Le donne del Ku Klux Klan

Il loro ruolo fu significativo per propagandare l’ideologia razzista del movimento, ma per molte fu paradossalmente anche uno strumento di emancipazione personale e politica

Centinaia di donne del Ku Klux Klan in marcia ad Atlanta, Georgia, 26 aprile 1936 (AP Photo)
Centinaia di donne del Ku Klux Klan in marcia ad Atlanta, Georgia, 26 aprile 1936 (AP Photo)
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Negli anni Venti all’interno del Ku Klux Klan (KKK), la setta di suprematisti bianchi più famosa della storia degli Stati Uniti, venne creata un’organizzazione femminile che arrivò ad avere circa un milione di militanti. Nonostante non abbia partecipato a linciaggi e ad altre violenze, il suo ruolo fu significativo per propagandare l’ideologia razzista del movimento. Ma per molte donne fu anche uno strumento di emancipazione che consentì loro di uscire di casa, avere un ruolo nello spazio pubblico e impegnarsi in una politica paradossalmente progressista sui diritti delle donne: donne solo bianche e protestanti.

Secondo una data accettata da diversi storici, il 24 dicembre 1865, poco dopo la fine della guerra civile americana vinta dall’Unione che si opponeva alla secessione degli stati del Sud favorevoli alla schiavitù, sei uomini si riunirono nell’ufficio di un giudice locale di Pulaski, nel Tennessee, per fondare un’associazione che si chiamava Kuklos, la traslitterazione di una parola in greco antico, κύκλος, che significa “cerchio” e “assemblea”. Solo in un secondo momento il nome Kuklos venne modificato in Ku Klux Klan (KKK). I suoi membri, riuniti in gruppi paramilitari, vestiti con tuniche, maschere e cappelli a cono con l’intento di incutere terrore e al contempo nascondere le loro identità, divennero ben presto responsabili di migliaia di morti e crimini commessi soprattutto contro le persone afroamericane.

Il primo Klan prosperò negli Stati Uniti del Sud dalla fine degli anni Sessanta dell’Ottocento fino a quando, nel 1871, il Congresso a maggioranza Repubblicana approvò il cosiddetto Ku Klux Klan Act, che portò a sua volta all’approvazione di misure straordinarie di natura militare per combattere il Klan. Quando nel 1882 la Corte Suprema dichiarò il Ku Klux Klan fuori legge, gran parte dell’organizzazione era già stata distrutta.

La setta ebbe però una seconda fase, iniziata nel 1915 circa, durante la quale ebbe molta visibilità, si diffuse ben oltre gli stati del Sud e allargò la platea delle violenze e delle sue politiche d’odio colpendo anche cattolici, ebrei, mormoni, persone migranti, socialisti o sindacalisti. Negli anni del suo rilancio il gruppo aveva una base nazionale e prevalentemente urbana, con appoggi influenti nel Midwest, nel sudovest e sulla costa orientale degli Stati Uniti. Durante il periodo dei movimenti per i diritti civili negli Stati Uniti negli anni Sessanta, l’attività del KKK iniziò a concentrarsi nell’area meridionale del paese, e le violenze più efferate furono perpetrate contro gli attivisti per i diritti civili del sud. Le roccaforti del KKK tuttavia non si trovavano nelle zone rurali, ma all’interno e attorno a città come Birmingham, in Alabama, Greensboro e Raleigh, in North Carolina, e Jacksonville, in Florida. Nei decenni successivi la diffusione geografica del KKK continuò ad aumentare.

L’esistenza di una comunità femminile di suprematiste bianche risale alla prima fase del KKK quando le donne, che non avevano il diritto di prendere parte alle decisioni e alle azioni dell’organizzazione, vennero reclutate per ruoli secondari: cucire gli abiti di mariti, padri e fratelli e affiancarli nelle varie manifestazioni e sfilate.

Dal 1923 le donne bianche e protestanti del Klan cominciarono però a rivendicare un ruolo più attivo e autonomo ed entrarono a far parte di un’organizzazione affiliata, ma separata da quella maschile: il Women’s KKK (WKKK), nato a sua volta da un’alleanza tra una parte del KKK e una società segreta femminile chiamata Queens of the Golden Mask, presieduta dalla predicatrice quacchera Daisy Douglas Barr. Il WKKK nacque ufficialmente a Little Rock, in Arkansas, nel 1923 e si diffuse rapidamente in trentasei stati. I gruppi più numerosi erano in Ohio, Pennsylvania, Indiana e Arkansas e se nel 1923 le militanti erano circa 250 mila, nel 1924 arrivarono a essere più di 1 milione.

La gerarchia interna e le dinamiche del WKKK erano identiche a quelle della loro controparte maschile. Per diventare una Klanswoman era necessario avere più di 16 anni, essere bianca, non di origine migrante e protestante.

Donne del Ku Klux Klan in marcia a Washington, 1928. (Wikimedia Commons)

Le donne del Klan non parteciparono mai a linciaggi, sequestri, omicidi, stupri e altri atti di violenza, sebbene sia stata documentata almeno un’occasione in cui sfilarono armate di mazze. Non presero mai le distanze dalle attività criminali delle sezioni maschili, ma è sostanzialmente per la loro assenza diretta dagli atti di violenza del Klan che storicamente il loro ruolo nell’organizzazione è stato minimizzato. In realtà, le affiliate al WKKK erano potenti ed ebbero un’importante funzione a livello sociale contribuendo a propagandare l’ideologia criminale e razzista dell’intero movimento, e l’obiettivo di preservare la purezza bianca dell’America e “proteggerla” dalle minacce delle cosiddette minoranze.

Come ha raccontato la sociologa Kathleen Blee, le donne usarono inizialmente il loro ruolo tradizionale di mogli e madri per sostenere tutte le attività del KKK, reclutare membri, distribuire volantini, organizzare sfilate, adunate, incendiare croci o raccogliere donazioni. Costruirono relazioni sociali e nuove affiliazioni donando latte ai bambini e ceste di cibo alle famiglie che ne avevano bisogno, guidarono i boicottaggi delle attività commerciali che appartenevano a cattolici, ebrei o afroamericani e furono particolarmente attive nel promuovere il proibizionismo, sottolineando l’impatto negativo dell’alcol su mogli e figli.

Non solo: usarono le reti sociali in cui erano inserite per distruggere la reputazione dei nemici politici del Klan o per far licenziare gli insegnanti non bianchi e non protestanti dalle scuole pubbliche promuovendo la raccolta di specifiche petizioni e occupando i consigli di istituto.

Membri del Ku Klux Klan, comprese donne e bambini (National Photo Company Collection, via Wikimedia Commons)

Molte di queste donne parteciparono alle attività del WKKK contro la volontà dei loro mariti. Nel saggio White Women in the Ku Klux Klan, lo storico William F. Pinar ha spiegato come la visione del KKK sulle donne fosse tradizionale e conservatrice, centrata esclusivamente sul loro ruolo di madri e di custodi della vita domestica. Pensavano, secondo una visione che andava comunque ben oltre l’organizzazione, che le donne dovessero rimanere subordinate agli uomini, ai quali spettava il dovere di proteggerle e indottrinarle creando così un terreno fertile per la diffusione della loro ideologia.

Il Tri-K-Klub era ad esempio un’organizzazione del KKK aperta alle ragazze minori di 18 anni che aveva questo scopo: le adepte venivano educate a diventare madri e mogli modello e, soprattutto, a non “mescolarsi” con gruppi etnici ritenuti inferiori. «Il nostro ruolo è instillare nelle giovani donne di oggi, che saranno le madri di domani, un senso di responsabilità e il senso del dovere», disse nel 1925 uno dei responsabili del Tri-K-Klub del New Jersey. «Queste sono le cose fondamentali che si devono trasmettere per consentire al gentil sesso americano di rimanere puro».

Disegno dell’uniforme delle donne del Ku Klux Klan, in un catalogo distribuito dall’organizzazione in Canada tra il 1920 e il 1930 (Wikimedia Commons)

A differenza del Tri-K-Klub, il WKKK non ebbe solamente un ruolo funzionale al KKK. Molte donne, secondo le testimonianze raccolte da diverse storiche e storici, sostenevano che il WKKK le avrebbe protette oltre che dalle aggressioni sessuali degli uomini afroamericani, anche dai loro mariti violenti, dai quali tentarono di emanciparsi: rivendicando una vita al di fuori dalla dimensione domestica, partecipando attivamente, come gli uomini, alla vita pubblica e guadagnando dunque un ruolo e una visibilità che era stata loro storicamente negata.

Pensavano anche paradossalmente che il WKKK fosse uno strumento attraverso il quale proteggere e consolidare i diritti delle donne, almeno di quelle bianche e protestanti. Come raccontano Blee e Pinar, molte delle adepte dicevano di credere nel femminismo e nella parità di retribuzione. Lavorarono per chiedere maggior rispetto e tutele per il lavoro femminile, sostennero l’uguaglianza tra i sessi, il divorzio e il suffragio universale sebbene con l’obiettivo di far aumentare il numero degli elettori suprematisti bianchi, ma trovando anche diversi punti in comune con il femminismo emancipazionista del tempo e con alcune leader bianche a favore del suffragio.

Dopo che le donne ottennero il diritto di voto, nel 1920, il WKKK attirò nuovi membri rivendicando il proprio ruolo di salvaguardia dei diritti appena conquistati. Un annuncio di reclutamento per l’WKKK dell’Indiana mostra questa strategia. Diceva che «gli uomini non aspirano più al dominio esclusivo in qualsiasi campo» e che «la donna è ora chiamata a mettere i suoi sforzi e le sue capacità in un movimento per donne americane al cento per cento».

Risulta anche che alcune donne si siano ribellate ai loro mariti o abbiano divorziato per unirsi al WKKK. E prima del WKKK molte delle leader dell’organizzazione erano tra l’altro già attive fuori casa: Lulu Markwell, prima “imperatrice”, cioè presidente, del WKKK si era impegnata attivamente per il suffragio femminile e per una serie di riforme sociali favorevoli alle donne. E Mary Benadum, un’altra leader del WKKK, era attiva in un’organizzazione chiamata Business and Professional Women of Indiana.

Le donne del Klan ebbero contatti anche con Margaret Sanger, una delle prime attiviste per i diritti riproduttivi, fondatrice di quella che sarebbe diventata Planned Parenthood, rete di cliniche che fornisce ancora oggi molti servizi sanitari alle donne, tra cui le interruzioni di gravidanza, e tra le persone a cui si deve l’esistenza della pillola anticoncezionale: Sanger parlò con alcune sezioni del WKKK e la sua figura, negli ultimi anni, è stata anche per questo motivo messa in discussione dalla stessa Planned Parenthood.

Una donna del Ku Klux Klan con un neonato durante un incontro dell’organizzazione a Beaufort, South Carolina, 24 maggio 1965 (Harry Benson/Getty Images)

Sebbene alcuni uomini del Klan sostenessero la partecipazione femminile, seppur solo in chiave di propaganda, molti di loro si opposero al WKKK, preferendo che le donne restassero a casa a cucinare e a cucire. Alcuni oppositori del KKK e del WKKK fecero propria anche una retorica antifemminista per criticare l’organizzazione. Un giornale anti-Klan di Muncie, nell’Indiana, affermò ad esempio che le donne del WKKK avevano tutte i «capelli corti» e che erano delle «amazzoni» che usavano l’organizzazione per coprire i loro adulteri.

I conflitti interni, alcuni scandali finanziari e la crisi economica del 1929 contribuirono al declino del WKKK. L’aumento dei livelli di povertà e di disoccupazione ricacciarono le donne in casa ad occuparsi della cura dei figli senza potersi preoccupare delle questioni politiche che, in qualunque situazione, restavano un privilegio degli uomini.