismo indipendente di autogoverno dei giudici, come parte di un accordo con l’Unione Europea per ottenere alcuni fondi, ma ci sono dubbi sul fatto che questo organismo rafforzato sarà davvero indipendente.

È almeno la seconda volta che i tentativi diretti di mediazione di Tajani non vanno a buon fine. Il 22 gennaio scorso, a margine di una riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea a Bruxelles, Tajani aveva consegnato a Szijjártó un fascicolo su Salis, chiedendo di garantire condizioni detentive dignitose alla donna italiana. Anche in quel caso, Szijjártó aveva rassicurato in qualche modo Tajani. Pochi giorni dopo, però, erano state diffuse le immagini di Salis incatenata in tribunale a Budapest.

Già in quel caso il portavoce del governo ungherese Kovacs aveva utilizzato parole dure nei confronti di Salis. Per Fidesz accogliere le richieste italiane significherebbe attirarsi accuse di debolezza da parte di un pezzo di opinione pubblica ungherese, in particolare i dirigenti del movimento ultranazionalista “Casa Nostra”, che è ancora più a destra di Fidesz e ha circa il 10 per cento dei consensi nei sondaggi.

Da anni l’Unione Europea ha avviato procedure contro la violazione dello stato di diritto in Ungheria, fino a sospendere alcuni importanti finanziamenti europei. Al centro delle contestazioni della Commissione e del Parlamento Europeo ci sono, tra l’altro, il mancato rispetto dei diritti civili e la scarsa indipendenza del potere giudiziario rispetto a quello politico.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha più volte criticato queste iniziative europee definendole strumentali e pretestuose, e dicendo che le istituzioni dell’Unione le utilizzano più che altro come arma di ricatto nei confronti di Orbán. Meloni ha recentemente parlato del caso di Salis con Orbán in due occasioni, e nel frattempo si sono intensificate le trattative per far entrare Fidesz nel gruppo dei Conservatori e riformisti europei (ECR), il gruppo europeo di destra euroscettica e nazionalista guidato proprio da Meloni. Il progetto prevede l’adesione di Fidesz a ECR dopo le elezioni europee di giugno.