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  • Domenica 17 dicembre 2023

Il caso della donna italiana in carcere in Ungheria con l’accusa di aver aggredito dei neonazisti

Ilaria Salis è da 10 mesi in detenzione preventiva in condizioni «disumane», e i genitori hanno chiesto aiuto al governo italiano

Ilaria Salis (Foto fornita dal padre Roberto Salis ANSA/NPK)
Ilaria Salis (Foto fornita dal padre Roberto Salis ANSA/NPK)
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Durante il fine settimana sui giornali italiani si è parlato del caso di Ilaria Salis, una militante antifascista monzese che da dieci mesi si trova in detenzione preventiva in un carcere di massima sicurezza a Budapest, in Ungheria, in condizioni che lei stessa e le persone che l’hanno visitata hanno descritto come «disumane».

Il padre di Salis ha detto di aver scritto più volte negli scorsi mesi alle più alte cariche dello stato, fra cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i ministri Antonio Tajani e Carlo Nordio, senza aver avuto risposta: la sua richiesta è che la diplomazia italiana si attivi per far rientrare la figlia in Italia in attesa del processo sulla base delle condizioni della carcerazione preventiva. La storia è stata raccontata in questi giorni da Repubblica, che con alcuni articoli ha contribuito a rendere più noto il caso.

Ilaria Salis, 39 anni, è accusata insieme ad altre persone di aver aggredito dei neonazisti fra il 9 e il 12 febbraio 2023 a Budapest, nei giorni in cui migliaia di militanti di estrema destra da tutta Europa erano in Ungheria per festeggiare il Giorno dell’onore (Tag der Ehre). La manifestazione, che si svolge ogni anno con cortei, concerti ed eventi organizzati in diversi punti della città, celebra un battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa. Da due anni la polizia ungherese non autorizza le parate a causa del pericolo di scontri e disordine pubblico, ma alcune celebrazioni e cortei più piccoli sono comunque tollerati.

Fra il 9 e il 12 febbraio del 2023 diversi militanti neonazisti ungheresi e stranieri che si trovavano in città per la manifestazione erano stati aggrediti per strada da un gruppo di persone a volto coperto e alcuni episodi erano stati anche ripresi dalle telecamere di sicurezza dei negozi nella zona. Pochi giorni dopo le autorità ungheresi avevano arrestato alcuni militanti antifascisti tedeschi e Ilaria Salis. Non è chiaro se sia accusata di aver partecipato a una o a due di queste aggressioni, ma per la legge ungherese rischia fino a 16 anni di carcere. Salis si dichiara innocente: dice di aver partecipato a delle contro-manifestazioni pacifiche che si erano tenute nel corso della giornata ma di non aver aggredito nessuno.

Dopo l’arresto, Salis è stata portata in un carcere di massima sicurezza a Budapest, dove si trova ancora in attesa del processo che inizierà a fine gennaio 2024. Per i primi sei mesi le sono stati impediti i contatti con la famiglia, che da settembre è riuscita a visitarla solo due volte e ha detto di averla vista molto provata.

L’Ungheria è uno stato semi-autoritario guidato dal governo di estrema destra del primo ministro Viktor Orbán, dove le violazioni dello stato di diritto sono diventate frequenti negli ultimi anni.

In una lettera che ha fatto arrivare in Italia attraverso i suoi avvocati all’inizio di ottobre, Salis ha detto che sta vivendo da mesi in «condizioni disumane»: nella sua cella ci sono topi, scarafaggi e cimici dei letti, che le hanno provocato una reazione allergica durante i primi tre mesi di detenzione. Nonostante le sue condizioni Salis ha detto che il personale del carcere non le ha fornito alcuna crema o medicina. Durante la prima settimana sono mancati carta igienica, sapone e assorbenti, e nei mesi successivi è capitato più volte che non le fosse dato da mangiare per cena.

Il colloquio con i suoi avvocati prima dell’udienza è durato pochi minuti ed è stato fatto in presenza di un poliziotto. Per presentarsi in tribunale le sono state ammanettate mani e piedi con un sistema di catene che terminava con una corda in metallo, tenuta in mano da un poliziotto ungherese. Le condizioni descritte da Salis non sono nuove: l’Ungheria è già stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per gravi violazioni dei diritti dei detenuti.

I famigliari e gli avvocati di Salis contestano anche la pena a cui potrebbe essere sottoposta in futuro. Salis potrebbe ricevere una condanna fino a 16 anni di carcere per un reato che in Italia di solito viene punito con 4 anni; inoltre le lesioni riportate dalle persone aggredite sono guarite in pochi giorni. Salis ha già ricevuto una proposta di patteggiamento a 11 anni di carcere che ha rifiutato, dicendo di non aver partecipato alle aggressioni. Una pena così alta non è data solo dalle leggi più dure dell’Ungheria in questo campo, ma anche perché le autorità ungheresi aggiungono all’accusa di lesioni anche due aggravanti, ossia quelle di «aver potuto pregiudicare la vita della vittima e di aver commesso il reato all’interno di un’organizzazione criminale».

Le autorità sostengono che le aggressioni fossero state pianificate da Hammerbande, un gruppo fondato a Lipsia, in Germania, nel 2017 che ha l’esplicita «finalità di attaccare e assaltare i militanti fascisti o di ideologia nazista». I legali di Salis affermano che non risulta fra i membri dell’organizzazione, ma secondo l’accusa avrebbe partecipato a quelle aggressioni sapendo della sua esistenza. In un’intervista a Repubblica suo padre ha detto che Salis non ha mai parlato alla famiglia dell’organizzazione. Attraverso gli avvocati hanno chiesto per quattro volte che la figlia potesse attendere il processo in Italia, ma le richieste sono state respinte per rischio di fuga.

All’inizio di dicembre il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser ha negato l’estradizione in Ungheria di Gabriele Marchesi, un 23enne accusato degli stessi reati di Salis. Fra le motivazioni è stata citata anche la lettera in cui Salis descriveva le sue condizioni di detenzione e la natura politica dell’indagine ungherese.